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Invecchiamo tutti male, ma qualcuno invecchia peggio degli altri. E’ il caso, quasi drammatico per chi lo ha conosciuto bene, di Vittorio Feltri, il quasi mitico direttore dell’Indipendente che portò da 19.500 copie a 120 mila in un anno e mezzo (1992-1994), prima di trasferirsi alla corte di Berlusconi.

L’altra notte la giornalista che stava facendo la rassegna stampa di Sky Tg24 segnalava come primo giornale Libero e il suo titolo di testa “Da Galileo a Di Maio-come siamo scesi in basso”, definendolo “originale”. Purtroppo non è originale, è ridicolo, rasenta e supera il grottesco. Feltri ricorda alla rinfusa alcuni italiani illustri (Leonardo Da Vinci, Guglielmo Marconi, Enrico Fermi, Galileo Galilei, Meucci, Rubbia, Olivetti) e li paragona a “un ragazzotto senza arte né parte” come Luigi Di Maio. Deve essersi bevuto il cervello per non accorgersi che nessuno dei personaggi da lui citati è stato un uomo politico. Ma al di là di questo dettaglio quale dei nostri politici attuali può reggere il raffronto con Leonardo Da Vinci? Salvini? Renzi? Grasso? Verdini? Brunetta? Berlusconi? E’ curioso che Feltri si accorga del basso livello dei nostri uomini politici solo ora. E anche del basso livello culturale degli italiani cui lui stesso ha contribuito con articoli sempre più sgangherati, scevri di alcuna logica. E volgari. La volgarità è diventato un marchio dell’ultimo Feltri. L’avevo conosciuto come uno che si vestiva come si può vestire un bergamasco quale è. Cioè stava nei suoi panni e uno che sta nei suoi panni, si tratti di un aborigeno australiano o di un contadino padano, non è mai volgare. Adesso Feltri, rimpannucciato, per fare il figo si veste all’inglese. Non sa che nessun inglese si è mai vestito all’inglese. Naturalmente i più implicati in questo degrado sono gli undici milioni di italiani che hanno votato i Cinque Stelle e con loro Luigi Di Maio, “rimbambiti e completamente fuori di senno”. Forse rimbambito e fuori di senno, qui, è qualcun altro. Invece per quest’ultimo, svilito, immiserito, irriconoscibile Feltri, che ritrova anche il suo innato razzismo, rincoglionita è “la folla di terroni e vari fessi settentrionali ex comunisti dall’encefalogramma piatto”. Nella sua foga scarcassata Feltri parla anche di “nani inguardabili”, dimenticando che per lungo tempo è stato al servizio del “nano” per eccellenza. Feltri fa finta di dimenticare che in democrazia il voto popolare è sovrano. E’ vero che a Feltri della democrazia non è mai fregato nulla, come a me, solo che io ho sempre avuto il coraggio di dirlo e lui no. Se ne accorge solo adesso. Se il paragone non fosse insultante per Mussolini vede il Parlamento come “una bettola piena di mediocri, sciurette e nullafacenti”. Si dimentica dei delinquenti.

Dice ancora Feltri, ma preferirei chiamarlo, per l’affetto che conservo ancora per lui, lo pseudo Feltri, che “abbiamo bisogno non di volti nuovi bensì di vecchi saggi”. E qui sta il nocciolo di tutto il suo articolo. Gli italiani dovrebbero “togliersi dalle palle” Luigi Di Maio e tenersi “il vecchio saggio” Silvio Berlusconi, un uomo che, se vogliamo parlare di quella “dignità della Patria” che Feltri improvvisamente riscopre, ci ha fatto fare figuracce inenarrabili ogni volta che ha messo piede all’estero (il “kapò” affibbiato all’europarlamentare Martin Schulz, poi diventato presidente del Parlamento europeo, le corna fatte a un ministro spagnolo durante un importante consesso internazionale, il suo avvicinare, da scolaretto impertinente –ed era già intorno ai settant’anni – le teste di Putin e Obama, eccetera, eccetera) lasciando perdere, proprio per carità di patria, la sua attività delinquenziale.

Di questo “vecchio saggio” che è su piazza da più di un quarto di secolo siamo noi ad averne “le palle piene”. E anche di Vittorio Feltri.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 6 aprile 2018