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Il grido ‘onestà, onestà, onestà’ con cui è stata accolta l’uscita della bara di Gianroberto Casaleggio dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie, che non proveniva solo dai grillini ma anche da molti cittadini comuni (la folla che gremiva la piazza era composta anche da molti uomini e donne in età e si sa che i 5Stelle pescano soprattutto fra i giovani) ha mandato su tutte le furie il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti.

Facciamo un piccolo florilegio del suo editoriale del 15/4 (“La follia di fare dell’onestà un manifesto politico”): “Gli unici onesti del Paese sarebbero loro, come vent’anni fa si spacciavano per tali i magistrati del pool di Mani Pulite”; “Cari Di Maio e compagnia, smettetela con questa scemenza del partito degli onesti che fa la morale a tutti, cosa che fra l’altro porta pure male”; “Ho preso atto di un principio ineluttabile: chi di onestà colpisce, prima o poi i conti deve farli con la sua, di onestà”; dai politici…”pretendo una sola cosa: che la politica sia efficiente nel risolvere i miei problemi”; “Io non so se Casaleggio, parlandone da vivo, fosse o no il re degli onesti”.

Io non so se Alessandro Sallusti si renda conto di quel che scrive. 1. I magistrati di Mani Pulite non si spacciavano per onesti. Lo erano. Tant’è che nessuno di loro, nemmeno Antonio Di Pietro (uscito assolto in ben sette processi in uno dei quali i due accusatori erano stati prezzolati da Silvio Berlusconi) è stato condannato per qualsivoglia reato. 2. Mettiamo, per pura ipotesi, che l’Egitto del generale Al-Sisi sia efficientissimo. Ciò giustifica le migliaia di assassinii che ha perpetrato in soli due anni? Insomma il solito refrain, molto italiano visto che il cantore è stato Machiavelli: il fine giustifica i mezzi. E allora giustifichiamo anche il vecchio Adolfo, sempre infamato che in meno di dieci anni riportò la Germania a essere una grande potenza mondiale. Efficientissimo. Sallusti ne sarebbe stato entusiasta.

In realtà Alessandro Sallusti sa benissimo perché scrive ciò che scrive e da dove origina il suo disprezzo per l’onestà. Il suo padrone, Silvio Berlusconi, è stato dichiarato con sentenza definitiva da un Tribunale della Repubblica “delinquente naturale” che è qualcosa di più del ‘delinquente abituale’. Costui delinque a ripetizione perché preso un certo giro non può più tornare indietro, il “delinquente naturale” delinque a prescindere, anche se non ha alcuna ragione o bisogno di farlo.

Direi che Sallusti e il mondo che rappresenta è lo specchio rovesciato dei 5Stelle: come costoro credono, a suo dire, che tutti gli altri siano dei disonesti, Sallusti, per salvarsi l’anima, pensa che tutti “ineluttabilmente” siano disonesti.

Vorrei anche ricordare a Sallusti, parlandone da vivo, che non esiste solo una disonestà materiale, da cui lui è sicuramente immune, ma anche, ed è forse addirittura peggiore, una disonestà intellettuale. Per anni e anni Il Giornale che ha diretto in varie fasi ha messo alla gogna i magistrati, fossero Pubblici ministeri o giudici, accusandoli di ogni sorta di nefandezze e in particolare di essere al servizio di una parte politica. Bastava che un Pm commettesse un errore in Nuova Zelanda perché Il Giornale sbattesse la notizia in prima pagina come se ciò avesse qualcosa a che fare con la Magistratura italiana. Da qualche tempo ogni volta che un atto di un Pubblico ministero o di un giudice colpisce un avversario politico della banda Berlusconi Sallusti si dimentica disinvoltamente del suo peloso ‘garantismo’ di un tempo con cui ci ha rintronato le orecchie per quattro lustri e dà a quei provvedimenti il valore di una sentenza inappellabile.

Sallusti, scopertosi improvvisamente pio, scrive che all’uscita di una chiesa piuttosto che dei cori politici (ma io li chiamerei prepolitici perché l’onestà è un valore prepolitico, preideologico, prereligioso) preferirebbe una preghiera. Se Sallusti non poggiasse tutto il suo articolo sul disprezzo per l’onestà gli darei ragione. Per parte mia che non credo in Dio né nei Santi né nella Chiesa, preferirei un dignitoso silenzio. Ma questo appare impossibile nella società del fracasso che applaude anche i morti.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2016