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Le cose più interessanti Joseph Ratzinger le ha dette, anzi scritte, quando era ancora cardinale. « Il Progresso non ha partorito l'uomo migliore, la società migliore e comincia a essere una minaccia per il genere umano». Nel documento 'Pro eligendo pontifice' aveva invece affrontato il tema del relativismo sostenendo che esisterebbe una «sorta di dittatura del relativismo che non riconosce nulla di definitivo e che lascia come ultima misura il proprio io e le sue voglie». Divenuto Pontefice Ratzinger ha cercato di inserire, qua e là, nelle sue omelie, elementi antimodernisti ma, risucchiato nella bagarre italiana, ha finito per lasciar perdere e ingerirsi indebitamente negli affari interni del nostro Stato, vizio praticato già abbondantemente dal suo predecessore.

Benedetto XVI ha insistito invece in modo più costante sulla questione del relativismo. Ingenerando pero' qualche equivoco. Se c'è infatti un'epoca della Storia in cui domina un pensiero unico, e quindi nient'affatto relativista, è quella che stiamo vivendo. E' il pensiero liberaldemocratico che, insieme al nocciolo duro sottostante: il produttivismo nella forma del libero mercato, si pretende come il solo valido e accettabile, dal punto di vista politico, sociale ma anche etico.Insomma il modello che l'Occidente ha creato e imposto ormai a quasi tutto il pianeta. E' evidente che quando Ratzinger parla di relativismo lo intende in senso morale. Ma il relativismo morale discende direttamente dal modello produttivistico e di mercato perchè il mercato è uno scambio di oggetti inerti che, di per sè, non puo' produrre valori se non quantitativi e materialistici. E il vuoto che si crea induce l'individuo a un indifferentismo morale per cui una cosa vale l'altra e tutto si puo' fare. Papa Ratzinger condanna questo libertinismo ma, da Pontefice, non ha mai osato attaccare in modo radicale il modello da cui discende, lasciandone cosi' la responsabilità ai singoli. Forse non ne ha avuto la forza, forse non aveva il 'phisique du rôle' per affrontare battaglie campali. In fondo è stato anche lui vittima di uno dei 'topos' della Modernità dove l'apparire è più importante dell'essere. Inoltre mi sembra che Ratzinger, nella sua condanna, confonda il relativismo morale con quello culturale che è cosa ben diversa: è il rispetto dei valori altrui senza che cio' significhi non averne dei propri. In ogni caso bisogna dar atto a Papa Benedetto XVI, teologo finissimo, di aver acceso un dibattito culturale di alto profilo che era completamente mancato negli anni del pontificato plateale, muscolare e, diciamolo pure, anche narcisista di Wojtyla.

Indubbiamente un Papa che si dimette fa colpo. I precedenti sono lontani e rarissimi. Oltre a quello, sempre citato, del Celestino V del 'gran rifiuto', c'è quello di Gregorio XII nel 1415, ma in un'epoca in cui nella Chiesa regnava una gran confusione e fra Papi e Antipapi (ognuno pretendeva di essere quello vero) se ne contarono fino a tre.

Adesso sono già in circolazione tesi complottistiche secondo le quali Benedetto XVI sarebbe stato costretto a dimettersi. Invece la ragione è molto più semplice ed è quella che lui stesso ha detto: si sentiva vecchio e inadeguato, gli mancavano le energie per reggere il peso del suo altissimo magistero. Scardinando cosi' un'altro dei miti della Modernità per cui l'età non conta e la vecchiaia non esiste. La vecchiaia esiste, eccome, per tutti, anche per un Papa. A certe età ci puo' essere un collasso di energie nel giro di pochi mesi o anche di poche settimane. Joseph Ratzinger, da buon tedesco, ne ha tratto, virilmente e responsabilmente, le conseguenze. Un atto di coraggio e di umiltà che non merita di essere sporcato dall'eterno cicaleccio del gossip italiano.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 15 febbraio 2013