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Gentile Direttore,

 

ho letto con sconcerto un articolo pubblicato ieri dal Suo giornale – ‘I problemi per i 5 stelle arrivano ora’ – e firmato da Massimo Fini. Tralascio le offese a Forza Italia e a Berlusconi – abitudini alle quali ‘il Fatto Quotidiano non riesce proprio a sottrarsi – ma non posso soprassedere sulle falsità riportate nel pezzo in questione e che riguardano il mio pensiero sul post voto.

Secondo Massimo Fini il sottoscritto, per tentare di formare un governo a guida centrodestra, vorrebbe ‘comprare o corrompere la sessantina di deputati mancanti’. Un vero e proprio insulto, una mistificazione inaccettabile della realtà che rispedisco al mittente e nei confronti della quale mi riservo di adire le vie legali per difendere l’onorabilità della mia persona e la verità dei fatti.

Nelle analisi dei possibili scenari per la formazione di un governo, ho dichiarato nei giorni scorsi che potrebbero esserci dei cosiddetti ‘responsabili’ a sostegno della maggioranza di centrodestra che ha vinto le elezioni, che in Parlamento si potranno formare gruppi di deputati e senatori concordi con questa ipotesi e che, naturalmente, l’operazione dovrà trovare il benestare del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

È incredibile affermare una cosa, scandirla bene, spiegandola con le relative motivazioni, e trovare poi sui giornali falsità e assurdità di questo tipo. Non è la prima volta che Massimo Fini utilizza simili squallidi mezzucci. Faremo in modo che perda il vizio…

Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia

 

Il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2018

 

Brunetta minaccia, ma stia attento allo score

Il forzista annuncia querela per l’articolo sulla sua “chiamata” ai responsabili.


Confesso che la minacciosa lettera dell’onorevole Renato Brunetta mi preoccupa. Nella mia ormai quasi cinquantennale carriera di giornalista ho avuto 23 processi per diffamazione. E li ho vinti tutti: 23 su 23. Uno score degno di Cristiano Ronaldo o Robert Lewandowski o Edinson Cavani (irriconoscibile l’altra sera contro il Madrid). Ma non è detto che non possa perdere il ventiquattresimo, se l’onorevole Brunetta avrà la bontà di convenirmi in giudizio. Ogni partita fa caso a sé. Anche perché le precedenti erano partite facili, come giocare contro il Benevento senza per questo pretendere di essere la Juventus o il Napoli. L’onorevole Cesare Previti mi citò in una causa civile per quel che avevo scritto, a commento dell’articolo, in cui Giovanni Ruggeri si occupava dei rapporti fra lui e l’orfana Annamaria Casati Stampa, nel suo libro Berlusconi. Gli affari del Presidente, parlando di un vero e proprio raggiro ai suoi danni. Io con tre successivi editoriali sull’Indipendente del maggio 1995 lo costrinsi, non senza una certa fatica, a farmi causa perché mi pareva importante sapere se un ex Presidente del Consiglio e un ex Ministro della Difesa si fossero davvero resi responsabili di un atto così grave, come quello descritto da Ruggeri, cosa che mi pareva impossibile. Con sentenza del 2.5.08 la Corte d’Appello di Roma ha rigettato la domanda, riconoscendo che avevo legittimamente esposto il mio pensiero. In altra occasione l’avvocato e parlamentare socialista Achille Cutrera mi querelò perché avevo parlato dei suoi rapporti con Salvatore Ligresti e il costruttore Brenta, smascherando così, con largo anticipo su Mani Pulite, il sacco edilizio di Milano. Venni assolto. Un altro querelante è stato la buonanima del missino Teodoro Buontempo, detto “er pecora”. Come si può vedere sono ‘trasversale’ anche come querelato.

La minacciata querela di Renato Brunetta è importante. Poiché Brunetta è un uomo d’onore. E quindi merita che alle sue doglianze si risponda con attenzione e il dovuto rispetto. Veniamo quindi al punto. Nella lunga maratona elettorale di Sky Tg24 all’affermazione di Brunetta che se il centro-destra avesse preso 260 deputati non gli sarebbe stato difficile raggiungere i 316 necessari per la maggioranza, qualcuno in redazione, non ricordo se la brava e bella Ilaria D’Amico o l’altrettanto brava e bella Veronica Gentili o il conduttore della trasmissione o altri, gli chiese come sarebbe stato possibile per il centro-destra accaparrarsi più di 50 deputati ad esso estranei. Brunetta rispose ridacchiando: beh, ci sono ‘i responsabili’ o così almeno vengono chiamati (altro ridacchio), dando a divedere, almeno ai miei occhi, che per ‘responsabili’ non intendeva persone che avrebbero agito per senso di responsabilità ma per qualche altro meno confessabile motivo. Ricordo all’onorevole Brunetta che la compravendita di un soggetto non si concreta solo con la dazione di una stecca di denaro, attività cui peraltro il gruppo politico cui appartiene lo stesso Brunetta non sembra essere alieno vista la condanna del Tribunale di Napoli a tre anni di reclusione a Silvio Berlusconi per aver corrotto, perché cambiasse casacca, il senatore Sergio De Gregorio con tre milioni di euro (reato poi prescritto), ma anche quando si procura a taluno un’ingiusta utilità.

Nella sua lettera Renato Brunetta scrive “non è la prima volta che Massimo Fini utilizza simili squallidi mezzucci”. Mi piacerebbe che Brunetta, che è un uomo d’onore, invece di limitarsi ad affermazioni generiche indicasse in quali occasioni io avrei fatto uso di “simili squallidi mezzucci”. Anche parlare riferendosi a me di “squallidi mezzucci” è un’offesa passibile di querela. Ma io non querelerò perché non ho mai querelato nessuno. Per difendermi ho la mia penna, anche se certamente non ha la stessa potenza di fuoco di cui può disporre un parlamentare della Repubblica, numero due o tre di un potente partito, come l’onorevole Renato Brunetta.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2018

 

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Non vorrei aver l’aria di sminuire la straordinaria vittoria del Movimento Cinque Stelle (in fondo sono stato uno dei pochissimi intellettuali, insieme a Travaglio, a partecipare al primo, e irriso, ‘Vaffa’ di Grillo) dovuto all’impegno dei suoi militanti, al suo programma, alla grande abilità di Di Maio (altro che “uno che ha solo un bel visino” come lo definì il geronte Berlusconi) ma almeno una parte del trionfo dei ‘grillini’ è dovuta alle stesse ragioni che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. Quando il ceto medio americano si è accorto che quella madonnina infilzata di Hillary Clinton aveva dalla sua parte tutta la finanza internazionale, tutti i più importanti giornali internazionali, tutto lo star system di Hollywood si deve esser chiesto “ma costoro mi rappresentano?” e ha votato ‘the Donald’. Così quando una parte degli italiani vessati e di fatto impoveriti da una partitocrazia sempre più arrogante e corrotta ha visto che tutti i partiti e tutti i giornali che a loro fanno riferimento (cioè la totalità, fatte un paio di eccezioni) si accanivano contro i Cinque Stelle con gli argomenti più pretestuosi, falsi e ridicoli deve aver capito che l’unico movimento veramente antipartitocratico, o se si preferisce antisistema, era proprio quello fondato da Beppe Grillo. Della malafede e della straordinaria spudoratezza delle accuse mosse ai Cinque Stelle può essere presa come esempio Virginia Raggi che non aveva avuto ancora il tempo di mettere piede in Campidoglio che subito si è scoperta la monnezza di Roma, i topi di Roma, i maiali di Roma e in seguito è stata accusata della siccità di Roma e poi della pioggia e della neve cadute su Roma e quindi ancora del dissesto delle Ferrovie dello Stato che sono appunto di Stato e non del Comune capitolino. Ma è, appunto, solo un esempio degli infiniti, e ancora più gravi, che si potrebbero fare.

Dopo una vertiginosa ascesa durata cinque anni i veri problemi per i Cinque Stelle arrivano ora. Ho sempre scritto che i difetti dei Cinque Stelle dipendono dai loro pregi. Legalità, trasparenza, incorruttibilità, la volontà ferrea di non accettare alcun compromesso sono stati i loro vincenti cavalli di battaglia, ma adesso o accettano una qualche mediazione o resteranno una fortissima forza di opposizione che però in quanto tale non conterà nulla perché nulla hanno mai contato le opposizioni in Italia, se si eccettua il caso del Pci che però per avere voce in capitolo dovette consociarsi col potere democristiano e socialista, cioè non fare più l’opposizione.

In linea teorica i Cinque Stelle possono allearsi con tutti, perché nel loro Movimento ci sono fattori sia di sinistra che di destra oltre alcuni del tutto nuovi che sono i più interessanti perché i Cinque Stelle hanno finalmente capito (come l’aveva capito a suo tempo Umberto Bossi) che Destra e Sinistra sono due categorie ormai superate dalla storia perché non sono in grado di comprendere le esigenze più profonde dell’uomo contemporaneo, che sono esistenziali e non più solamente economiche.

Con tutti si possono alleare i Cinque Stelle tranne che con Forza Italia e il suo leader che hanno fatto della illegalità, intesa sia in senso penale che politico e morale, la loro bandiera. Lo ha ribadito l’altra notte, forse senza nemmeno rendersi conto della gravità di quanto stava dicendo, Renato Brunetta quando ha affermato che se la coalizione di centro-destra fosse arrivata ad avere 260 seggi alla Camera non le sarebbe stato difficile comprare o corrompere la sessantina di deputati mancanti (i metodi li conosciamo, De Gregorio docet).

Silvio Berlusconi è stato dato per politicamente morto mille volte, ma il 5 marzo è “scaduto” davvero come teneva spiritosamente scritto sul petto la ragazza col seno nudo mentre andava al seggio.

E noi che abbiamo contestato il Grande Imbroglione da quando nel 1986 fece la sua prima vistosa apparizione pubblica presentando all’Arena un Milan totalmente americanizzato, possiamo finalmente chiudere gli occhi serenamente.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 6 marzo 2018

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L’Emirato islamico d’Afghanistan (vale a dire i Talebani), che si considera tuttora il governo legittimo di quel Paese essendone stato spossessato da un’invasione straniera, attraverso una lettera aperta indirizzata direttamente al “popolo americano” ha proposto agli Stati Uniti di avviare un negoziato per arrivare finalmente alla pacificazione in una terra che non conosce tregua da quasi quarant’anni, se si escludono i sei e mezzo in cui fu governata dal Mullah Omar.

E’ difficile immaginare che gli americani accettino di trattare (del resto un niet è già arrivato dalla Nato) stretti come sono fra un malposto orgoglio nazionale e il proprio totalitarismo ideologico. La guerra afgana è infatti ormai puramente ideologica non essendoci evidenti interessi economici –al contrario- e nemmeno strategici, a differenza di quello che avviene nell’Estremo Oriente dove l’obbiettivo Usa è di tenere Seul in perenne conflitto con Pyongyang, in funzione essenzialmente anticinese, mentre le due Coree potrebbero tranquillamente convivere in modo sereno come hanno dimostrato le recenti Olimpiadi invernali.

Eppure dalla fine della guerra all’Afghanistan gli americani hanno solo da guadagnare. 1. Soldi innanzitutto. Gli Stati Uniti infatti vi spendono 45 miliardi di dollari l’anno. Donald Trump, che è molto attento ai quattrini del ceto medio americano (‘America first’ vuol dire innanzitutto questo) dovrebbe rifletterci. Che senso ha continuare a spendere soldi in una guerra che gli stessi strateghi e think tank americani ammettono che “non può essere vinta”? E invece ‘the Donald’, che per il resto ha sconfessato pressoché in tutto la politica del suo predecessore, in questo caso ha seguito la linea Obama inviando in Afghanistan altri 4.900 uomini. 2. L’Isis, nonostante le sanguinose sconfitte di Mosul e Raqqa e l’eliminazione di un proprio territorio, è ritenuto ancora, e con ragione, una grave minaccia, tanto che non c’è riunione fra presidenti o ministri degli Esteri o degli Interni degli Stati che non appartengono alla galassia sunnita in cui il terrorismo jihadista non sia uno dei temi in discussione e non c’è incendio o esplosione di un caseggiato, con tutta evidenza casuali, di cui non ci si affretti ad affermare che il terrorismo internazionale non c’entra, così forte è la paura che la sua sola esistenza ci ha messo addosso. Bene, i Talebani, pur sunniti, in Afghanistan combattono l’Isis e riescono per ora a fare argine. Ma la cosa non può durare a lungo, perché i Talebani, stretti fra gli occupanti occidentali e i guerriglieri che si richiamano al Califfato di Al Baghdadi, perdono terreno rispetto agli jihadisti, come dimostrano alcuni recenti attentati a Kabul targati Isis. E così, a loro volta, per riaffermare la loro supremazia sono costretti a incrementare gli attacchi agli obbiettivi militari occidentali (quattro solo nell’ultima settimana con un bilancio di 23 morti fra i soldati del governo fantoccio di Ashraf Ghani sostenuto dagli Stati Uniti). Ma potrebbe anche accadere –e ce ne sono già le avvisaglie- che i Talebani finiscano per allearsi con Isis, invece di combatterlo, considerandolo il male minore rispetto agli occupanti occidentali. L’Isis ne uscirebbe quindi enormemente rafforzato. Questo Putin l’ha capito benissimo riconoscendo ai Talebani lo status di “movimento politico e militare” e quindi non terrorista. Non si capisce perché gli americani non possano fare lo stesso accettando di trattare con gli emissari dell’Emirato islamico d’Afghanistan e ponendo così fine a una guerra che ha causato centinaia di migliaia di vittime civili, di persone contaminate dai proiettili all’uranio impoverito, di bambini nati per lo stesso motivo deformi, e che non giova a nessuno se non, appunto, al terrorismo internazionale che, battuto per ora in Medio Oriente, ritrova vigore in Asia Centrale e da lì, oltre alla Russia, può ritornare a colpire in Europa e negli stessi Stati Uniti.

In quanto a noi, che in quel Paese manteniamo 900 soldati, i Cinque Stelle hanno promesso in campagna elettorale che se andranno al governo ritireranno dall’Afghanistan il nostro inutile contingente che ci costa 475 milioni l’anno. Con 475 milioni non si risanano certo le malandate finanze del nostro Stato, ma almeno il ritiro dall’Afghanistan, il rifiuto di fare gli eterni servi schiocchi degli americani, oltre che un dovere morale, sarebbe anche una prova, sia pur su un aspetto apparentemente minore, della credibilità dei ‘grillini’ e dei loro programmi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2018