0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Massimo Bertarelli è stato un importante giornalista del Giornale, prima con Montanelli, poi con i vari direttori che si sono susseguiti. Era un critico cinematografico, molto a modo suo: gli piaceva stroncare i capolavori, sia pur in modo leggero e divertente (1500 film da evitare, Gremese Editore). Del resto prendeva la vita stessa come un grande gioco. Alla sua morte il Giornale che intendeva pubblicare un libretto con i suoi scritti migliori chiese a me e ad altri, fra cui Pupi Avati, un ritrattino. Io naturalmente non parlai del giornalista, ma del compagno di merende (poker soprattutto) che era stato per me in tanti anni. Quel libretto su Bertarelli, cui mi dicono che la figlia, comprensibilmente, tenesse molto, il Giornale poi, per motivi che non conosco né mi interessa conoscere, non lo pubblicò. Ma se il Giornale non intende onorare uno dei suoi giornalisti, lo faccio io qui, ora, pubblicando quel ritrattino.

 

Massimo è stato mio ‘compagno di merende’, cioè di gioco, d’azzardo naturalmente, poker, cavalli (“gli stramaledetti quadrupedi”), roulette, chemin de fer (Campione soprattutto, ma anche Saint-Vincent e Chamonix) e anche di calcio (era tifosissimo del Milan). Aveva un modo leggero di affrontare il gioco e oserei dire anche la vita, che si riflette poi nei suoi scritti. Gli piaceva un mondo fare gli scherzi. Quando a San Siro segnava il Milan si rovesciava all’indietro e lungo com’era e con le braccia allargate abbatteva un paio di file che gli stavano dietro. Una volta perse da me un bel po’ di soldi e poiché non li aveva mi portò da sua zia, la ricca nutrizionista Ada Del Vantesino perché saldasse il debito. Lei ci fece una solenne ramanzina che noi ascoltammo tutti compunti, ma pagò. Così ogni volta che perdeva (con altri) e non aveva i soldi mi portava dalla zia perché facessi la parte del creditore. Ma il peggio era che si metteva alle spalle della zia e faceva le facce, le ‘sue’ facce, mentre io dovevo rimanere serio (una storia alla Walter Chiari e Carlo Campanini). Aveva una vena irresistibilmente comica e, da giovane, anche una faccia un po’ comica. Credo che se non avesse fatto il giornalista sarebbe stato un eccellente uomo di spettacolo.

Come giocatore Massimo ha peccato molto, ma come bookmaker era una frana e il suo giro poco più di quello di una tombola familiare (ci giocava anche Montanelli). La magistratura lo accusò di essere nientemeno che il capo del “toto nero”. Un incidente di percorso che poteva avere serie conseguenze. Io che sapevo come stavano le cose scrissi per Il Giorno un pezzo (Un genio, un compare o forse due polli) per chiarire i limiti di quella “tombola”. E Montanelli mi telefonò, per ringraziarmi.

Massimo Fini