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Bisogna dire che non siamo proprio fortunati con i nostri presidenti della Repubblica. Dopo la breve parentesi di Enrico De  Nicola e il limpido settennato di Luigi Einaudi,  siamo andati di male in peggio. Giovanni Gronchi ebbe tentazioni autoritarie e peroniste e fu apertamente accusato di essere un ladro (qualcuno ricorderà, forse, lo scandalo dei «Gronchi Rosa»). Antonio Segni fu sospettato di tramare un colpo di Stato. Giuseppe Saragat, che in fondo fu il più innocuo, è ricordato soprattutto per il suo attaccamento alla bottiglia. Giovanni Leone fu costretto a dimettersi in seguito allo scandalo Antelope Cobbler. Poi venne Sandro Pertini, «il presidente più amato dagli italiani», che, probabilmente, fu il peggiore di tutti perché inaugurò la sciagurata stagione delle violazioni sistematiche della Costituzione da parte di colui che dovrebbe esserne il supremo garante. Adesso abbiamo Francesco Cossiga. Fino a una settimana fa sembrava che alcune forze politiche, comunisti in testa, volessero chiederne l'impeachment. Adesso tutto s'è chetato dando fiato alla tesi di coloro che sostengono che l'attacco a Cossiga non era mosso da fini di giustizia, ma era solo un'operazione di bassa politica. Può essere. Noi però, che non difendiamo gli interessi di alcuna bottega, continuiamo a pensare che Cossiga sia diventato un presidente impresentabile. E non tanto e non solo per l'affare Gladio, in cui Cossiga è coinvolto alla pari dell'intera classe politica che rappresenta, ma perché negli ultimi sei mesi, con un crescendo impressionante, il presidente della Repubblica si è reso protagonista di una serie di atti che appaiono chiaramente incompatibili con la sua carica. Elenchiamoli in ordine di tempo. 1) Leghe. Lo scorso maggio, pochi giorni prima delle amministrative, Cossiga sferra un durissimo attacco alle leghe. Si tratta      di una patente, e grave, violazione della Costituzione perché il presidente della Repubblica, la cui funzione è quella di arbitro, non può in alcun modo prendere partito contro una formazione politica legale, tanto meno può farlo prima di un momento democraticamente determinante come le elezioni. Cossiga ha cercato, pesantemente, di influenzare il voto che, per definizione, è libero. 2) Gelli. Durante l'estate alcuni giornali pubblicano indiscrezioni sui rapporti fra Francesco Cossiga e Licio Gelli. Ciò che fa specie non sono i contatti che Cossiga ebbe con il «Venerabile» -perché non fu certo il solo- ma la giustificazione che egli ne dà. Cossiga dichiara infatti che quando riceveva attacchi da parte del Corriere della Sera «lo avevano consigliato di rivolgersi a Gelli per farli cessare» in quanto Gelli era il vero padrone deI quotidiano milanese (la Repubblica, 1/9/90). Questo la dice lunga su come l'attuale presidente della Repubblica intende la libertà di stampa e dei singoli giornalisti. 3)  Caso Orlando. A ottobre Cossiga lancia un durissimo attacco all'ex sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Il presidente della Repubblica non può dare giudizi morali e politici su un privato cittadino, tantomeno può accusarlo di dividere, con i suoi atteggiamenti, un partito, nel caso la Dc. Un privato cittadino ha diritto di dividere tutti i partiti che vuole. È il presidente della Repubblica che non può dar mostra, come invece ha fatto Cossiga, di essere un uomo di parte, anzi della parte di una parte. Questo per quanto riguarda la forma che, nel caso della carica che occupa Cossiga, è sostanza. Nel merito non si può poi dimenticare che Orlando è uno dei pochi uomini politici siciliani che si batta contro la mafia. 4) Pci. Nei suoi discorsi «inglesi» di novembre Cossiga elogia sperticatamente il Partito comunista. Vale quanto detto per le leghe. Come il presidente della Repubblica non può attaccare una forza politica così non può schierarsi a favore di un'altra. Inoltre, con quello che è poi successo, è lecito il sospetto che l'improvvisa sortita a favore del Pci non fosse altro che un tentativo di pararsi le spalle in previsione dell'incombente «affare Gladio». 5) Criminali. Sempre nei suoi discorsi «inglesi». Cossiga definisce «criminali» le leghe. Questa, per la verità, sarebbe materia da codice penale se il presidente della Repubblica non fosse, per Costituzione, «irresponsabile». In ogni caso come possono sentirsi rappresentati da Cossiga i quasi due milioni di italiani che hanno votato le leghe e che si sono sentiti affibbiare la patente di «criminali»? 6) Caso Casson. Per uno dei più gravi delitti di questi ultimi anni (la strage di Peteano) Cossiga rifiuta di fatto, di rendere testimonianza davanti al giudice veneziano Casson che gli chiedeva semplicemente la sua «disponibilità» a darla. E ciò nonostante ci sia un articolo del nuovo codice penale, il 205, che prevede espressamente questa possibilità. Cossiga ha affermato che controfirmò l'articolo 205 nonostante avesse dei forti dubbi sulla sua costituzionalità. Se aveva dei dubbi non doveva firmare. Se ha firmato è il primo che ha il dovere di assoggettarsi a una legge che lui stesso ha promulgato. In ogni caso, come ha notato il presidente dei magistrati, Raffaele Bertoni, il capo dello Stato ha fatto opera di diseducazione: «Si parla tanto di omertà. Ma come pensate che un cittadino qualunque possa testimoniare davanti a un giudice quando coloro che nello Stato occupano cariche di vertice si rifiutano di farlo?». Ma la cosa più grave è un'altra. Dal carteggio Vassalli-Cossiga risulta che il presidente della Repubblica ha fatto pressioni sul ministro della Giustizia perché si «occupasse» del giudice Casson.  Egli cioè ha cercato di intimidire il magistrato che voleva interrogarlo. Ci pare che non ci sia bisogno di essere comunisti per averne abbastanza.