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Forse Di Maio e Salvini avrebbero fatto meglio a giocarsela ai dadi la leadership per i primi due anni e mezzo di legislatura. Avere come presidente del Consiglio un signore che sarà anche autorevolissimo, nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori, ma che è totalmente sconosciuto alla popolazione, non è proprio il massimo. Dice: bravo, questo governo, che non appare proprio solido, cade presto e quello che fra Di Maio e Salvini si mettesse in lista d’attesa resterebbe fregato. Ragionando in politichese, che non è esattamente il nostro costume, si potrebbe obbiettare che le responsabilità dell’eventuale fallimento del governo verrebbero attribuite innanzitutto al premier in campo, mentre chi è restato in panchina avrebbe molte meno responsabilità per la perdita della partita, anzi potrebbe avvantaggiarsene.

Ma noi non crediamo affatto che questo governo sia debole e tantomeno che Salvini, come alcuni temono, possa subire ricatti da Berlusconi. Cominciamo da questo secondo punto che è il meno importante. Aver raggiunto il potere come sarà il caso di Salvini cambia i rapporti di forza e gli stessi uomini. E’ significativo il precedente di Craxi. Capo di una piccola minoranza nel 1976 al Midas fu eletto segretario del Psi dalle maggioranze di quel partito che pensavano di poterlo manovrare e farlo fuori in qualsiasi momento. Invece fu Craxi a mettere nel sacco tutti dentro il Psi e anche fuori.

Ma il governo non nasce affatto debole per altri e più importanti motivi. Checché se ne vada dicendo e scrivendo da mesi M5S e Lega sono due movimenti che si integrano perfettamente. M5S ha nella sua ideologia fattori di sinistra, di centro, di destra. E’ in chiave moderna una sorta di Democrazia Cristiana che per almeno trent’anni riuscì a tenere insieme tutto con risultati più che discreti per il nostro Paese. Salvini farà quindi una politica di destra, soprattutto sull’immigrazione, sulla sicurezza, sulla certezza della pena, cui i grillini non sono affatto contrari. A Di Maio spetterà di applicare la parte di sinistra del contestato contratto. Sul piano della politica interna non vediamo quindi grandi difficoltà.

I problemi che pongono entrambi gli schieramenti sono di politica estera e riguardano il loro latente antieuropeismo. Che l’Italia debba far sentire la sua voce in Europa, com’è suo sacrosanto diritto, chiedendo la modifica dei trattati che gli sono più ostici, è fuori discussione. Ma è anche fuori discussione che debba rimanere saldamente non solo nell’euro ma nella Ue. Nessun Paese europeo può reggere l’urto con Stati come gli Usa, la Russia, la Cina, l’India e degli ancor più forti, indecifrabili e indefinibili potentati economici e finanziari internazionali, che son coloro che di fatto menano la danza, insomma il famigerato mercato globale.

Ma la cosa a nostro avviso più preoccupante è che se nella pancia e nel contratto stipulato fra M5S e Lega ci sono accenti antieuropeisti non c’è nessuna presa di distanza dagli Stati Uniti e dal loro braccio armato, la Nato. L’Alleanza Atlantica, come abbiamo già scritto (“Un esercito europeo: così poi usciamo dalla Nato”, Il Fatto 15 maggio) è stata dal dopoguerra lo strumento con cui gli Usa hanno tenuto in stato di minorità, militare, politica, economica e alla fine anche culturale e linguistica, l’Europa che era uscita sconfitta tre quarti di secolo fa da quel conflitto. Sbarazzarsi di questa pelosa tutela, come ha capito benissimo Angela Merkel, è quindi una priorità. Ecco perché nel famoso discorso di Aquisgrana la statista tedesca ha detto apertis verbis che l’Europa ha l’assoluta necessità di crearsi un proprio, forte, competitivo esercito. Perché la potenza militare trascina con sé tutto il resto, fra cui l’economia e la possibilità di avere una reale influenza nei rapporti internazionali. Ed è la ragione per cui noi italiani dobbiamo accettare, agganciandoci a tedeschi e francesi, un ruolo un po’ più marginale in Europa per averne invece, insieme all’Europa, uno determinante nella politica internazionale.

Detto questo la cosa che più ci convince del nuovo governo è proprio ciò che più gli viene contestato. Tutti, sia a livello nazionale (a cominciare da Mattarella che, uomo da sempre incistato nel potere,cerca di mettere i bastoni fra le ruote e di arrogarsi anche la scelta dei ministri che in nessun modo gli compete) che internazionale bollano il governo giallo-verde come “antisistema”. Per quel che ci riguarda sono almeno trent’anni che ci battiamo contro questo “sistema” e chiunque ci abbia fatto il favore di tentare di sbarazzarcene, come la prima Lega di Bossi, o che cerca di farlo ora, come i Cinque Stelle e, in subordine, Salvini, non può che avere la nostra adesione e, nei limiti con cui può farlo legittimamente un giornalista, il nostro appoggio.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2018