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Non si capiscono tutte queste ‘ammoine’, strusciamenti, invocazioni, implorazioni, concessioni di statuti speciali e deroghe alla Gran Bretagna perché resti nella Ue. Mentre invece sarebbe nostro interesse che ne uscisse. Perché la Gran Bretagna ha poco o nulla a che fare con l’Europa, ne è anzi una palla al piede. Ha detto bene Flavio Briatore, un uomo che viaggia per il mondo e lo conosce: “Londra ha una dimensione internazionale ma non europea. I londinesi non vivono l’Europa né a livello finanziario, né a livello culturale”. Da questo punto di vista l’Europa è molto più legata alla Russia. La grande aristocrazia russa parlava francese e dopo la Rivoluzione d’Ottobre gli emigrés si ritrovavano a Parigi non a Londra. Nonostante oggi un tunnel sotto la Manica la unisca alla terraferma la Gran Bretagna resta un’isola che dell’Europa non ha mai voluto veramente saperne. Neppure Hitler riuscì a coinvolgerla nel suo particolare progetto di unità dell’Europa sotto il suo tallone di ferro ma con la Gran Bretagna come partner a pari livello. Vi provò fino all’ultimo, persino due anni dopo la dichiarazione di guerra, col misterioso volo di Rudolf Hess, il numero due del regime nazista, sui cieli londinesi quando la Wermacht stava vincendo su tutti i campi.

L’Inghilterra è, insieme agli Stati Uniti e all’Urss, una delle tre Potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, ad essere sconfitta fu l’Europa. Che anche i francesi si siano seduti al tavolo della pace è solo un’astuta gherminella per mascherare questa verità, perché la Francia fu pienamente collaborazionista (il mito del ‘maquis’ vale poco più di quello della Resistenza italiana), collaborazionisti furono alcuni dei suoi maggiori intellettuali, da Robert Brasillach a Drieu La Rochelle e anche i giovani Jean Paul Sartre e Albert Camus conobbero le loro prime consacrazioni letterarie (Sartre con Le mosche, Camus con Lo straniero) proprio sotto l’occupazione tedesca, perché i tedeschi anche nazisti (si veda in proposito La Rive Gauche di Lottmann) sono sempre stati affascinati dalla cultura francese benché sia questa ad essere loro tributaria e non viceversa, da almeno due secoli (tutto l’esistenzialismo francese, per esempio, ha alle sue spalle Nietzsche e Heiddeger).

I vincitori del secondo conflitto mondiale, anglosassoni o russi che siano, hanno quindi tutto l’interesse a mantenere lo ‘status quo’, cioè un’Europa debole, eternamente vinta, nel ruolo di ancella dei loro obbiettivi. In più gli inglesi sono, storicamente, legati a filo doppio agli americani che, dopo il 1989, per l’Europa sono diventati da alleati obbligati degli avversari occulti. Tanto per cominciare sono dei competitor sleali sul piano economico. Mentre noi europei ci costringiamo a una politica di austerity per non creare altre bolle speculative, loro, gli americani, dopo il collasso della Lehman Brothers del 2008, hanno immesso nel sistema, in varie forme, tre trilioni di dollari che, prima o poi, ricadranno sulla testa di tutti. Sotto l’aspetto geopolitico le migrazioni che l’Europa è costretta a subire sono dovute in gran parte alla dissennata politica di aggressione degli Usa nei confronti dei popoli musulmani negli ultimi quindici anni. E gli inglesi, da alleati leali, gli han sempre tenuto bordone. Quindi altro che ‘statuti speciali’ perché ci facciano il piacere di rimanere in Europa.

Non creda il lettore che io disprezzi gli inglesi. Fanno, coerentemente, il loro gioco. E anzi li ammiro perché sono quello che noi italiani non siamo mai stati: un popolo. Quando Mussolini lanciava i suoi strali contro ‘la perfida Albione’ era perché ne era consapevole. E ha cercato, il buon Benito, di fare degli italiani un popolo e c’era quasi riuscito se non avesse commesso la tragica e imperdonabile imprudenza di entrare in guerra impreparato (“Sta bon Benito, lascia fare a lori”), convinto che l’alleata nazista avrebbe fatto un sol boccone degli avversari (“Ci basteranno poche centinaia di morti per sederci al tavolo della pace”). Invece furono proprio gli inglesi a fermare Hitler in prima battuta.

Si potrebbe dire che un’unità il popolo italiano l’ha acquisita negli ultimi trent’anni. Ma non sotto la bandiera del Tricolore, ma quella della corruzione che ci coinvolge tutti, finalmente compatti, dalla classe politica, in ogni sua forma e gradazione, a quella imprenditoriale, alla polizia, ai vigili urbani, giù giù fino al popolo minuto.

Non disprezzo quindi gli inglesi. Ma il fatto è che gli inglesi non sono in realtà che una propaggine dell’imperialismo americano. Quindi ‘foera di ball’. L’Europa, dopo i settant’anni che ci ha fatto perdere la follia di Hitler, deve tornare ad avere un suo posto nel mondo e, messi a cuccia i comprimari, ha da essere a guida tedesca. Heil Angela.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2016