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L' altro giorno si è rotta la mia Olivetti lettera 35. Non è cosa nuova. Consumo, in media, una macchina l'anno (ma c'è chi, come Mario Cervi, se ne fa tre ) da quando la mia mitica lettera 32 comprata in epoca pre-De Benedetti, dopo più di dieci anni di fedele servizio, ha dato definitivamente forfait. Naturalmente stavo scrivendo un pezzo e mi sono precipitato dal concessionario Olivetti che sta vicino a casa mia in via Vittor Pisani 13: Savino Antonio s.a.s. di Savino A.& C. Qui mi han detto che non avevano macchine da scrivere manuali (cioè meccaniche, non elettroniche o computer): la lettera 35 non la fanno più e il nuovo modello, la lettera 25, non era ancora arrivata «anche se» mi ha detto una signora biondiccia con forte accento tedesco, mi è parso, «noi l'ordinazione l'abbiamo fatta da tempo e la macchina dovrebbe essere già qui. Ma perché non ne prende una elettrica? Sono tanto più comode». Ho spiegato che mi serviva una portatile e che, comunque, sono trent' anni che scrivo con le macchine manuali, ci ho fatto troppo l' abitudine per cambiare adesso. La signora mi ha fatto allora vedere il depliant della nuova lettera 25: mi è sembrata ancor più fragilina delle precedenti, anche se la parte meccanica pareva sostanzialmente la stessa. Ho chiesto alla signora se poteva indicarmi un altro concessionario Olivetti. No, la signora non sapeva. L 'ho capita: a nessuno piace favorire i concorrenti. Ci siamo lasciati con l'impegno che mi avrebbero telefonato quando fosse arrivata la lettera 25. Tornato a casa ho consultato l' elenco del telefono e ho chiamato un paio di concessionari Olivetti: nessuno aveva macchine manuali, di alcun tipo, ero in attesa della famosa lettera 25. Ho chiamato L'Indipendente e ho chiesto alla nostra Simonetta se avevano una macchina manuale e me la potevano prestare. Simonetta si è data subito da fare, con la con la solerzia di sempre, ma dopo mezz'ora mi ha telefonato sconsolata: in tutta la redazione non ce n' era nemmeno una. Ho chiamato allora L'Europeo, l' altro giornale per cui lavoro. Stessa risposta. «Possibile che in tutta Milano non ci sia una sola, vecchia, cara, onesta macchina da scrivere?» ho pensato e mi sono ricordato che Vittorio Feltri, il nostro ex direttore e ora arcinemico, usa macchine di questo tipo. Ho telefonato al Giornale e, per non disturbare direttamente Vittorio, ho parlato col vicedirettore, Maurizio Belpietro. Maurizio è stato gentile e affettuoso, come al solito: «Io ne ho una. Te la mando. Anche se» ha aggiunto scherzosamente «mi secca un po' che tu ci scriva per la concorrenza». Era una Olivetti College che ho usato fino al giorno, martedì della settimana scorsa, in cui la concessionaria di via Vittor Pisani mi ha telefonato, di buon mattino, per avvertirmi che era arrivata la lettera 25. Ho rimandato subito la College a Belpietro e sono andato dal concessionario. Oltre alla signora e ad una ragazzetta che funge da segretaria questa volta c'era anche il titolare, Antonio Savino, un uomo di mezza età. Abbiamo provato la macchina. Funzionava. Qualche problema c' è stato quando il titolare ha voluto metterla nella sua custodia. Si tratta infatti di una custodia che non è  rigida, com' era quella della 32, né morbida, come quella della 25, ma semirigida. Il titolare non riusciva a farci entrare la macchina. Gli ho detto dr lasciar perdere. Ma lui ha insistito finché in due, uno tenendo aperta la custodia come un sacco e l' altro infilandovi a fatica la macchina, ne siamo venuti a capo. Ho pensato che non era il massimo della comodità per una portatile. Sciocchezze, comunque. Ho pagato con un assegno: 220 mila lire. La signora ha voluto un documento di identità e la cosa mi ha un po' stupito perché avevano il mio numero di telefono e in quel negozio avevo fatto altri acquisti. Rientrato nella mia abitazione ho cambiato il nastro di fibra sintetica, che fa un segno molto leggero che mi stanca gli occhi, con uno di cotone. O meglio: c'ho provato. Il cerchietto avvolgitore di destra non si inseriva perfettamente nel suo perno. Ma, cosa più grave, il nastro girava in una sola direzione, da sinistra verso destra, e le due forcelline che ne invertono il movimento non ne volevano sapere di cambiare posizione. Ho reinserito il nastro originale, casomai dipendesse da quello, ma ne dubitavo, però le forcelle, anche se spostate manualmente, ritornavano inesorabilmente su se stesse. Ho osservato attentamente la macchina per vedere se c' era qualcosa che la bloccava. Ho provato a schiacciare tutti i possibili tasti. Niente da fare. Ho cercato il libretto delle istruzioni: non c'era. Siccome non volevo forzare la macchina, dopo un po' ho rinunciato. Ma poiché, per un maligno caso, entrambi i miei nastri erano avvolti interamente sul cerchietto di sinistra non potevo scrivere nemmeno un rigo. La macchina era bloccata. S' era fatta la mezza. Ho chiamato la concessionaria ma ha risposto la segreteria telefonica. Il negozio era chiuso per l'intervallo. Ho cominciato a preoccuparmi Quel giorno infatti dovevo scrivere un pezzo lungo ed impegnativo (quello che sarebbe stato intitolato “Temo i missini dell'ultim'ora” e che, a giudicare dalle telefonate e dai fax che ho ricevuto, è piaciuto ai lettori) e alle tre avevo un appuntamento col mio avvocato. Nessuna possibilità quindi di risolvere la faccenda prima di metà pomeriggio. Dalla riunione con l'avvocato sono rientrato verso le quattro e mezza. Ho preso la lettera 25 e sono andato alla concessionaria. C'era la ragazzetta e le le spiegato il problema. Lei ha osservato la macchina ma, onestamente, mi ha detto che non ci capiva niente. «Deve parlare col titolare, ma adesso sta telefonando». Sentivo infatti la voce dell'uomo che veniva da un soppalco. Sono passati cinque minuti, dieci. lo, naturalmente, friggevo. Ho detto alla ragazza se poteva dare una voce. «Adesso finisce». Mi sono messo ad ascoltare la telefonata per cogliere il momento dei saluti. Il titolare parlava con un tale, che chiamava ingegnere, col quale sembrava intento a sistemare il piano urbanistico di mezza Milano. Quando ero lì da un quarto d'ora e più, la conversazione è sembrata afflosciarsi e avviarsi alla conclusione. Illusione. Il titolare aveva attaccato un altro discorso: parlava adesso dei barboni e dei drogati che infestano via Vittor Pisani, dei cartoni in cui dormono, della sporcizia. Diceva che era uno sconcio e che l'ingegnere doveva fare piazza pulita. La cosa è andata avanti alcuni minuti. Quando il titolare è sceso mi sono fatto incontro. Ma un' altra telefonata mi ha stoppato subito. Questa volta si trattava di un architetto e di una partita di mobili usati. La questione era complicata dal fatto che il titolare era disposto a ritirarli , ma li voleva gratis. Avevo acceso non so quante sigarette, guardavo di continuo l' orologio. Ma il mio evidente nervosismo non turbava la calma olimpica del titolare. Quando ho potuto finalmente esporgli il mio problema il titolare mi ha guardato con commiserazione, con l'aria di dire: «Guarda questo imbranato, 'sto pivellino che si arrende alla prima difficoltà». Ha preso il nastro che gli porgevo, si è seduto e ha inserito i cerchietti avvolgitori ma quello di destra non entrava bene. «È successo anche a me» ho detto. «Eh, ci vuole un po' di pazienza nella vita. Bisogna far ruotare il cerchietto, vede, finché non si trova nella posizione giusta». Ma il cerchietto non voleva saperne di entrare. Dopo cinque minuti di inutili tentativi il titolare ha esclamato: «Ma che nastro mi ha dato? Questo non è l'originale!». «No, è di cotone, io preferisco scrivere con nastri di cotone». «Ah, allora capisco perché non entra, non è il suo». «l nastri, sintetici, di nylon, di seta o di cotone, sono standard» ho osservato «non mi pare tranquillizzante se ogni volta che si vuoI cambiar nastro si devono fare queste manovre, perché i nastri si cambiano molte volte durante la vita di una macchina, soprattutto se uno scrive molto, come capita a me». «Eh, eh, ma lei avrà forzato, avrà rotto qualcosa». Il titolare si è fatto portare un cacciavite e,  finalmente, anche l' avvolgitore di destra è entrato nella sua sede. «Adesso le faccio vedere come si monta correttamente,un nastro» ha detto il titolare e, sempre con quella sua aria di grande sufficienza, si è messo a spiegami con minuzia di particolari tecnici le operazioni che faccio da trent'anni. «Temo che il problema non sia lì» ho detto «sono le forcelle che non si spostano». «Vedrà che quando il nastro è inserito come si deve andranno a posto anche le forcelle». Ha armeggiato per alcuni minuti. Ora non aveva più la sua calma olimpica, stava perdendo la pazienza. Con me. «Lei ha fatto qualcosa a questa macchina». «No, guardi, ho solo cercato di cambiare il nastro e ho desistito quasi subito». «Lei ha rotto la macchina». Per tagliar corto gli ho detto: «Senta, la mandi da un tecnico a riparare, intanto gliene compro un'altra, se c'è». Il lettore penserà che sono masochista perché chiunque avrebbe capito che la lettera 25 è una baracca. L' avevo capito persino io, ma dovevo scrivere a tutti i costi quel pezzo. E per un pezzo sono sempre stato disposto a tutto. Il titolare mi ha consegnato un'altra lettera 25. Ho detto che volevo cambiare il nastro con quello di cotone e che desideravo che questa operazione la facesse lui, a scanso di ulteriori equivoci. Sbuffando il titolare ha eseguito. Ho aggiunto che anche sulla prima macchina volevo fosse montato il nastro di cotone, quando me l'avrebbero riconsegnata. «Non abbiamo nastri di cotone». «vabbe', ma proprio qui dietro, in via Fabio Filzi, c'è un cartolaio che li vende». Il titolare aveva un' aria costernata. Ha detto: «Perché non lo porta lei quando viene a ritirare la macchina?». Pur di togliermi di lì ho subìto ancora, come Fantozzi, e ho detto: «Va bene, facciamo così». Ho firmato un assegno di altre 220 mila lire. Il titolare voleva mettere la macchina nella custodia. «Per carità, non perdiamo altro tempo» e sono uscito dal negozio con la lettera 25 in mano. Quando mi sono messo a scrivere erano le sei e mezza. A metà della prima cartella mi sono accolto che il tasto della  ù batteva a vuoto come quando si schiaccia l'acceleratore e non succede niente perché si è rotto il tirante. Ho pensato che la u accentata non è molto importante, che avevo fretta e sono andato avanti. Ma poco dopo è saltata anche la m.  Allora ho sollevato il coperchio e ho visto che cinque leve dei tasti dell'estrema destra della tastiera erano completamente disarticolate e reclinate sul nastro. Non avevo mai visto una cosa simile. Avevo scritto, in tutto, una cartella. Ho telefonato alla concessionaria: c'era la segreteria. Ho telefonato a Belpietro: «Senti, Maurizio, ho visto sul Giornale quello scambio di lettere fra Feltri e Tassan Din, mi piacerebbe intervenire, ho molto da dire su quelle antiche vicende della Rizzoli e del Corriere». «Benissimo» ho risposto Belpietro. «Ma... se vuoi l'articolo devi prestarmi un' altra volta la tua macchina da scrivere» e gli ho raccontato rapidamente cosa era successo. Belpietro si è messo a sghignazzare oscenamente: «Questo è un pezzo! Questo è un pezzo!» gridava «Scrivilo per noi». «Non posso, ma tu prestami lo stesso la College». «Vabbe'. Ti mando subito l'autista». In attesa dell' autista ho proseguito il mio articolo a mano. Naturalmente andavo pianissimo. Ma l'autista di Belpietro non arrivava mai e ho riempito alcuni fogli con la mia calligrafia da gallina che nemmeno io riesco a decifrare. Finalmente, dopo le otto e mezza, ho avuto la College. Ho finito il pezzo in extremis, tanto che è stata possibile correggerlo solo in ribattuta. La sera ho fatto quello su Tassan Din. Altre cinque cartelle molto impegnative, anche perché ho dovuto scartabellare a lungo nel mio archivio per controllare un mucchio di dati. Ho finito alle sei del mattino e sono andato a dormire. Verso le undici mi ha telefonato la concessionaria per dirmi che la mia prima lettera 25 era pronta. Ma avevo da scrivere la mia consueta rubrica per L'Europeo (altre sei cartelle) e quel giorno non ho potuto andare. L 'ho fatto il pomeriggio dopo portando la seconda lettera 25. Il titolare mi ha accolto con un giulivo: «Ecco qui. Tutto a posto». Gli ho porto la mia macchina e gli ho detto: «Guardi qui, prima». «Che c'è?», «Guardi. Sollevi il coperchio». Lo ha sollevato: «Ma cosa ci fa lei con le macchine? Le prende a martellate?». «Ho appena scritto venti cartelle in un giorno e mezzo con la College e non è successo niente. La verità è che questa lettera 25 è un' autentica baracca, indegna dell' Olivetti o, forse, degnissima». Il titolare ha cominciato a saltellare per il negozio. Pareva infuriato. Con me. Dopo aver bofonchiato parole incomprensibili ha detto che avrebbe mandato la macchina dal tecnico perché la aggiustasse. «Eh no» ho fatto io «non posso accettare questa macchina. È avariata. Qui non è questione di dettagli, è come se ad una Fiat, il primo giorno, si fosse rotto il semiasse. Con un' auto ci si lascia la pelle, per fortuna qui le conseguenze sono meno serie». A questo punto il titolare s' è incazzato di brutto. Ha gridato: «Io ho il Codice Civile dalla mia! È stato lei a voler comprare la seconda lettera 25. Non esiste che le sostituisca la macchina. Ma siamo matti? La macchina è in garanzia». E sempre saltellando per il negozio il titolare è andato a prendere il foglietto della garanzia e me l'ha dato. L 'ho messo in tasca, senza guardare. Ho cercato di mantenere la calma e ho detto solo: «Mi vende due macchine che non funzionano una dietro l'altra e a essere incazzato è ancora lei? Dovrei essere io. Farò reclamo». Il titolare aveva ormai perso la sinderesi: «Telefoni a quello... di De Benedetti! Telefoni a chi le pare! ». «Lo farò». Allora il titolare si è avvicinato e ha detto: «Io faccio di tutto per accontentarla. Mi metto qui a cambiare i suoi nastri, mentre ho da lavorare e lei viene a rompermi...». Ho visto il mio sinistro che lo colpiva alla bocca dello stomaco e, mentre quello per la sorpresa e il dolore si chinava in avanti, il destro che si stampava sulla mascella chiudendo la partita. Con quello che fumo e la vita che faccio ho ormai un' autonomia di fiato per non più di quattro o cinque cazzotti, ma se riesco a colpire nel primo scambio posso ancora far male perché ho conservato una buona velocità di base. Queste immagini mi sono passate rapidissime davanti agli occhi. È stato un attimo. Facendo un ultimo sforzo di autocontrollo ho detto: «Mi sembra che il suo lavoro sia vendere macchine da scrivere. Comunque quella se la può tenere» e Sono uscito. In strada pensavo a De Benedetti, alle accuse che gli sono state mosse di aver truffato lo Stato vendendo all'Amministrazione, per centinaia di miliardi, macchine Olivetti difettose e inservibili. Mentre rimuginavo ho messo la mano in tasca e ho trovato il foglietto della garanzia. In alto, in grassetto, c' era scritto: “Da compilarsi a cura del concessionario”. Era intonso. Mi sono reso conto che non mi aveva dato la garanzia nemmeno per la prima macchina né i libretti di istruzioni, nulla. Arrivato a casa ho telefonato all'Ufficio Stampa dell'Olivetti, ad Ivrea. Ho parlato col dottor Buozzi e gli ho raccontato l'accaduto. Buozzi è stato molto gentile. Era mortificato; dispiaciuto e si è detto molto meravigliato che il concessionario si fosse rifiutato di sostituirmi la macchina. Mi é parso di capire che mi proponesse che l'Olivetti me ne mandasse una nuova. «Non le ho telefonato per questo» ho detto «non voglio nulla. Vi ho chiamato solo per segnalarvi l'episodio, perché mi pare inconcepibile che un'azienda come l'Olivetti si serva di concessionari come quello che, oltretutto, non sta in qualche sperduto e degradato hinterland, ma è piazzato nel pieno centro di Milano. Ma a parte questo il vostro ultimo modello è una baracca. Anche i precedenti erano discutibili. Ma la lettera 25 è al di sotto di ogni decenza». Buozzi mi ha spiegato che il mercato delle macchine da scrivere manuali è ormai marginale per loro e che, oltretutto, le lettere 25 sono fatte all'estero. «Sì» ho detto «ma intanto le vendete e portano il marchio Oiivetti, come i vostri concessionari». Poco dopo mi ha chiamato la signora Caspani, dell'Ufficio Commerciale di Milano, e mi ha detto che aveva telefonato al concessionario ma aveva trovato solo la segreteria. Comunque l'Olivetti mi avrebbe mandato una lettera di scuse alle quali aggiungeva le sue personali. Le ho risposto che mi spiaceva che a scusarsi fosse chi non c' entrava nulla e ci siamo lasciati in modo amichevole. Restano i fatti. Credo che l'ingegner  Carlo De Benedetti. fra un raid finanziario e l'altro, dovrebbe occuparsi un po' di più dell'Olivetti,  dell'azienda che fu di Adriano, che non è stata solo un grande fatto imprenditoriale ma anche uno straordinario laboratorio sociale e intellettuale dal quale sono usciti personaggi come il poeta Giovanni Giudici e l' economista Franco Momigliano, per dire i primi due che mi vengono in mente. Perché ci sarebbe davvero poco da stare allegri se l'Olivetti di oggi. azienda leader e monopolista nel settore, che porta il nome italiano in tutto il mondo, fosse davvero al livello delle sue ultime linee di produzione e di concessionari come Savino Antonio s.a.s. di Savino A. & C. Inoltre c' è un problema di tutela del consumatore. Io ho potuto in qualche modo difendermi perché ho il privilegio di scrivere sui giornali. Altri invece sono inermi. Ed è anche per loro che ho scritto questo articolo (con la College).