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C’ero al V-Day dell’8 settembre 2007. E sono contento di aver parlato dal palco insieme a Travaglio, che non era ancora il Travaglio superstar di oggi, alla Guzzanti e mi pare ad Alessandro Bergonzoni. In piazza Maggiore, piena fino all’inverosimile, si respirava un’atmosfera che mi sonava dentro. Un’atmosfera antipartiti contro i quali avevo cominciato una solitaria battaglia dai primi anni ‘80. Mi ricordo che c’era un tale che sventolava una bandiera rossa e Grillo gridò: “Tirala giù, che porta sfiga!”. Peraltro per me il ‘Vaffa’ non era del tutto una novità. Quando Grillo aveva cominciato a trasformare i suoi spettacoli da comici a politici mi aveva chiesto dei consigli perché aveva letto il mio La Ragione aveva torto?. E io glieli diedi tutti sbagliati. Fu mia l’idea di spaccare in scena un computer. Poi arrivò Gianroberto Casaleggio che di tecnologia informatica s’intendeva un po’ più di me e quella massa di piazza Maggiore si trasformò nel Movimento Cinque Stelle.

Mi pare che i Cinque Stelle non abbiano tradito piazza Maggiore e la gente che la popolava. Sono rimasti un movimento antisistema che vuole abbattere la partitocrazia. I suoi limiti, come ho detto ad Alessandro Di Battista sul palco della Versiliana, stanno proprio nei suoi pregi. Le linee guida del Movimento, tutte condivisibili e vere, sono state interpretate in modo eccessivamente rigido, poco duttile. E, come diceva Chesterton, “l’errore è una verità impazzita”. Tradotto: anche il più giusto dei princìpi se portato alle sue estreme conseguenze diventa un errore.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2017