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Nel lontano 1991 sul New York Times il giornalista americano William Safire scriveva: “Svendere i curdi…è una specialità del Dipartimento di Stato americano”. Sono passati quasi trent’anni e nulla è cambiato anche se oggi “svendere” i curdi non è più solo una specialità degli Stati Uniti ma anche di molte altre potenze regionali.

I curdi con i famosi peshmerga, grandi guerrieri, sono stati determinanti per la sconfitta del Califfato non solo a Mosul e a Raqqa, dove erano direttamente interessati perché si trovano in un territorio che si chiama Kurdistan, ma anche a Sirte in Libia. Ma, come avevo avvertito in vari articoli del Fatto, non solo non raccoglieranno i frutti della loro vittoria ma verranno penalizzati. E’ appena caduta Raqqa che già ce ne sono le prime avvisaglie. L’altro giorno a Kirkuk dieci peshmerga sono stati decapitati, probabilmente dalle forze della Turchia che ha sempre combattuto in modo sanguinario l’indipendentismo curdo. In un bel reportage Adriano Sofri, che è sul posto, riferisce che truppe appoggiate dagli americani e alla cui guida c’è il comandante dei pasdaran iraniani si sono impadronite di Kirkuk, importante città petrolifera che fa parte della regione autonoma curda in Iraq. Insomma la regione autonoma curda viene riportata ai confini del 2003 quando in Iraq regnava ancora Saddam Hussein.

I curdi sono sempre stati una spina nel fianco in questa parte del Medio Oriente perché la loro regione di cui sono i legittimi abitanti, non per niente si chiama Kurdistan, è arbitrariamente incorporata in vari Stati, Turchia, Iraq, Iran, Siria e, in misura minore, Azerbaigian. Tutti questi Stati vedono il legittimo indipendentismo curdo come fumo negli occhi. In particolare l’Iraq e, soprattutto, la Turchia in cui vivono più di 13 milioni di curdi, circa un sesto della popolazione. Nel 1984 fra Iraq e Turchia, una Turchia ‘laica’ non ancora in mano a Recep Tayyip Erdogan (figuriamoci ora) fu concluso un patto leonino che consentiva ai rispettivi eserciti di inseguire al di là dei confini i ribelli curdi. Nel 1988 Saddam Hussein usò le ‘armi chimiche’, fornitegli dagli americani, dai francesi e, via Germania Est, dai sovietici, su Halabaja ‘gasando’ in un sol colpo tutta la popolazione di quella cittadina, 5.000 persone circa. Ma questo è solo l’episodio più noto. Si calcola che Saddam abbia ‘gasato’ circa 30.000 curdi iracheni e abbia raso al suolo 3.000 dei circa 4.500 villaggi curdi in territorio iracheno. Spazzato via Saddam Hussein i curdi iracheni avevano finalmente raggiunto l’autonomia del proprio territorio che comprende la fondamentale città di Kirkuk. E adesso è proprio Kirkuk che viene loro sottratta da quegli Stati che nella lotta al Califfato li hanno usati come alleati. Anche in Iran, sia quello dello Scià sia quello degli ayatollah, le prigioni sono sempre state zeppe di curdi. E così nella Siria di Assad.

Il fatto è che i curdi non hanno santi in paradiso (tutti i fatti che abbiamo fin qui raccontato sono avvenuti nel complice silenzio, quando non con la connivenza, della cosiddetta comunità internazionale) non sono arabi, non sono ebrei, non sono cristiani, sono un antichissimo, millenario, popolo tradizionale, indoeuropeo. E, come spesso è in questi popoli, sono anche molto ingenui. Spendendo generosamente il loro sangue in favore nostro e degli altri Stati della regione, se è vero che l’Isis è considerato il maggior pericolo per la comunità internazionale, si illudevano di esserne in qualche modo ripagati. Invece, dopo la breve parentesi della lotta al Califfato, contro di loro si ritorna alle pratiche di sempre. Anche secondo il Washington Post “i curdi si sono impegnati nella lotta all’Isis senza ricevere nulla in cambio”. Se pensiamo all’antico articolo di William Safire sul New York Times vediamo che questa sporca storia si ripete. Dopo essere stati cinicamente usati ora i curdi vengono, altrettanto cinicamente, mazziati e beffati.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 20 ottobre 2017