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Il risparmiatore è il fesso istituzionale del sistema del denaro. Perché, avendone poco, lo presta, attraverso l’intermediazione delle banche, ai ricchi perché diventino sempre più ricchi. Se poi a costoro le cose van male scaricano i loro debiti, divenuti inesigibili, sulle banche che, a loro volta, li scaricano sui risparmiatori che, in varie forme (conti correnti, obbligazioni) vi han depositato i propri quattrini.

Il fatto è che esiste una regola generale, quella enunciata da Vittorio Mathieu nella sua pregevole Filosofia del denaro: “I debiti, alla lunga, non vengono pagati”. Per questo i grandi imprenditori e finanzieri, che sono quelli che hanno capito meglio il gioco, hanno più debiti che crediti. Basta leggere, con una certa attenzione, i loro bilanci. Per la verità la figura dell’imprenditore è radicalmente e antropologicamente cambiata dopo la Rivoluzione industriale. Un tempo il mercante utilizzava il proprio patrimonio e, conseguentemente, si accollava in prima persona tutti i rischi. Se falliva erano affari suoi. Oggi l’imprenditore, soprattutto il grande imprenditore, rischia il denaro che gli viene prestato dalle banche che a loro volta, come si è detto, mettono a rischio quello che han loro prestato i risparmiatori. E’ l’intrapresa sulla pelle altrui.

Ma il risparmiatore ha anche un altro grave handicap. Il denaro, poiché è un puro nulla e non ha un valore in sé, intrinseco, ma rappresenta solo una scommessa sul futuro, è estremamente volatile e si sposta in continuazione per andare a cercare la situazione dove è meglio remunerato, con una velocità che è diventata stratosferica da quando, dopo essere stato sganciato definitivamente dall’oro, si è fatto ancor più virtuale e grazie al computer può spostarsi, in quantità enormi, da un settore all’altro. Ma poiché qualsiasi investimento, prima o poi, più prima che poi, va in perdita, l’abilità del finanziere è di abbandonarlo un attimo prima lasciando il cerino acceso ad altri. Questo il piccolo risparmiatore, col suo modesto gruzzolo, non può farlo. E’ costretto a immobilizzare il suo capitale, pronto per essere impallinato come un tordo. Questa rapina può essere attuata in due modi. O lentamente, come in una tortura cinese, per esempio con l’inflazione per cui il valore nominale del nostro denaro non corrisponde più a quello reale. O con uno scippo improvviso. La storia è piena di crac non di banchette come Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti, Carife ma di prestigiosi e anche statali Istituti di credito. Si cominciò con l’antica Banca di Copenaghen che fu costretta a sospendere i pagamenti nel 1745; rifondata nel 1791 collassò nuovamente nel 1831; la Banca di Vienna sospese i pagamenti nel 1797 e la Banca di Stoccolma, la prima Banca centrale comparsa nel mondo, nel 1762 pagava soltanto 1/96 dei suoi debiti originari. Poi ci sono i collassi, non di questa o quella Banca, ma di un intero Paese: la grande inflazione che colpì gli Stati Uniti dopo la guerra di secessione (al Sud la moneta perse il 98,4% del suo valore) e quella, ancor più devastante, di Weimar che in pochi mesi cancellò l’intero risparmio tedesco, fino al notissimo crollo di Wall Street del ’29. Si potrebbero anche ricordare i bond argentini, il collasso del Messico del 1996 e delle cosiddette ‘piccole tigri’ asiatiche nel ’96/’97. Ma fermiamoci qui.

Un’ulteriore beffa per il normal people contemporaneo è che da una parte gli si chiede imperiosamente di risparmiare per finanziare, attraverso le banche, la produzione, dall’altra, altrettanto imperiosamente, gli si intima di consumare, sempre per tenere in piedi la produzione (come ho già scritto altre volte non produciamo più per consumare, ma consumiamo per poter produrre, siamo i tubi digerenti, i lavandini, i water da cui deve passare il più rapidamente possibile ciò che altrettanto velocemente produciamo, degradati da esseri umani a consumatori). Una mission impossible. Anche se, fra le due scelte, il modo migliore per salvare il nostro denaro è spenderlo, dilapidarlo. Possibilmente a bagasce o al Casinò.

Infine si sarà anche vecchi e intorpiditi ma in un mercato in cui il denaro, per i comuni mortali, non dà alcun interesse o, se lo dà, è negativo, si dovrebbe perlomeno diffidare di chi propone guadagni che sfiorano il 10 per cento. Spiace dirlo ma i risparmiatori delle varie Banca Etruria sono stati particolarmente coglioni. E il risultato di questa coglionaggine è che, col ‘decreto umanitario’ varato dal Governo, ricadrà sulla testa di tutti i contribuenti. La solita soluzione all’italiana.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2015