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La notizia della morte del Mullah Omar è stata data almeno una mezza dozzina di volte da quando nel 2001 il leader dei Talebani riuscì a buggerare gli americani che gli davano la caccia con quella rocambolesca fuga in moto. L’ultima l’aveva data l’Isis a gennaio che, informando della morte di Omar, aveva nominato un nuovo Emiro dell’Afghanistan, Khadim. Ma il Mullah era talmente morto che un mese dopo il sedicente Emiro Khadim e 45 dei suoi seguaci erano stati disarmati e catturati dagli uomini di Omar.

Questa volta però la notizia è più attendibile. Non tanto perché è stata data da un funzionario anonimo del governo di Kabul. Ma perché Omar si trovava in una situazione difficilissima, stretto fra il tentativo dell’Isis di penetrare in Afghanistan e l’esercito ‘regolare di Kabul’. I rapporti fra Omar e Al Baghdadi erano tesissimi. Il Califfo aveva definito Omar “demente e ignorante”. Come risposta Omar aveva mandato una lettera aperta, firmata dal suo numero due Akhtar Mohammad Mansour, in cui diceva sostanzialmente due cose: 1° Che l’Isis non aveva niente a che fare col movimento indipendentista afgano. 2° Accusava Al Baghdadi di star frammentando il mondo islamico dividendolo in varie fazioni (lettera del 16 giugno 2015). In precedenza, in concomitanza col 19° anniversario della nomina del Mullah Omar a guida suprema dell’Emirato islamico d’Afghanistan, il movimento talebano aveva diffuso un lungo documento in cui ripercorreva la lunga biografia del Mullah, esaltandone le doti e ribadendo la sua assoluta leadership sul movimento indipendentista afgano (documento del 20 marzo 2015, firmato dal portavoce storico di Omar, Oari Muhammad Yousuf). Ma questo era un segno di debolezza. Non si ha bisogno di affermare la propria leadership se la si ha in pugno. Il fatto è che molti giovani talebani sono attratti dall’Isis che con la sua ferocia ha conquistato vasti territori in Siria e Iraq, mentre il movimento di Omar, usando metodi meno bestiali, ci ha messo 14 anni a riconquistare solo la pur notevole parte rurale dell’Afghanistan (attacchi solo a obbiettivi militari e politici; nessun sequestro a fini di estorsione, ad eccezione di quello del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, che comunque fu poi liberato, trattamento civile dei prigionieri che, una volta liberati, hanno tutti dichiarato di essere stati trattati con rispetto – il 19 dicembre dopo l’attacco dei talebani pakistani alla scuola di Peshawar dove studiano i figli dei militari pakistani il movimento talebano afgano aveva condannato senza se e senza ma quell’eccidio: “L’Emirato islamico è scioccato da quanto avvenuto e condivide il dolore della famiglie dei bambini uccisi nell’attacco”). Inoltre all’interno del movimento c’è una divisione fra chi vuole continuare ad oltranza la guerra d’indipendenza contro l’occupazione straniera e chi vuole arrivare ad una sorta di ‘pacificazione nazionale’ attraverso il dialogo e i contatti tenuti recentemente a Oslo fra il governo di Kabul e alcuni rappresentanti degli insorti.

Se la notizia della morte del Mullah Omar è vera le domande sono due. Uno. Chi ha ucciso il Mullah Omar? L’Isis? Mi pare improbabile. L’Isis per ora ha intaccato solo marginalmente il territorio afgano ed è difficile che i suoi uomini siano riusciti là dove per 14 anni ci hanno provato inutilmente i servizi americani cercandolo per ogni dove con i loro occhiutissimi satelliti, senza trovarlo. E’ più ragionevole pensare che le ragioni di questa sua morte vadano cercate negli accordi in corso a Oslo. Se Omar era d’accordo con la pacificazione diventava impresentabile, non era accettabile per gli americani che Omar, sul quale pende tuttora una taglia di 25 milioni di dollari, rientrasse a Kabul se non da vincitore da semivincitore. Se non era d’accordo, come io penso, bisognava eliminarlo per indebolire i ‘duri e puri’ del movimento talebano. Quindi, per la prima volta dopo 14 anni il Mullah Omar è stato tradito da qualcuno dei suoi.

La seconda domanda è: che cosa succederà ora? La morte del Mullah Omar segna la fine dei sogni di indipendenza dell’Afghanistan. Diventerà ufficialmente un protettorato americano. Ma la notizia non è positiva per l’Occidente, perché spalanca le porte alle mire espansioniste dell’Isis che non si accontenta di prendersi, eventualmente, l’Afghanistan ma vuole allargare la sua presenza ad altre aree dell’Asia Centrale, tanto che l’Isis nell’area ha preso il nome di Khorasan, una regione storica che comprende, fra gli altri, anche Turkmenistan.

Quanto a me, io rendo onore al Mullah Omar, combattente giovanissimo contro gli invasori sovietici, dove perse un occhio in battaglia, combattente e vincitore dei criminali ‘signori della guerra’ (Massud, Ismail Khan, Heckmatyar, Dostum) che nel conflitto scoppiato fra costoro per impadronirsi del potere lasciato vacante dai sovietici, agivano nel più pieno arbitrio, assassinando, stuprando, taglieggiando, sbattendo fuori dalle case i legittimi proprietari per metterci i loro adepti. Omar, che nei suoi 6 anni di governo (1996-2001) riportò nel Paese l’ordine e la legge, sia pur una dura legge, la Sharia, ma senza mai abbandonarsi agli eccessi feroci dell’Isis. Infine per 14 anni è stato guida della rivolta contro gli ancora più arroganti e devastanti occupanti occidentali. Preso il potere il Mullah non ne approfittò mai e continuò a fare la vita spartana che aveva sempre fatto, non favorì la sua famiglia e neanche il piccolo villaggio, Singesar, che non ebbe nessun vantaggio dal fatto che uno dei suoi ‘enfant du pays’ fosse diventato il capo del Paese. Un uomo di una morale e di una coerenza assolute. E, forse, è proprio questo che, alla fine, lo ha perduto. Che Allah ti abbia sempre in gloria, Omar.

Massimo Fini

Versione integrale dell’articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano il 30 luglio 2015