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Possibile che da noi quando muore qualcuno non si riesca mai a conservare il senso delle proporzioni e del limite ? Secondo Mario Luzzatto Fegiz  “Nel blu dipinto di blu è riuscita a segnare le speranze e i sogni di un grande momento di ricostruzione morale ed economica del mondo occidentale” (Corriere della Sera, 8/8). Vabbè, è Luzzatto Fegiz. Ma sentite Renzo Arbore: “ L' anticristo della canzone. Una bomba. L 'innovatore. L 'uomo cui la musica italiana deve di più... Fece capire agli italiani degli anni '50 che ci poteva essere un' altra musica, un 'altra melodia oltre a quella classica... Lui cominciò. Da Mimmo venne tutto il resto. Fu l'uomo della rivoluzione, con lui saltarono gli schemi e gli altri non poterono far altro che adeguarsi”. E il giudizio di Arbore, più o meno, è generalmente e conformisticamente seguito da tutti coloro che in questi giorni hanno ricordato il “Mimmo nazionale “. Sciocchezze. Domenico Modugno non è stato affatto “l'innovatore”, il “rivoluzionario” della canzona italiana, colui che la traghettò dalle Nille Pizzi, dai Claudio Villa, dai Luciano Tajoli, dalle vola colomba, dalle edere, dai pini solitari, dai binari tristi e altrettanto solitari, a qualcosa di un po' meno melenso e di un po' più decente e moderno. Modugno si inserisce perfettamente nel filone melodico della canzone all'Italiana (portandovi tutt' al più, grazie a Migliacci, qualche modesta correzione di linguaggio) a cominciare da quel suo strombazzatissimo Nel blu dipinto di blu, una delle più brutte canzoni di tutti i tempi, sicuramente la più brutta di Modugno, tanto kitsch da essere immediatamente accettata dalla middle class americana che va pazza per questo genere di cose e che non si era ancora accorta di avere in casa Jerry Lee Lewis e Little Richard e che la contestazione di Berkley e dei Campus era alle porte. In Italia Nel blu dipinto di blu piacque alle mamme, alle vecchie zie, alle domestiche friulane, a Giovanni Mosca, a Gianni Letta, agli zerbinotti un po' agè e, in genere, alla borghesia ipocrita e baciapile di quegli anni che pensava che potesse bastare una pennellata di blu sulla melensaggine nazionale per potersela dare da classe dirigente moderna e all' avanguardia. Del resto Nel blu dipinto di blu venne fuori da San remo che è da sempre l' espressione e l' emblema stesso del “vecchio ziume “ nostrano. Ma ai giovani Nel blu dipinto di blu non disse assolutamente niente. Non ci fece fremere un solo pelo. Era da altri filoni che ci aspettavamo la rivoluzione, quanto meno una rivoluzione del costume. E il primo a battere questi filoni, in Italia, fu un cantante il cui nome è oggi da tutti dimenticato: Tony Dallara, al secolo Antonio Lardera. Fu Dallara a mutuare dai Platters il “terzinato” e il singhiozzo ( altro che “volare oh oh” ) e ad aggiungervi, di suo, l 'urlo. Fu Dallara, urlando dai juke box, che facevano allora la loro apparizione in Italia, i gettonatissimi Come prima, Ti dirò, Un brivido blu (“e vedo il mar con mille vele in fondo al mio bicchiere di gin “, l' elogio dell'ubriachezza, questa sì era trasgressione), a spazzar via definitivamente le Nille Pizzi, i Claudio Villa, i binari tristi e solitari e, con essi, tutta quella borghesia indecente e parvenu che imponeva ai propri ragazzini i calzoni fino al ginocchio “perché così li porta Carlo d' Inghilterra “. E infatti le mamme, che avevano intuito il pericolo, guardavano con grande sospetto noi gettonatori, indefessi e, al singhiozzo di Dallara, dicevano scandalizzate e minacciose: “Ma che roba è mai questa?”. Mentre Nel blu dipinto di blu se l' erano ciucciato, deliziate, come quell'innocuo leccalecca che era. Ma noi di leccalecca, di zucchero, di rosolio, di finti buoni sentimenti, di cieli blu dipinti di blu, cominciavamo ad averne le palle piene e Dallara fu la prima bandiera della nostra ribellione. Fu il capostipite degli “urlatori”, genia destinata a rompere i timpani alle nostre madri che, sulla rotonda, giocavano a canasta e a ramino. Dopo di lui vennero Mina (Tintarella di luna), Celentano, Ghigo (“Coccinella non far più la barboncella, tu mi piaci di più se non ti vesti di  blu”, puro dada) e tutti gli altri: Certo Dallara durò poco anche se impazzò ossessivamente per due estati. Ma la rivoluzione canora italiana (e probabilmente non solo quella), la “rottura degli schemi “ e tutto ciò di cui parla Arbore, iniziò da lì, da Antonio Lardera, molisano, in arte Tony Dallara. Non da Modugno. A ciascuno il suo. A Dallara ciò che è di Dallara, a Modugno le vecchie zie che sono, peraltro, delle degnissime persone ma che con le rivoluzioni, nemmeno quelle canore, non hanno, in genere, nulla a che fare. In quanto a Modugno attore è meglio stendere un pietoso velo. Rinaldo in campo è stata una delle cose più penose mai portate in un teatro, tanto che il pezzo migliore era il consueto sketch del bravissimo Franco Franchi nel ruolo della gallina. Spiace dire queste cose di Domenico Modugno. Ce le saremmo evitate se non avessimo sentito sul suo conto troppe esagerazioni e troppe evidenti falsità. In fondo alcune sue canzoni, le prime, come Resta cu' mme e Strada 'nfosa (ma non il melodrammatico e insopportabile Un uomo in frac, anch' esso cult della borghesia sporcacciona oltre che di Luzzatto Fegiz) restano tra le cose migliori del filone melodico all'Italiana.