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In questi giorni la Televisione italiana ha compiuto quarant'anni. E io voglio dichiarare qui la mia profonda nostalgia per la Tv di Bernabei, del democristiano Ettore Bernabei. Perché era una Televisione di qualità infinitamente superiore a quella che vediamo oggi. Prendiamo, per esempio, lo spettacolo di intrattenimento popolare per eccellenza: il «varietà» (oggi sostituito dal cosiddetto «contenitore»). Sotto la gestione di Bernabei il varietà si chiamava Un, due, tre di Tognazzi e Vianello; Il Mattatore di Gassman; Alta fedeltà (testi di Chiosso e Zucconi); Studio Uno di Walter Chiari (1963), Lelio Luttazzi (1964), Ornella Vanoni (1966); Il signore di mezza età a cura di Camilla Cederna, Marcello Marchesi, Gianfranco Bettetini, presentato dallo stesso Marchesi con Lina Volonghi e Sandra Mondaini; L' amico del giaguaro con Bramieri, la Del Frate e Raffaele Pisu; Scarpette rosa con Carla Fracci, Walter Chiari, Mina; Quelli della domenica con Paolo Villaggio (testi di Marchesi e Costanzo). Erano tutti spettacoli che si reggevano, oltre che su protagonisti di ottimo livello e che quasi sempre venivano da collaudate discipline artistiche (teatro, cinema, balletto, musica), su un'idea e la sviluppavano. Adesso, al loro posto, cosa c'è. Ci sono «contenitori» o similcontenitori o postcontenitori dove personaggi che sono tali solo in forza televisiva si limitano a fare grazioso omaggio della loro presenza, in un circolo vizioso senza fine. Perché oggi uno, anche se non ha nè arte nè parte, diventa personaggio sol che appaia in Tv e, in quanto tale, ha titolo per ricomparirvi. Lo spettacolo in Televisione, almeno quello popolare, si è ridotto a un presenzialismo ossessivo senza senso e senza scopo che peraltro fomenta un'idolatria del pubblico altrettanto senza senso e senza scopo. Ma anche la lingua della Tv di Bernabei, che ebbe la funzione di unificare l'ltalia dei dialetti, era di un'altra pasta. Ha detto il filosofo del linguaggio Raffaele Simone: «Fra gli anni Sessanta e Settanta la Tv ebbe senza dubbio una funzione positiva. Il tipo d' italiano che diffondeva era molto controllato e attento, perfino con qualche intento puristico. Le cose cambiarono alla fine degli anni settanta con la «riforma»: le linee vennero aperte al pubblico, gli speaker cedettero il posto ai giornalisti... le televisioni e le radio private fecero il resto, favorirono la messa in onda di modelli linguistici di bassissima qualità». Perfino la pubblicità era d'un altro livello. Carosello, su cui si è formata un'intera generazione di bambini (la mia), proponeva siparietti spesso spiritosi gustosi, comunque sempre garbati, mai drogati e volgari. Certo c'erano nella Tv di Bernabei pudori elisabettiani, pruderie decisamente comiche (il termine uccello, per esempio, era al bando), che peraltro erano espressione di un'Italia più ingenua, più semplice, più composta e che comunque, fatti i conti, mi sembrano oggi un prezzo da pagare accettabile in confronto allo sbraco attuale dove anche le trasmissioni che si autodefiniscono «intelligenti», anzi soprattutto quelle, non si ritengono tali se non sparano parolacce e doppi sensi a raffica (penso a Cielito lindo, a Paolo Rossi). Certo l'informazione politica era paludata, ingessata, governativa, da Gazzetta ufficiale, ma mi chiedo se sia stata migliore dopo la riforma quando faceva da megafono alle voci solo apparentemente diverse di un identico regime, la partitocrazia; nè si può dimenticare che l'uso e l'abuso televisivo dei faccioni dei leader politici e dell'ascolto in ginocchio delle loro chiacchiere inizia proprio con la lottizzazione della Rai. In quanto a oggi, se vedo gli Sgarbi, i Ferrara, i Fede, i Santoro, mi pare che più che d'informazione si tratti di disinformatia ai danni dei propri avversari politici. Di recente alcune grandi firme, come Giorgio Bocca, Sandro Viola e altri, sono scese in campo contro il cafarnao di urla, di volgarità, di insulti che si leva ogni giorno dalle nostre televisioni, pubbliche e private. Hanno ragione. Ma debbono trarne anche le conseguenze e mettere in discussione quel libero mercato cui, per altri versi, si appecoronano. Se Bernabei poté fare una Televisione di qualità, educativa, fu perché, agendo in regime di monopolio politico e commerciale, non doveva tener contò più di tanto dell'audience. E proprio perché agiva in regime di monopolio democristiano si poté disinteressare della collocazione politica di chi entrava in Rai e formare così, puntando sulle capacità più che sulla tessera, quei quadri professionali di alto livello che ancora oggi sono il nerbo della Tv di Stato. Non sono così ingenuo e sprovveduto da non conoscere i rischi di totalitarismo che ci sono in ogni dirigismo, quale fu quello di Bernabei. Epperò mi pare di poter dire che la storia della Televisione in Italia, dal monopolio alla lottizzazione all'avvento delle private, sia una dimostrazione di come non sempre la concorrenza e il libero mercato siano quei supremi regolatori del bene collettivo di cui soprattutto oggi, crollata l'ideologia marxista, tutti, a destra e a sinistra, si affannano a cantare le lodi.