0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Scrivo a proposito dell’articolo di Massimo Fini sopra indicato e apparso su Il Fatto di venerdì 30 marzo. Gli articoli di Fini finora li ho apprezzati e spesso anche condivisi. Questo invece, per quanto riguarda la sua seconda parte (“Da un altro punto di vista”) m’ha suscitato uno stupore indignato ma anche addolorato.

La prima parte è esplicita, è forte, è chiara, ma è fattuale. Il giudizio su Sarkozy  è su dati precisi che viene fondato e lo si condivide anche per quello che riguarda le implicazioni su Berlusconi.

Nella seconda parte schizzano invece invettive che paiono emergere solo da un risentimento di cui non si riesce a capire la ragione obiettiva e che fa pensare a qualcosa di emotivo e personale. Il giudizio storico su De Gaulle, sulla resistenza francese, sul significato dell’azione di Pétain, sulla cultura francese dal dopoguerra a oggi, sul Presidente Macron mi risulta che sia molto più articolato, e non così immediatamente emotivo e negativamente tranchant come, purtroppo, quello di Fini.

C’era, volendo,  l’esempio della lettera di Sartre per dire di De Gaulle con un certo stile: quando  il Generale gli scrisse per il Tribunale Russel chiamandolo “Cher maître”, Sartre gli rispose che “maître mi chiamano alcuni camerieri (del Flore o dei Deux Magots) che sanno che scrivo”.

Luciano Del Pistoia

 

Gentile Del Pistoia, Gerhard Heller, funzionario del ministero della propaganda nazista in Francia durante il governo Pétain, innamorato della cultura d’oltralpe e gran protettore degli intellettuali francesi, resistenti o presunti tali, riferisce che a denunciarli erano molto più i francesi dei tedeschi (La Rive Gauche, H.R.Lottman, Edizioni di Comunità). Albert Camus poté pubblicare per Gallimard Lo straniero, l’opera che gli avrebbe dato rinomanza mondiale, e Sartre portò a teatro Le mosche. Dopo la guerra gli intellettuali francesi divennero tutti resistenti, sia quelli che lo erano stati davvero come Albert Camus (Combat, da lui diretto, fu pubblicato clandestinamente a partire dal 1941) o che non lo erano stati affatto o in modo così timoroso che nessuno se ne era accorto, come Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir.

Benché io, come scrivo in quel pezzo, sia impregnato di cultura francese, sia quella esistenzialista sia quella, molto più valida, ottocentesca, e mia madre, russa, e mio padre, italiano, abbiano vissuto in esilio a Parigi fuggendo entrambi da due opposti totalitarismi e in casa parlassero francese, non è colpa mia se in Francia i nazisti si comportarono meglio di quei francesi che fingevano di fare la fronda, che anzi si scopersero ‘resistenti’ solo a babbo morto.

In ogni caso preferisco i tedeschi ai francesi, odiosissimi sciovinisti quanto noi siamo autodenigratori. Heil Angela!

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 5 aprile 2018