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Luigi Manconi, sociologo, politologo, docente universitario, ex portavoce dei Verdi, ex Ulivo, improvvidamente sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi II, dopo aver dato, sulla scia di Bersani, del 'fascista' a Beppe Grillo e ad Antonio Di Pietro, lo appioppa, per proprietà transitiva, anche al Fatto “giornale vicino alle posizioni di Grillo e di Di Pietro”. E se non proprio 'fascisti' per Manconi siamo comunque degli squadristi di destra. “Prendo, a mo' di esempio, un titolo a tutta pagina del Fatto Quotidiano del 5 aprile scorso: 'In un Paese di ladri'...C'è la questione del giustizialismo: se tutta la vita sociale viene vista attraverso la fattispecie penale è inevitabile che questa si porti appresso pensieri e invettive conseguenti. Se viviamo 'in un Paese di ladri' è inevitabile che il primo e principale slogan politico coincida col grido di Giorgio Bracardi: 'In galera!' ”.

A parte che 'giustizialismo' e 'garantismo' sono due categorie inventate durante la stagione di Mani Pulite ad uso dei politici indagati (Non esiste un'applicazione 'giustizialista' o 'garantista' della legge. Esiste l'applicazione della legge. Naturalmente il magistrato, come tutti, può sbagliare, e per questo il nostro ordinamento prevede una serie di verifiche e controlli, il Gip, il giudizio di primo grado, l'Appello, la Cassazione e, in presenza di un imputato detenuto, i ricorsi al Tribunale del riesame e ancora alla Cassazione) è meglio gridare a qualcuno, che risulti che se lo è meritato, 'in galera' che mandarlo direttamente al cimitero. Manconi, 64 anni, è infatti una di quelle felici persone che sono sempre nate ieri e hanno l'invidiabile capacità di rimuovere totalmente il proprio passato. Luigi Manconi è stato un importante leader di Lotta Continua. Negli anni Settanta scendeva in strada con i suoi compagni e, oltre a spaccar vetrine e, all'occorrenza, anche qualche cranio, urlava “Fascista, basco nero, il tuo posto è al cimitero”, “Uccidere un fascista non è reato”. Il quotidiano di Lotta Continua pubblicava foto, indirizzi, percorsi, abitudini di 'fascisti' o presunti tali, indicandoli al pubblico ludibrio e alle squadracce e alcuni, a colpi di spranga sono finiti effettivamente al cimitero, altri sulla sedia a rotelle.

In Italia ogni volta che si presenta qualcosa di nuovo non inquadrabile nei parametri della partitocrazia, che anzi ad essa si oppone, e in quelli della cosidetta 'intellighentia' di sinistra, la risposta pavloviana, e non innocente, è sempre la stessa: “Fascisti!”. Nei primi anni Novanta, prima che fosse inglobata e innocuizzata, toccò alla Lega. Bossi e i suoi hanno sproloquiato spesso e volentieri, ma nella storia, ormai trentennale, di questo movimento non c'è un solo atto di violenza. Mi ricordo che La Repubblica, non sapendo a che altro appiggliarsi, una volta che davanti al municipio di Milano un cane, presunto leghista, abbaiò alla consigliera comunale repubblicana Rosellina Archinto, titolò a otto colonne in testa alla prima pagina: “Aggressione fascista della Lega a Milano”. Ora tocca a Grillo, ma nemmeno ai 'grillini' sono addebitabili eccessi se non di linguaggio. Eccessi a cui, peraltro, si dedicano tutti (si leggano Il Giornale e Libero). La verità è che Grillo, come la Lega d'antan, fa paura col suo 15/20% di consensi cui lo danno i sondaggi. E allora è 'fascista'. E anche noi del Fatto se non propriamente fascisti siam squadristi.

E' destino della mia generazione, coeva a quella dei Manconi, di dover prendere lezioni di buona educazione politica da chi, nelle parole e nei fatti, squadrista, e anche peggio, lo fu davvero.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 8 settembre 2012