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«Pagherete caro, pagherete tutto» ero il motto dei sessantottini. Da molti anni io l'ho riformulato così: «Rimpiangerete caro, rimpiangerete tutto». Visto Renzi, temo che toccherà anche a noi, che gli siamo ostili da sempre, rimpiangere Silvio Berlusconi. Per una patologica ipertrofia dell'io Renzi e Berlusconi sono alla pari, ma quanto a spocchia, arroganza, villania, volgarità e persino «una ridicola autocrazia mascherata da riformismo parolaio», come scrive Piero Ostellino sul Corriere (29/10), il primo batte il secondo e di parecchie lunghezze.

Questo signore che non è stato eletto da nessuno, che non ha avuto il consenso di nessuno (perché le elezioni europee poco o nulla hanno a che fare con quelle italiane), che dice, tronfio di sè, di rappresentare il 40% della popolazione mentre, se va bene, ne rappresenta solo un quinto, perché solo la metà dei cittadini è andata a votare, ci informa che governerà fino al 2023, altri nove anni, e solo dopo, bontà sua, si farà da parte. Credo che nemmeno Berlusconi sia arrivato a tanto.

Provvedimenti importanti del governo li annuncia via twitter o nei talk show, in cui è onnipresente aggirandovisi come una trottola impazzita, e il cittadino è frastornato perché non capisce se si tratta già di leggi dello Stato o di semplici boatos propagandistici destinati ad approdare nel nulla, come finora è quasi sempre avvenuto. E se invece qualcuno di questi provvedimenti diventa effettivamente una legge si scopre che manca la copertura economica, e tutto viene rinviato a degli imprecisati decreti attuativi, o si rivelano una solenne presa in giro. Come per le tasse. Anche se su questo terreno Berlusconi ha la coscienza assai sporca, ha buon gioco nel dire che «Renzi quel che dà con una mano lo toglie con l'altra».

Parla si sè in terza persona, come il Re Sole. Tende ad abolire ogni dibattito interno nel suo partito. E' un'esperienza già fatta da Craxi e abbiamo visto com'è andata a finire. Si sente 'novo', 'novissimo' ma in realtà è entrato nel partito che oggi vuole distruggere, identificandolo con la sua persona, all'età di 22 anni, godendo del privilegio, come quasi tutti i politici, di non aver fatto una sola ora di lavoro vero (almeno Berlusconi ha lavorato per più della metà della sua vita ed è diventato, sia pure con metodi che per carità di patria chiameremo solo 'disinvolti', un grande imprenditore).

Ha affermato che «i piccoli partiti sono stati la sciagura dell'Italia». Per la verità una sciagura molto più grave è stata proprio il suo partito, non intendo il Pci che era una cosa seria ma quel Pds in cui milita da diciassette anni. In realtà approffitando di un vuoto politico, del collasso di una destra che non è mai riuscita ad esser tale, vuole arrivare a 'un partito unico nazionale' di cui sarà ovviamente il Capo. Beh, se è per questo andiamo a Predappio e riesumiamo la salma di Benito Mussolini. Almeno il Duce aveva in testa un'idea di Stato e di Nazione, costui in testa ha solo se stesso.

Dicono che ha un linguaggio giovanilistico. Non è giovanilistico, è solo volgare. «Burraco tua sorella» è un'espressione che ho sentito, l'ultima volta, trent'anni fa, in bocca a un ragazzotto di un paesino romagnolo.

Dicono sia un bel ragazzo. I gusti son gusti. Ma se si entra in questo terreno lombrosiano sia consentito anche a noi di fare qualche osservazione. Guardategli gli occhi: sono ambigui, sfuggenti, infidi, come ambigua, sfuggente, infida è la sua persona. Del resto ha detto al suo compagno «stai sereno» e due giorni dopo gli ha soffiato il posto. Se si fosse comportato così in un bar non avrebbe più potuto metterci piede. E invece è presidente del Consiglio della Repubblica italiana.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 30 ottobre 2014

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Nel vertice dei ministri degli Esteri dell'Unione Europea tenutosi a Bruxelles la settimana scorsa si è deciso di inasprire le sanzioni contro la Siria. Fra le varie proposte c'è quella di imporre l'embargo alle esportazioni di carburante destinato ad alimentare l'aviazione militare di Assad. Deus dementat quos vult perdere. Il Dio fa impazzire coloro che vuol perdere. L'Isis ha conquistato un vasto territorio compreso fra Siria ed Iraq, ma in qualche modo è intrappolato. A est ha di fronte una potenza militare come l'Iran con cui non può certo competere. Idem a nord con la Turchia. L'unica sua possibilità di un'ulteriore espansione è verso sud-ovest, cioè verso Damasco. Se si toglie ad Assad la superiorità aerea i guerriglieri dell'Isis, che sul campo si sono dimostrati formidabili umiliando anche i famosi 'peshmerga' curdi che tengono botta a fatica e solo grazie alle incursioni aeree di americani e francesi (mi spiace dirlo, io amo il popolo curdo, un popolo tradizionale, che ho sempre difeso nelle sue sacrosante istanze di indipendenza mentre tutti se ne fregavano -«Perché l'Onu non aiuta i Curdi?», Europeo, 26/4/1991, fra i tantissimi- così come difesi Ocalan, il leader del Pkk, abbandonato vergognosamente dall'Italia alle famigerate carceri turche) di quel che resta della Siria faranno un sol boccone e si troveranno a controllare un territorio più grande dell'Italia dal quale potranno organizzare ancor meglio le proprie forze e strategie. Tuttavia il pericolo più grave per l'Occidente non viene dall'espansione dell'Isis in Medio Oriente, anche se il fenomeno si lega, per vie naturali, agli shabaab somali, al Boko Aram nigeriano e alle cellule del radicalismo islamico presenti in Egitto, in Algeria, in Bosnia, in Kosovo, e nemmeno dai foreign fighters, francesi, inglesi, canadesi, americani (sinora 2000 in tutto) che dopo essere andati a battersi per il Califfato sono rientrati nei Paesi d'origine e di cui si teme che, con l'esperienza acquisita, possano importarne le tecniche terroriste. Per le varie 'intelligence' non dovrebbe essere difficile individuare questi soggetti che hanno fatto anda e rianda con l'Iraq. I foreign fighters non sono pericolosi in sè, ma per il segnale che mandano. Io non credo che il loro andare a combattere in Iraq, dopo frettolose conversioni all'Islam, abbia alcunché di religioso. E' invece la punta dell'iceberg di un profondissimo disagio di moltissimi giovani che vivono nelle democrazie occidentali. La democrazia è un sistema di regole e di procedure. Non è un valore in sè. E' un sacco vuoto che andrebbe riempito di contenuti. Purtroppo, in due secoli, il pensiero e la prassi liberale non sono riusciti a colmarlo se non di contenuti quantitativi e materiali. In questa assenza di valori molti giovani cadono in preda a 'depressioni cupissime' (che nell'articolo della settimana scorsa attribuivo alle ragazze ma che riguardano ovviamente anche i ragazzi) o in qualche forma di autodistruzione. Ma prima o poi potrebbero svegliarsi e portare la rivolta, in salsa islamica, non andando in Iraq, ma qui in Occidente. E allora sarebbero cazzi acidissimi. Perché infiniti e incontrollabili sarebbero gli obbiettivi 'sensibili', come dimostrano le vicende canadesi, e, quel che è peggio, non identificabili i soggetti che, da un giorno all'altro, decidessero di passare dalla passività alla ribellione armata.

La forza dell'Isis non sta nella sua forza. Sta nella debolezza dell'Occidente. Che non è militare -possediamo armi con cui possiamo distruggere il pianeta intero- ma valoriale.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2014

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Chi segue questa rubrica sa che io mi batto da anni contro i reati di opinione che sono in gran parte un retaggio del Codice fascista di Alfredo Rocco. In una democrazia i reati di opinione non dovrebbero avere diritto di cittadinanza.

Adesso Francesco Storace è a processo per 'vilipendio del Capo dello Stato' avendo definito 'indegno', a suo tempo, il comportamento di Giorgio Napolitano . In seguito il leader della Destra si è scusato con il Presidente che l'ha 'perdonato'. Ma questo dal punto di vista giuridico non vuol dire nulla, perché non siamo nel diritto iraniano, dove il perdono della vittima estingue la pena, siamo ancora, bene o male, nel diritto italiano. Storace ha ricevuto una valanga di attestati di solidarietà, «da Gianfranco Fini a Vladimir Luxuria, da Silvio Berlusconi a Roberto D'Agostino». Sacrosanto, a parte la qualità dei personaggi 'scesi in campo' a difesa di Storace. Ma la telefonata più sorprendente Storace l'ha ricevuta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando che vedendo su twitter l'hashtag #iostoconstorace (questi ministri, come il loro premier, passano delle ore davanti ai social network) ha sentito il bisogno di scusarsi con lui. Ora, un ministro della Giustizia non può scusarsi con un imputato che è a processo secondo le leggi dello Stato italiano che lui stesso, in questo caso più di ogni altro ministro, rappresenta. Così come (è il caso Napolitano-Mancino a proposito della presunta 'trattativa Stato-mafia) un Presidente della Repubblica non può intrattenersi a colloquio con un'imputato su questioni che riguardano il suo processo. Al massimo, ed è già tanto, può augurargli 'buon Natale' se si è in periodo di festività.

Il fatto è che sono saltate tutte le regole in questo straordinario Paese dove un detenuto molto speciale, e molto poco detenuto, può incontrare il capo della seconda Potenza mondiale (immagino che non si siano limitati a parlare solo di calcio-balilla).

Svegliandosi da un lungo letargo in materia anche Pierluigi Battista si è accorto che i reati di opinione sono una aberrazione in una democrazia degna di definirsi tale e sul Corriere del 21/10 scrive: «I reati di opinione sono una triste eredità del fascismo che la democrazia repubblicana e antifascista non ha mai voluto mettere in soffitta». Peccato che Battista, e tutti i Battista, non abbia emesso un guaito di disapprovazione per una norma liberticida varata in piena 'democrazia repubblicana'. Mi riferisco alla cosiddetta 'legge Mancino' che punisce con la reclusione fino a tre anni «chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico...alla stessa pena soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche». E' una legge chiaramente liberticida che supera quelle dei peggiori totalitarismi perché arriva a punire anche l'odio, che è un sentimento e, come tale, incomprimibile. Ed invece è stata salutata, da Battista e da tutti i Battista, come un insigne esempio del 'democratically correct'.

Recentemente la Cassazione ha ribadito la condanna di due ragazzi che durante una manifestazione di Casa Pound «avevano urlato in coro 'presente' e fatto il saluto romano». La Cassazione ha visto in questi gesti 'rigurgiti di intolleranza'. A me pare che l'intolleranza stia proprio dall'altra parte, quella democratica.

Scrive Battista, a proposito del 'caso Storace': «Prevale la malcelata soddisfazione per i guai giudiziari di un avversario politico». A me non pare proprio. Quella politica è l'unica, vera, classe rimasta su piazza. E si autotutela. Storace, in un modo o nell'altro, se la caverà, giustamente. A volare in questo Paese sono solo e sempre gli stracci.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 24 ottobre 2014