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Porta a porta di martedì era dedicato all’argomento droga allargatosi poi anche all’uso e abuso di alcol. C’erano il sindaco di Roma Alemanno, quello di Firenze Renzi, il radicale Cappato, scienziati, esperti del settore. Dalla trasmissione saliva un forte lezzo di Stato totalitario. Tutti gli interventi infatti, sia che abbracciassero la linea della repressione dura sia quella della legalizzazione, erano intesi a "salvare" l’individuo da se stesso e dai suoi vizi. Ora, in uno Stato liberale il cittadino maggiorenne ha diritto, in linea di principio, a fare quel che vuole della sua vita. Anche distruggerla. Sia in un colpo solo, sia con quella sorta di suicidio differito cui porta spesso l’uso di determinate sostanze. La vita appartiene a lui e solo a lui.

Non era così nel Medioevo, società teocratica in cui si riteneva che la vita appartenesse a Dio e che quindi l’uomo non potesse disporne (e per questo il suicidio era punito: con ritorsioni sul cadavere e il patrimonio). Nello Stato etico, cioè totalitario, che è la derivazione laica di quello teocratico, si ritiene invece che la vita appartenga, appunto, allo Stato che ha quindi il diritto e il dovere di dettare le regole morali e comportamentali anche nella sfera privatissima dell’individuo che riguarda tutte le azioni che non invadono, non limitano, non danneggiano la libertà altrui. La società occidentale, e in particolare quella italiana, pur dicendosi liberale, sta assumendo sempre più una fisionomia autoritaria.

Con i più vari pretesti, in special modo, ma non solo, quello della salute. E’ proibito drogarsi, non si può più fumare, si può bere solo a determinate condizioni, non si può morire in santa pace (lo Stato, attraverso i medici, ha il dovere di "salvarti"), si può dar corso alle proprie inclinazioni sessuali ma solo di nascosto altrimenti si incorre nell’interdetto sociale ed è allo studio una legge per rendere reato la prostituzione (da strada, non quella da escort che è roba per i ricchi e i potenti i quali godono, com’è noto, di un diritto proprio).Ancora un passo e il Grande Fratello ci dirà cosa è lecito fare, e cosa no, in camera da letto con la propria sposa o compagna.

Premesso questo, a "Porta a porta" ho sentito, molte dotte disquisizioni, ma nessuno ha affrontato il problema delle cause, delle ragioni per cui è in vertiginoso aumento l’uso di droghe, di psicofarmaci che sono anch’essi delle droghe (negli Stati Uniti vi ricorrono 592 americani su mille), di alcol, con i loro correlati, e spesso precondizioni, che sono la depressione, la nevrosi, lo stress, per non parlare dei suicidi decuplicati in Europa rispetto alla società preindustriale. Sono tutte malattie della Modernità, il prodotto di un modello di sviluppo in cui l’individuo non può mai raggiungere uno stadio di equilibrio e di soddisfazione perché raggiunto un obiettivo ne deve inseguire immediatamente un altro, in ciò costretto dall’ineludibile meccanismo, produzione-consumo, che lo sovrasta, in un processo che non ha mai fine è che, com’è noto in psichiatria, è alla base di una perenne frustrazione. E bisogna essere efficienti, sempre più efficenti, sempre all’altezza. Nasce così l’ansia da prestazione, la paura di non farcela, di non reggere i vorticosi ritmi cui siamo sottoposti.

Da qui il ricorso ad additivi chimici, come la coca; per migliorare le proprie performance, il passo è brevissimo. Oppure si rinuncia in partenza alla competizione e con l’eroina o l’alcol ci si rifugia in un mondo onirico separato da quello reale. Nella migliore delle ipotesi si cerca di placare l’ansia con la fagìa del consumo che è anch’esso una droga (il "soma" del "Mondo nuovo" di Huxley).

Se non si cambia modello di sviluppo il consumo delle droghe è destinato a crescere esponenzialmente e non ci saranno suorine di buona volontà che potranno arginarlo.