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Sul letto di morte, devastato da un cancro che gli provocava sofferenze orribili, Kafka disse al suo medico: «Dottore, se lei non mi uccide subito è un assassino». parafrasando Kafka si potrebbe dire al presidente Scalfaro che se non uccide immediatamente il Parlamento, se cioè non scioglie subito le Camere, è un assassino. Della democrazia. Infatti il nostro Parlamento, come un corpo divorato da un tumore galoppante, sta diventando sempre più simile, ogni giorno che passa, a un malato terminale o, per uscir di metafora, a una Istituzione completamente svuotata di ogni legittimità democratica. È anzi proprio il Parlamento (questo “Parlamento”, va da sé, non l'Istituzione in quanto tale) il vero tumore della democrazia italiana. Non è legale un Parlamento dove ci sono cento rappresentanti di un partito, il Psi, che non esiste più. Ne è legale un Governo che si regge su forze parlamentari che oggi rappresentano, a essere generosi, un quarto o un quinto dei cittadini e che ha in alcuni dicasteri-chiave uomini del “partito che non c'è più”, come il ministro della Difesa, il socialista Fabio Fabbri che va in giro sproloquiando su questioni delicatissime pur sapendo che occupa quel posto non per una competenza che non ha mai avuta ma solo in virtù di una spartizione fatta da un potere che si è nel frattempo liquefatto. Non è legale un Parlamento che ha un terzo dei suoi membri inquisiti per gravissimi reati contro la Pubblica Amministrazione e un buon altro terzo di cui si può ragionevolmente pensare che si troverebbe nella stessa situazione sol che la magistratura avesse avuto il tempo di indagare. Purtroppo non è legale, non è legittimo, nemmeno un presidente della Repubblica eletto da un siffatto Parlamento di malfattori o, nel migliore dei casi, di gente che non rappresenta più nessuno. Ed è questo il motivo per cui Oscar Luigi Scalfaro non emana quel decreto di scioglimento anticipato delle Camere che in qualsiasi altro Paese, che si trovasse nella nostra stessa situazione, sarebbe un atto dovuto. Allo scioglimento immediato di questo Parlamento inverecondo e in buona parte malavitoso si oppone, si dice, il fatto che le Camere e il governo devono  preparare e varare quella riforma elettorale in senso maggioritario che si è resa necessaria col referendum del 6 giugno. E Mino Martinazzoli, che parla  come se avesse ancora alle spalle il trenta per cento dei voti e non la metà, ha affermato che questa riforma è  così complessa che è impensabile di averla pronta per l'autunno, in modo da andare alle elezioni entro l'anno. Può darsi che Martinazzoli abbia ragione, ma è evidente che la riforma elettorale viene usata  dai vecchi marpioni della partitocrazia per prolungare il più possibile una legislatura sostanzialmente illegittima, così come, allo stesso scopo, fu usato il referendum del 18 aprile che, piaccia o no, è stato un ostacolo sulla strada del rinnovamento, provvidenziale per la vecchia nomenklatura. Perché un vero rinnovamento non si ha quando si cambiano le leggi elettorali, che in sé e per sé non sono né buone né cattive (si veda, per convincersene, la disastrosa esperienza Clinton che dimostra come l' elezione diretta, su cui tanto oggi si conta in Italia, non impedisca, anzi favorisca, l'affermazione di perfetti imbecilli), ma quando, qualsiasi sia  il sistema di votazione, si riesce a sostituire una classe dirigente che ha malgovernato con un altra oche si presume, e si spera, si comporti meglio: E invece la vecchia classe dirigente italiana è sempre lì e, per bocca di Martinazzoli o addirittura di Ottaviano Del Turco o di Eugenio Scalfari (il ventriloquo di Ciampi), detta tutt'ora legge, stabilisce regole, impone ricatti. Ed è una classe dirigente che ha l'evidente interesse di tirare le cose il più a lungo possibile nella speranza che  prima di arrivare a nuove elezioni,  qualcosa, magari bombe aiutando, possa miracolosamente cambIare.E infatti, pronubo Pannella, che sta diventando il vero servo sciocco del regime (ma forse servo lo è sempre stato, solo che ora si sta rivelando anche sciocco), le forze della vecchia nomenklatura, inquisiti in testa, si stanno organizzando perché non si facciano le elezioni né in autunno né nella prossima primavera cosicché quello che il leader radicale definisce protervamente “il migliore dei Parlamenti possibili”, possa portare a termine la legislatura. Insomma, per  liberarci definitivamente di Craxi, di Martelli, di Cirino Pomicino, di Martinazzoli, di De Lorenzo, di De Mita, di Gava, di La Ganga, di Andò, di Fabio Fabbri, di Margherita Boniver, dovremmo aspettare il 1997. E invece la strada lineare, corretta, democratica è l' opposta: andare immediatamente a elezioni anticipate con vecchio metodo proporzionale in modo da avere un Parlamento che rappresenti effettivamente il Paese, e i nuovi rapporti di forza che si sono creati, e possegga quindi l'autorità giuridica e morale per farsi Assemblea Costituente e varare le necessarie riforme elettorali, istituzionali, costituzionali. Perché vengono i brividi al solo pensiero che regole fondamentali per il futuro assetto”della democrazia italiana vengano decise da gènte che non ha più rappresentanza nel Paese e che, alla prima verifica elettorale, è destinata a scomparire. Che, anzi, di fatto, è già scomparsa.