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pubblicato su il Fatto il 18 ottobre 2010


Domenica mattina Niccolò Ghedini, parlamentare della repubblica e avvocato di Silvio Berlusconi, ha dichiarato: «Sarebbe davvero grave se la Rai mandasse in onda un programma con notizie così insussistenti e diffamatorie senza alcun contraddittorio». Si riferiva alla trasmissione Report di Milena Gabanelli, di cui i giornali avevano fornito qualche anticipazione, che trattava dell''acquisto da parte di Berlusconi, per 20 milioni di euro, di due megaville e di un vastissimo appezzamento di terreno nell'isola di Antigua. C'è il ragionevole sospetto e parecchi indizi, almeno secondo la ricostruzione di Report, che tale acquisto sia avvenuto attraverso delle società "offshore" (del resto Antigua è una specie di capitale dell' "offshore" nella lista nera dei cosiddetti "paradisi fiscali") proprio mentre sono mesi che i giornali berlusconiani, il Giornale, formalmente di proprietà del fratello del Cavaliere, Paolo, ma, come tutti sanno, sotto il controllo di Berlusconi, e Libero, fanno una durissima campagna stampa contro il presidente della Camera, trasformatosi da "cofondatore" del Pdl in "arcinemico", per un appartamentino di 65 metri quadri finito nelle mani del quasi cognato di Fini (ieri il Giornale titolava «La perizia dei Pm che inchioda Fini». È curioso, per dir così, che per i giornali berlusconiani i Pubblici ministeri siano dei mascalzoni, delle "toghe politicizzate" quando inquisiscono il Cavaliere, i suoi figli, i suoi collaboratori o i suoi amici, mentre diventano impovvisamente credibili se indagano su qualche avversario politico). Inoltre nella lunghissima filiera che porta all'acquisto da parte di Berlusconi di mezza Antigua compare la filiale italiana della banca svizzera Arner messa sotto inchiesta prima dagli ispettori della Banca d'Italia e poi dalla magistratura per "ipotesi di riciclaggio". Ce n'è quindi quanto basta per un'inchiesta giornalistica che non pretende di avere la verità in tasca ma pone delle domande inquietanti e dei dubbi legittimi.


Il tentativo di censura preventiva di Niccolò Ghedini (poi fallito, perché la trasmissione di Gabanelli è andata regolarmente in onda) non ha precedenti, che io ricordi, nella pur tribulata storia della Rai-Tv italiana, se non, forse, nel "niet" berlusconiano dato al programma Cyrano in cui io avevo la parte nemmeno di conduttore (che era la brava Francesca Roveda) ma di semplice commentatore che doveva legare fra di loro e dare un senso ai vari servizi. Ma quello era un caso particolare perché la censura non era sui contenuti del programma, che nessun funzionario Rai aveva avuto modo di vedere e che peraltro trattava temi di costume politicamente innocui, la vecchiaia, l'atteggiamento nei confronti della morte, il narcisismo), ma sulla mia persona. Un caso quindi meno eclatante, perché politicamente di nessun impatto, ma in profondità, qualitativamente, forse più grave perché stabiliva una censura "ad personam" per cui alcuni non potevano lavorare, a prescindere, per la Tv pubblica, sulla loro giacca era appuntata una stella gialla (per la cronaca il programma non andò in onda e il suo produttore e regista, Eduardo Fiorillo, che non si era piegato al diktat del direttore di Rai Due Antonio Marano - «puoi fare la trasmissione ma solo se escludi Fini perché su di lui c'è un veto politico/aziendale» - non ha più lavorato per le tre reti nazionali).


Con Gabanelli, ritenuta unanimamente la migliore inchiestista televisiva italiana, il tentativo di censura è invece andato a vuoto. Chi, come Ghedini e altri collitorti del Pdl, tipo Alessio Butti, capogruppo in Vigilanza Rai (e anche sulla Vigilanza ci sarebbe parecchio da dire perché è divisa cencellianamente fra esponenti della destra e della sinistra, per cui ciò che è toccato l'altro giorno a Gabanelli potrebbe, cambiato il governo, capitare a un giornalista eterodosso, non allineato completamente alla destra o a un qualsiasi, se esiste ancora, "cane sciolto"), lamenta che nella trasmissione non c'era contraddittorio, non conosce, o fa finta di non conoscere, che cos'è il giornalismo. Un'inchiesta non è un talk-show né una Tribuna Politica dove siedono, ben allineati, gli esponenti dei vari partiti. È un'inchiesta che va valutata per ciò che dice, per ciò che dimostra o cerca di dimostrare. Se ci sono degli elementi sbagliati o menzogneri chi se ne sente colpito può reagire con una smentita o, nei casi più gravi, con una querela per diffamazione "con ampia facoltà di prova" come si faceva un tempo quando gli uomini, politici e non, volevano tutelare il loro onore, mentre adesso si ricorre alla molto più insidiosa azione civile di danno che consente al presunto diffamato di uscire vincitore dal processo anche se le malefatte a lui attribuite sono vere perché nell'azione civile il "focus" è centrato sul danno e anche un ladro può essere danneggiato se è stato definito tale "in termini non continenti").


Sono principi elementari, questi, che ci si vergogna di dover spiegare. Principi che l'avvocato Ghedini, uomo di legge,  non può non conoscere. E allora perché si è lanciato in una dichiarazione così temeraria? A scopo intimidatorio, a futura memoria, non nei confronti di Gabanelli che è sufficientemente strutturata e nota, come Michele Santoro, per resistere a queste intimidazioni. Ma nei riguardi di altri giornalisti, televisivi e non, più giovani, meno noti, meno politicamente protetti che saranno inevitabilmente portati ad avere, per dirla in termini tennistici, "il braccino corto" quando si troveranno ad avere per le mani inchieste scottanti. È una forma di pedagogia negativa. E non tutti hanno la schiena dritta e il coraggio morale di un Eduardo Fiorillo che per difendere un principio, per reagire a un sopruso fatto non tanto nei confronti suoi ma di altri, si gioca la carriera e perde qualche milione di euro.


Massimo Fini