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E' ineccepibile il tentativo di Angela Merkel di ripristinare, a livello europeo, il principio del diritto d'asilo per chi fugge dalle guerre. E' un diritto che esiste dalla notte dei tempi (come il dovere del soccorso in mare) e che comunque è sanzionato da tutte le convenzioni internazionali. Naturalmente la Merkel è stata ferocemente criticata da tutte le destre europee che vedono gli immigrati come il fumo negli occhi, sotto qualsiasi forma si presentino. Poi è stata nuovamente criticata, sempre dalle destre, quando ha sospeso il trattato di Schengen: ecco prima incita i migranti a venire in Europa e poi li stoppa alle sue frontiere. Come ha spiegato al Fatto il direttore di Die Zeit Giovanni di Lorenzo: «è una misura temporanea causata dal massiccio afflusso di profughi». Un modo per regolare il traffico evitando ingorghi che rallentano le operazioni. Insomma Angela Merkel, qualsiasi cosa faccia, ha sempre torto per i governi europei, di destra e di sinistra, è un pungiball su cui scaricare le proprie inefficienze. Invece Angela è l'unico uomo di Stato esistente in Europa. Lo dimostra anche il suo tentativo, ovviamente cauto, di avvicinarsi alla Russia e di sganciarsi dagli Stati Uniti. Perché 'l'amico americano' non è più affatto un amico. In economia è un competitor sleale perché mentre l'Europa pratica, sotto la guida della Merkel, una politica di austerità, quelli, dopo il crac del 2008, hanno immesso nel sistema crediti, che sono denaro, per trilioni di dollari creando una bolla speculativa che prima o poi ricadrà addosso a tutti (del resto tutte le crisi finanziarie globali a partire da quella di Wall Street del 1929 sono venute dall'America). Negli Esteri gli Usa stanno praticando, ormai da tre lustri, una politica irresponsabile di aggressività nei confronti del mondo musulmano che ha dato origine, fra l'altro, all'insidiosissimo fenomeno dell'Isis. Loro se lo possono permettere perché quel mondo ce l'hanno a diecimila chilometri di distanza, noi no perché ci sta sull'uscio di casa. In ogni caso sono convinto che se mai l'Europa politica si farà davvero, sarà e dovrà essere a guida tedesca. Perché la Germania, per posizione geografica, per popolazione, per cultura, ne ha se non il diritto la forza. E comunque se dobbiamo dipendere da qualcuno, meglio dai tedeschi che dagli americani com'è stato finora.

Ma nell'impostazione proposta e imposta dalla Merkel nei confronti dei migranti c'è un tarlo. I cosiddetti 'migranti economici' devono essere rispediti nei loro Paesi. Chi sono i cosiddetti 'migranti economici'? Sono neri dell'Africa subsahariana che non fuggono da nessuna guerra ma dalla fame. Nella generale ignoranza che ormai contraddistingue il mondo occidentale si pensa che l'Africa Nera sia sempre stata alla fame. Non è così. Ai primi del Novecento era alimentarmente autosufficiente, lo era ancora in buona sostanza (al 98%) nel 1961. L'autosufficienza è scesa all'89% nel 1971, al 78% nel 1978 e così via precipitando. La situazione di oggi è sotto gli occhi di tutti. Cos'è successo nel frattempo? Che i Paesi industrializzati, sempre alla ricerca di nuovi mercati, per quanto poveri, perché i propri sono saturi, hanno introdotto in Africa Nera il loro modello di sviluppo, disarticolando la cultura, la socialità e l'economia di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) su cui quelle popolazioni avevano vissuto, e a volte prosperato, per secoli e millenni. E quindi la fame. E' uno dei tanti effetti perversi della globalizzazione.

E qui si pongono due questioni. Una è teorica. Se il capitale ha diritto ad andarsi a cercare il luogo della terra dove ritiene di poter essere meglio remunerato, lo stesso diritto non dovrebbero averlo gli uomini? Il denaro vale quindi più degli uomini? Questo nemmeno il vecchio Adolfo avrebbe osato sostenerlo.

Questione pratica. I neri africani (escludendo il Sud Africa che fa caso a sè) sono 700 milioni. Se solo una quota significativa di questa gente viene da noi ne saremo sommersi. Aiutarli economicamente? Sarebbe 'un tacon peso del buso' perché li integrerebbe ancor più strettamente in un sistema che è destinato inesorabilmente a stritolarli. Dar loro «non il pesce ma gli strumenti per pescarlo» come dicono molte anime pie? Nel padiglione Onu all'Expo c'è un comico filmato il cui senso è che noi dovremmo insegnare agli africani come si fa l'agricoltura. Ma se sono millenni che quelli hanno vissuto di agricoltura! Semmai dovrebbero essere loro a insegnarla a noi. Ai tempi di un G7 di molti anni fa ci fu un controsummit dei sette Paesi più poveri del mondo, con alla testa l'africano Benin, al grido di «Per favore non aiutateci più!».

La sola cosa che dovremmo fare è andarcene da quei mondi, con le nostre aziende assassine e la nostra cultura paranoica. Via, raus, 'foera di ball'. Ma a parte che non lo faremo mai (e adesso ci si sono messi anche i cinesi che si comprano l'Africa Nera e la sua terra a regioni) nemmeno questo sarebbe risolutivo. I neri africani sono in una posizione di non ritorno. Non possono ritornare alle loro economie perché le terre che, sotto il nostro impulso o imposizione, hanno abbandonato si sono desertificate e non ci sono più nemmeno le comunità che, col loro reticolo di solidarietà, consentivano a quel mondo di esistere. Non possono che andare avanti. Cioè non possono che venire verso di noi. E verranno e ci distruggeranno come noi abbiamo fatto con loro. E' la sorte che ci siamo meritati.

Massimo fini

Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2015