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Il Direttore del Giornale, partendo dal caso di Augusto Minzolini, salvato da un voto della maggioranza del Parlamento dagli effetti di una condanna penale definitiva, scrive: “Il voto, almeno per ora, nel nostro paese è libero e legittimo, altrimenti saremmo in una dittatura”. E’ vero il contrario. La legittimità del voto del Parlamento non è illimitata. Il Parlamento, nemmeno con il cento per cento dei voti, potrebbe decidere, poniamo, che tutti quelli che portano il cognome Sallusti devono essere espulsi dal Paese. Se la libertà e la legittimità del voto del Parlamento fossero illimitate, saremmo sì in una dittatura, una dittatura parlamentare, ma pur sempre una dittatura, dove una maggioranza potrebbe calpestare tutti i diritti, anche i più elementari, di una minoranza. Si dimentica che le democrazie nascono non per difendere la maggioranza, che si difende già da sé, ma le minoranze. Ci si vergogna, e ci si stanca, di dover spiegare ogni volta questi princìpi elementari, che sono al di sopra delle diatribe e delle convenienze, oggi di Pd e Forza Italia, domani di qualsiasi altro partito. Se il partito della maggioranza è al di sopra della legge siamo in pieno diritto staliniano o hitleriano, da cui nasce ogni possibilità di abuso.

Sallusti, che mischia di continuo le carte come i giocatori di via Prè ma di loro è meno abile, tira poi in ballo, paragonandoli alla vicenda di Augusto Minzolini, i casi di Antonio Ingroia e Selvaggia Lucarelli. Non può sfuggire a un garantista come Sallusti che Ingroia e Lucarelli sono indagati mentre Minzolini ha subìto una condanna definitiva. E siccome questa differenza non gli può sfuggire, Alessandro Sallusti è un uomo in perfetta malafede. E con gli uomini in malafede non c’è difesa. Sono sul piano del dialogo, che dialogo non è, invincibili. La sola difesa personale è “alzare degli steccati”: non parlare con queste persone, non stringergli la mano, voltare loro le spalle se li si incontra. Magra soddisfazione. A meno di non passare a vie di fatto.

C’è poi un’altra questione, legata ai princìpi di cui si è parlato sopra, ancora più grave: ed è quella della legittimità della Magistratura. Non si possono considerare valide le decisioni definitive della Magistratura ogni volta che sono a nostro favore e non valide ogni volta che sono a nostro sfavore. La Magistratura è legittima o non lo è. Si può anche considerare illegittima l’intera Magistratura, che in democrazia è il massimo organo di garanzia per far rispettare il principio-base dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Era la posizione, del tutto coerente, delle brigate rosse che consideravano illegittimo lo stesso Stato democratico e quindi anche la sua magistratura. Ma in questo caso liberi tutti: aprire le porte delle carceri a tutti, corrotti e corruttori, spacciatori e assassini. Quello che certamente non si può fare, considerando la Magistratura legittima o illegittima a seconda dei casi, è invece quello che si continua a fare da almeno un trentennio: istituire due diritti, uno per i privilegiati, l’altro per il comune cittadino. Nemmeno nel sistema medioevale nobiliare si era arrivati a tanto. Poi venne la Rivoluzione francese.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 21 marzo 2017

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Non più di tre o quattro giorni fa Matteo Renzi, ex premier e ora segretario dimissionario del Pd, dichiarava (a proposito di Luca Lotti, di Virginia Raggi e di altri) che qualsiasi cittadino deve essere considerato innocente fino a sentenza definitiva, che in Italia è quella della Cassazione. Giusto. Renzi non ha fatto che ripetere quanto sancito dall’articolo 27 della Costituzione che recita: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. L’altroieri il Senato, con l’apporto dello stesso Pd, o di parte di esso, ha respinto il parere favorevole della Giunta per le immunità alla decadenza da senatore di Augusto Minzolini condannato in via definitiva dalla Cassazione a 2 anni e 6 mesi di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per peculato continuato (ha usato la carta di credito della Rai per spese personali per un ammontare di 65 mila euro, diciamo quattro o cinque volte lo stipendio annuale di un normale cittadino). Esiste quindi una presunzione d’innocenza che va anche oltre la condanna definitiva? Ho sentito una senatrice del Pd affermare che c’era un sospetto di ‘fumus persecutionis’ nei confronti di Minzolini. Ora il ‘fumus persecutionis’ può eventualmente essere invocato quando un giudice chiede l’autorizzazione all’arresto di un parlamentare nel corso del processo e quindi nessuna condanna definitiva era stata inflitta all’imputato. Ma non può esistere un ‘fumus persecutionis’ di fronte a una sentenza definitiva. Se lo si ammettesse vorrebbe dire che in Italia i gradi di giudizio non sono più tre (primo grado, Appello, Cassazione) ma quattro perché, almeno nel caso di deputati e senatori, il Parlamento si costituisce come Corte di ultima istanza.

La legge Severino non fa che confondere le acque. Poniamo pure che sia incostituzionale. La domanda che si pone il privato cittadino, la mia domanda, è: posto che il senatore o il deputato può venire salvato dal Parlamento dallo scontare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici è anche esentato dallo scontare la pena principale cioè il carcere se al carcere è stato condannato? Evidentemente sì, visto che Minzolini, condannato a 2 anni e 6 mesi di carcere, è a piede libero. Ma se un cittadino comune, che non appartiene a questa oligarchia, è condannato alla reclusione per un periodo superiore a due anni e non può usufruire della sospensione condizionale della pena, in carcere o ai domiciliari o ai servizi sociali ci va senza se e senza ma.  

Queste mie considerazioni potranno probabilmente sembrare agli addetti ai lavori e anche ai lettori, ingenue e magari mal formulate. Ma la sostanza è inequivocabile: noi siamo nella Fattoria degli animali di cui parlava George Orwell, a proposito del comunismo staliniano, “dove tutti gli animali sono uguali, ma ce ne sono alcuni più uguali degli altri”. Insomma è stato sancito ufficialmente che la legge non è uguale per tutti, principio cardine di ogni ordinamento democratico e che nel nostro caso è sancito dall’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini…sono eguali davanti alla legge”. Noi non siamo che sudditi, pecore da tosare, asini al basto. E, quel che è peggio, accettiamo di essere tali. Siamo in fondo degli animali mansueti. Ma un giorno o l’altro l’esasperazione che cova sottopelle in quelle pecore e in quegli asini che oggi noi siamo esploderà d’improvviso. E scorrerà il sangue. Perché, come dice la Bibbia, “terribile è l’ira del mansueto”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2017

 

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Quando gli europei capiranno che il loro principale nemico sono gli americani? Che cosa dovrebbe ancora avvenire perché se ne rendano conto? Pensiamo, per un attimo, a una situazione invertita: che una centrale di spionaggio e di hackeraggio tedesca fosse piazzata se non proprio a Washington a Boston o in qualche altra grande città degli Stati Uniti. Si scatenerebbe immediatamente una bufera e verrebbero riesumati i fantasmi, sempre utili, di Hitler e dei nazisti. Gli americani non sono nazisti, anche se in alcune loro operazioni all’estero vi assomigliano parecchio, ma, come ammette anche Sergio Romano sul Corriere della Sera, sono militaristi e ovviamente imperialisti. Sono insieme all’ex Unione Sovietica i veri vincitori dell’ultima guerra mondiale. L’Europa è stata la sconfitta, colpevolmente sconfitta perché in un secolo è riuscita a farsi due guerre fratricide. Fra i vincitori c’è anche la Gran Bretagna, ma la Gran Bretagna avendo perso il suo impero coloniale ha avuto nel dopoguerra un’importanza decisamente minore e inoltre è europea solo a metà e una sorta di sentinella degli interessi politici e militari degli Usa nel Vecchio Continente (che sia europea a metà l’ha dimostrato la Brexit che invece che come una maledizione dovrebbe essere presa come una benedizione perché ci toglie di torno questo ambiguo coinquilino). In quanto alla Francia, che era stata fascista non meno dell’Italia, la si è fatta sedere al tavolo dei vincitori per salvare le apparenze ma, ad onta dei goffi esercizi muscolari del gollismo, ha contato poco più di nulla.

A Jalta, nel febbraio del 1945, americani e sovietici si divisero l’Europa e il muro di Berlino è stato per 45 anni il simbolo di questa divisione. L’Europa occidentale è andata agli Stati Uniti, quella orientale all’Unione Sovietica. Urss nel frattempo è naufragata, anche se adesso la Russia, sotto Putin, sta recuperando le sue dimensioni di grande potenza, ma l’America è rimasta intatta come Superpotenza e più forte che mai dopo l’indebolimento del suo storico contraltare. E quindi da più di 75 anni che l’Europa è sotto tutela americana. Una tutela che ci è stata fatta pagare carissima in termini militari, politici, economici, culturali e anche linguistici. Quando Adenauer, De Gasperi e Spaak pensarono a un’Europa unita, per evitare altre guerre fratricide, sapevano benissimo che questa Europa avrebbe dovuto nascere prima politica e militare e solo in seguito economica. Ma sapevano anche che gli americani ce l’avrebbero impedito. Così l’Europa è venuta formandosi faticosamente attraverso successive integrazioni economiche che ci hanno portato alla traballante situazione attuale, ma senza avere una vera unità politica e nemmeno una forza militare (come si dice abitualmente: una potenza economica, ma un nano politico). Quando a metà degli anni Ottanta tedeschi e francesi tentarono di costituire un primo nucleo di un esercito europeo gli americani li bloccarono. Che bisogno c’era, dissero, di una difesa autonoma europea quando a questa provvedeva la NATO? Ma la NATO è un’alleanza totalmente sperequata, nel pieno possesso degli Stati Uniti ed è stata proprio uno degli strumenti con cui gli americani hanno tenuto, e tengono, in stato di minorità il Vecchio Continente (“la vecchia e stanca Europa” come la definì sprezzantemente Colin Powell).

Anche dal punto di vista economico gli Stati Uniti hanno fatto quello che hanno voluto facendo ricadere le loro dissennatezze sugli europei. La crisi che l’Europa sta attualmente vivendo discende direttamente dal collasso della Lehman Brothers del 2008 (così come era partita dall’America la crisi del ’29 cui però l’Europa poté resistere meglio, fascismo italiano in testa, perché il mondo non era così integrato e globalizzato). A questa crisi gli americani hanno reagito immettendo nel sistema tre trilioni di dollari. Così è facile riprendersi ma si crea una bolla speculativa enorme che prima o poi ricadrà addosso a tutti con conseguenze devastanti rispetto alle quali la crisi del 2008 sembrerà uno zuccherino. L’Europa invece, principalmente sotto la guida di Angela Merkel, si è costretta a una politica di austerity, giusta in astratto per non creare un ulteriore bolla speculativa, ma inutile di fatto se i competitors americani si comportano come si comportano e come se nulla fosse successo.

Dopo la caduta del muro di Berlino, venuto meno per il momento il contraltare russo, gli americani hanno scatenato tutta la loro aggressività e volontà di potenza con conseguenze che sono ricadute per intero sul Vecchio Continente.

Nel 1999, quando l’11 settembre era di là da venire, guerra alla Serbia, europea e di religione ortodossa e, oltretutto, con la grave colpa di essere rimasto l’ultimo Stato paracomunista del Vecchio Continente. Poi c’è la lunga filiera delle aggressioni, con i pretesti più vari e spesso totalmente infondati: Afghanistan 2001, Iraq 2003, Somalia 2006/2007, Libia 2011. Tutte queste aggressioni le ha pagate l’Europa perché i Paesi musulmani, con l’eccezione dell’Afghanistan che fa caso a sé, sono alle nostre porte di casa mentre gli Stati Uniti li hanno a diecimila chilometri di distanza. Di qui le migrazioni dal Medio Oriente in guerra, combinate con quelle dell’Africa subsahariana che l’intero Occidente, e non solo gli Stati Uniti, ha contribuito a destrutturare culturalmente e socialmente riducendola alla fame. E le migrazioni sconquassano l’Europa ponendola in una situazione difficilissima dove si combatte una guerra fra poveri, i nostri e quelli che vengono da fuori.

Adesso Wikileaks ci informa, documenti alla mano, di ciò che in realtà sapevamo da tempo: che gli americani ci spiano, spiano i nostri politici, spiano le nostre aziende, spiano i cittadini comuni. Un alleato che spia i propri alleati è un alleato leale? E’ un vero alleato o non piuttosto un nemico da temere? L’Europa, se vuole sopravvivere, deve liberarsi al più presto di questo ‘alleato’ come ha avuto il coraggio di fare perfino il filippino Duterte. Approfittando delle incertezze di Donald Trump deve denunciare il Patto Atlantico, uscirne e rimandare a casa le basi NATO e le basi americane, che godono di una inammissibile extraterritorialità che mina la nostra sovranità, presenti in gran numero in Germania e in Italia. E’ vero che gli americani, insieme agli inglesi, ai neozelandesi, ai marocchini e persino ai razzisti sudafricani, ci hanno liberato dal nazifascismo. Ma sono passati 75 anni da allora. Come ha detto Luciana Littizzetto (a volte i comici, con la sinteticità della battuta, sono più chiari ed efficaci dei politici) “quando scade il mutuo?”. Secondo noi il mutuo è scaduto da tempo e l’Europa non ha più alcuna convenienza a pagarne gli enormi interessi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 11 marzo 2017