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Ci stanno fottendo l’estate. Ci stanno fottendo il mare. Ci stanno fottendo le vacanze. Per me estate e mare hanno sempre coniugato il nome più proibito: felicità. “Col sole e col mare anche un ragazzo povero può crescere felice” scrive Camus e tutte le canzoni che parlano di estate si ispirano al mare (Una rotonda sul mare, Fred Bongusto; Sapore di sale, Gino Paoli; Luglio, Riccardo del Turco; Un’estate al mare, Giuni Russo; Voglio andare al mare, Vasco Rossi) mai alla montagna tantomeno al lago (roba da crucchi). E’ vero che i vecchi, categoria a cui arbitrariamente appartengo, d’estate preferiscono al mare la montagna o, ancor meglio, la collina, perché sono più riposanti. Ma è un riposo che somiglia un po’ troppo all’eterno riposo. Ma io non sono ancora così conciato da non potermi cacciare a bagno.

Ma quest’anno raggiungere il mare per i lombardi sarà praticamente impossibile. Troppe combinazioni debbono incastrarsi. Poniamo che uno scelga il litorale più vicino e abbordabile, il ligure, luogo prescelto per decenni, nel dopoguerra, dalla piccola e media borghesia milanese e torinese (nel Novecento il Mar Ligure, in particolare a Levante, era meta del turismo d’élite, di aristocratici inglesi e soprattutto russi che erano molto diversi dai russi griffati e volgari che oggi occupano la Versilia insieme ai ricchi scemi italiani che non si sono ancora accorti che al Forte non solo non si vede il mare ma nemmeno lo si sente, tanto vi hanno costruito).

La prima condizione è che il commendator Fontana, Regione Lombardia, apra i confini territoriali (ma quanto è buona Lei signora Belva). Ma non basta. Bisogna che la Regione Liguria faccia altrettanto e non discrimini i lombardi, untori provenienti da pericolosissimi focolai. Forse ai loro confini i poliziotti liguri, sospettandoci in possesso di documenti falsi, ci faranno un test linguistico (però io il dialetto ligure, soprattutto di Ponente, lo conosco: Savona si pronuncia Saña, speggietti vuol dire occhiali, belin è il cazzo, “ti m’hae za menòu o belìn”, che le donne, per pudicizia, convertono in belan). Ma non basta ancora. Lombardia e Liguria non confinano, vi si interpongono Piemonte ed Emilia. Bisognerà che anche queste due Regioni aprano i propri confini. Ma un milanese potrebbe trovarsi in una bizzarra situazione: mentre vola felice verso la Riviera e gli agognati bagni, Liguria e Lombardia, per un’impennata del Corona, richiudono contemporaneamente i propri territori e lui si trova intrappolato a Novi Ligure, che a dispetto del nome è Piemonte, a visitare il Museo di Coppi.

E ben gli starebbe. Perché il milanese è pirla da sempre. A chi mai poteva saltare in mente di fondare una città su una pianura desolata, caldissima e afosa d’estate, fredda e nebbiosa d’inverno e soprattutto umidissima? E senza un fiume. Milano è l’unica grande città italiana ed europea a non avere un fiume, Torino ha il Po, Firenze l’Arno, Roma il Tevere, Londra il Tamigi, Parigi la Senna, il Danubio bagna Vienna e Belgrado. Ho chiesto a storici e geografi perché Milano sia venuta su in una posizione così poco allettante. L’unica risposta che ne ho ricavato parte dal nome che aveva nell’antichità, Mediolanum, la via di mezzo, la più diretta per raggiungere la Gallia. Ma a trenta chilometri, sulla stessa direttrice, c’è Pavia che sta sul Ticino, uno dei fiumi più belli d’Italia, se non forse il più bello. E infatti i Longobardi, che erano meno pirla dei milanesi, vi trasferirono la capitale.

E quindi noi milanesi, almeno quelli che la identificano col mare, dopo dieci, lunghissimi mesi di spasmodica attesa (“Come un giorno di sole fa dire a dicembre l’estate è già qui”, Patti Pravo) quest’anno non avremo l’estate. Rimarremo a Milano, a morire non di Covid-19 ma dal caldo e di solitudine (“Cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso eccola qua…neanche un prete per chiacchierar”, Azzurro, Adriano Celentano).

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 9 maggio 2020