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La politica aggressiva degli americani nei confronti dell’Iran, che in questi giorni ha raggiunto il suo pericoloso acme con l’attacco cyber contro i sistemi missilistici iraniani, ha origini lontane che risalgono a trent’anni fa quando nel 1979 la rivolta popolare islamica cacciò lo Scià di Persia, che era totalmente appiattito sugli Stati Uniti, e porterà al potere l’ayatollah Khomeini. A quell’epoca la situazione sociale in Persia era questa: c’era una sottile striscia di borghesia ricchissima i cui figli e figlie si potevano vedere nelle migliori scuole di Londra, tutto il resto era povertà. L’idea di Khomeini era di trovare una via islamica allo sviluppo, che non fosse né comunista né capitalista, come si evince da una straordinaria lettera che l’Ayatollah inviò a Gorbaciov nel 1989 in cui gli diceva: ora che state lasciando il comunismo non fatevi attrarre dai verdi prati del capitalismo. Il programma di Khomeini, sviluppo ma mantenendo le tradizioni islamiche, ha funzionato bene dal punto di vista sociale perché oggi in Iran c’è un’estesa borghesia che si riconosce nel premier Rouhani, mentre il rispetto delle tradizioni è lasciato alla guida suprema Ali Khamenei.

Questo è il primo tempo della interminabile partita fra Iran e Stati Uniti che non potevano tollerare la cacciata di un loro fantoccio, lo Scià, e l’avvento di un socialismo in salsa islamica. Il secondo tempo inizia con la guerra mossa all’Iran da Saddam Hussein che riteneva lo Stato persiano indebolito dalla caduta dello Scià. Per cinque anni le democrazie occidentali, Stati Uniti in testa, stettero a guardare limitandosi a fornire di armi entrambi i contendenti (il business “non olet”) perché potessero ammazzarsi meglio. Nel 1985 i pasdaran iraniani, male armati ma molto più motivati degli iracheni, erano sorprendentemente davanti a Bassora e stavano per conquistarla. La presa di Bassora avrebbe avuto tre conseguenze. 1. L’unione dell’ovest iracheno con l’Iran, cosa del tutto ragionevole perché si tratta della stessa gente dal punto di vista antropologico, culturale e religioso. 2. La caduta immediata di Saddam Hussein. 3. La creazione di uno Stato curdo nella parte irachena che era stata fino ad allora sotto il tallone di ferro del raìs di Baghdad. Insomma si sarebbe sistemata, in modo politicamente e geograficamente ragionevole, quell’area incandescente. Ma la cosa non poteva garbare agli americani. Per molti motivi, il principale dei quali era forse che un Kurdistan iracheno autonomo sarebbe stato una pericolosa spina nel fianco della Turchia, che si trovava con 12 milioni di curdi, ferocemente repressi, nei propri confini, Turchia che era a quei tempi un’importante e fedele alleato degli Stati Uniti. A quel punto intervennero gli americani. Per ‘motivi umanitari’ naturalmente: “Non possiamo permettere alle orde iraniane di entrare a Bassora, sarebbe un massacro” (gli eserciti regolari sono i nostri, quelli degli altri sono solo “orde”). Risultato dell’’intervento umanitario’: la guerra Iraq-Iran che sarebbe finita nel 1985 con un bilancio di mezzo milione di morti, terminerà solo tre anni dopo con un bilancio di un milione e mezzo di morti, mentre Saddam, galvanizzato dalle armi, anche chimiche, che gli erano state fornite da americani, francesi e sovietici, aggredirà il Kuwait. E sarà la prima guerra del Golfo dove sotto i bombardamenti degli Usa moriranno 157.971 civili, fra cui 32.195 bambini.

Il terzo tempo riguarda l’aggressione americana all’Iraq di Saddam Hussein del 2003. Risultato: la consegna agli iraniani, senza che questi avessero avuto bisogno di sparare un solo colpo, di quella parte dell’Iraq che gli era stato impedito di conquistare ai tempi della guerra Iraq-Iran.

Il quarto tempo, anche se non in senso cronologico, riguarda la questione nucleare iraniana oggi all’ordine del giorno. Gli iraniani avevano sottoscritto da tempo il Trattato di non proliferazione nucleare e avevano permesso agli esperti dell’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) di ispezionare le loro centrali nucleari per controllare che l’arricchimento dell’uranio non superasse il 20% (cioè a usi civili e medici, per arrivare all’Atomica l’arricchimento deve essere del 90%). Nel frattempo, e non si capisce bene il perché dati questi presupposti, gli americani avevano cominciato a imporre sanzioni all’Iran per strangolare economicamente quel Paese. Nel 2015 fra i componenti del cosiddetto “5+1”, vale a dire tutti i Paesi che fanno parte del Consiglio di sicurezza più la Germania, si stipulò con l’Iran un nuovo accordo: gli iraniani riducevano l’arricchimento dell’uranio nelle loro centrali dal 20% al 3,67%, concentravano le loro attività nucleari in un solo sito in modo che fosse facilmente controllabile e accettavano, come avevano sempre fatto, le ispezioni dell’AIEA. In cambio ottenevano la cessazione delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e al loro seguito dall’Unione Europea. La questione sembrava quindi risolta. Ma con l’arrivo di Trump gli Stati Uniti si sono sfilati dall’accordo nonostante gli iraniani lo avessero rispettato al millimetro come è stato confermato dall’AIEA e dall’Unione Europea. Ora, un accordo internazionale viene firmato da un governo ma impegna lo Stato che lo sottoscrive. Non è pensabile che venga stracciato a ogni cambio di governo in questo o in quel Paese. Ma così è stato. Non solo gli Stati Uniti hanno incrementato le sanzioni economiche contro l’Iran ma hanno cercato di imporre anche agli altri Paesi, anche a quelli che non sono certamente loro alleati come la Cina, di fare lo stesso. Per ottenere questo obbiettivo impediscono alle grandi banche internazionali che gli altri Paesi possano fare transazioni economiche con l’Iran. Per la verità non si capisce perché una banca internazionale non americana debba sottostare a un diktat americano. Ma così è stato e l’Unione Europea, sempre molto prona agli Stati Uniti, pronta anche a strisciare ai piedi di the Donald alla moda del ‘duro’ Salvini, per aggirare il diktat ha creato un canale speciale per poter avere rapporti economici con l’Iran dal quale, visto l’accordo del 2015, non ha nulla da temere. Ma gli americani continuano imperterriti. A sanzioni hanno aggiunto altre sanzioni, altre provocazioni, fino ad arrivare all’attacco cibernetico. Trump ha tuonato: “Non permetteremo mai all’Iran di farsi l’Atomica”. Fa un po’ sorridere che un Paese che è seduto su un arsenale di circa 7.000 Atomiche voglia impedire ad un altro, che d’altronde non ne ha nessuna intenzione, a meno che non si continui a fracassarne l’economia, di farsene una. Ma, si sa, gli Stati Uniti sono una Superpotenza e hanno la forza di fare una politica da Superpotenza. Ma quello che veramente non si capisce è perché Israele, che Superpotenza non è, possa possedere tranquillamente da anni missili con testate nucleari puntati direttamente su Teheran senza che nessuno si sogni di comminargli non dico una sanzione economica ma gli dia almeno una tirata d’orecchie.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2019