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Don Chisciotte: «Ho letto millanta storie di cavalieri erranti, di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza. Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia, ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia. Proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto… ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo. Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante, e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante, colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte, com'è vero nella Mancha che mi chiamo DON CHISCIOTTE!». Sancho Panza: «Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore, contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore. È la più triste figura che sia apparsa sulla terra, Cavalier senza paura di una solitaria guerra... E così da giorni abbiamo solo cazzi nel sedere, non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere. E questo pazzo scatenato, che è il più ingenuo dei bambini, proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini». Don Chisciotte: «Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora, solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora… ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa il nemico si fa d'ombra e s'ingarbuglia la matassa». Sancho: «A proposito di questo farsi d'ombra delle cose, l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese le ha attaccate come fossero un esercito di Mori… Era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore? Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore, credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane il solo metro che possiedo, com'è vero che ora ho fame!». Don Chisciotte: «Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista, ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista, l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna…». Sancho: «Mio Signore, io purtroppo sono un povero ignorante e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente, ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia, riusciremo noi da soli a riportare la giustizia in un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre, dove regna il capitale, oggi più spietatamente, riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero al potere dare scacco e salvare il MONDO INTERO?». Don Chisciotte: «Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro perché il Male ed il Potere hanno un aspetto così tetro? Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la realtà?». (A due voci) «Il Potere è l'immondizia della storia degli umani e anche se siamo soltanto due romantici rottami, sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte, siamo i Grandi della Mancha: SANCHO PANZA E DON CHISCIOTTE!». Don Chisciotte, Francesco Guccini.

Notevole è anche la figura di Sancho Panza, almeno nell’interpretazione che ne dà Guccini: Sancho è un realista ma per amore del suo Signore alla fine si fa coinvolgere in un’impresa in cui non crede. Questa si chiama fedeltà.

Quando era in auge, Guccini lo frequentavo poco troppo cupa sembrandomi la sua poetica. Ma un giorno, era il ‘76, sentii uscire da un jukebox “Io anarchico, io fascista”(L’Avvelenata). Nel sinistrume di allora, che coinvolgeva tutti i giornali e gli intellettuali, sempre pronti ad appecoronarsi al conformismo del momento, quella frase suonava come una bestemmia in Chiesa. Naturalmente Guccini non ha niente a che vedere col fascismo, né storico né come forma mentis, è un anarchico e un libertario. E nella vita ha fatto onore al suo Don Chisciotte. Certo ha avuto successo, ma, uomo schivo come pochi, cosa rara nell’ambiente narcisistico dello spettacolo, ha fatto di tutto per inimicarsi quello che avrebbe dovuto essere il suo mondo: cantautori, uomini di spettacolo, conduttori di talkshow. Prendiamo il Cirano, 1996 : “Venite pure avanti inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza, avrete soldi e gloria, ma non avete scorza. Godetevi il successo, godete finché dura, che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura, e andate chissà dove per non pagar le tasse… Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna. Gli orpelli? L'arrivismo? All'amo non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco. Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti, venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false che avete spesso fatto del qualunquismo un’arte, coraggio liberisti, buttate giù le carte. Non me ne frega niente se anch'io sono sbagliato. Spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato. Coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco”.

Anche oggi ci chiediamo, come allora Guccini, dove sono finiti i cavalieri erranti, i cavalieri senza macchia e senza paura, i “chevalier seul”. Non si vedono nel mondo né tanto meno in Italia. Dove sono i Che Guevara? In Italia io conosco, e riconosco, un solo chevalier seul, Daniele Luttazzi, l’unica, vera vittima dell’“editto bulgaro” di Berlusconi. Oggi Luttazzi ha trovato rifugio al Fatto, ma è un uomo di spettacolo, lo scrivere lo riguarda meno.

Io, perdonate la superbia, sono sempre stato un Don Chisciotte. Fin da subito. Mio padre mi chiamava “l’avvocato delle cause perse” e forse avrebbe dovuto cercare di correggere un po’ questa mia tendenza. A differenza però del Don Chisciotte di Cervantes e di quello di Guccini io non mi sono battuto contro i mulini a vento, ma contro i poteri, forti e fortissimi. Da quando, agli inizi degli anni Settanta, ho fatto il giornalista, ho ingaggiato una battaglia solitaria contro la partitocrazia. Non ho cavato un ragno dal buco, come ognuno può vedere, ma questa mia battaglia carsica è servita poi ad altri, come una volta mi ha ammesso lo stesso Travaglio. Mi sono battuto contro il craxismo (nella sua seconda fase, quella dei “nani e ballerine”). Non sono così ubbriaco di me stesso da pensare di aver abbattuto Craxi, è stata Mani Pulite, cioè quel formidabile pool di magistrati milanesi che, ora che un’altra magistratura è nella tempesta, conviene ricordare. Mi sono battuto a favore dell’indipendentismo talebano-afghano contro gli occupanti americani. Quella guerra è stata vinta grazie al coraggio e al fortissimo senso di appartenenza nazionale degli afghani, talebani o non talebani che fossero. Però, essendo stato l’unico, proprio l’unico in Occidente a difendere la causa talebana, mi sento di poter dire che quella vittoria appartiene anche a me. Per una volta Don Chisciotte ha vinto.

Però essere contro lo strapotere dei partiti, essere contro un Craxi dominante, essere contro gli americani, mi è costato l’esclusione da tutto. Nella prefazione al mio libro “Il Conformista”, 1990, Montanelli scriveva: “Ha le mani pulite, ed è questo che dà tanta forza alla sua frusta e insieme lo rende così inviso alla intellighenzia. Non ne rispetta le regole. Non sta al gioco… Gliela faranno pagare calando su di lui una coltre di silenzio: da quando i roghi non usano più, è la sorte che attende i conformisti che non si conformano”. E così è stato.

Ma nonostante tutto, come canta Vasco, “eh già, sono ancora qua”. Pronto, con la mia spada che ha perso parecchio del suo filo, a ingaggiare duelli. “E al fin della licenza io non perdono e tocco”. Come sanno, fra gli altri, Silvio Berlusconi e Alessandro Sallusti.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2021

 

"Nonostante sia ancora un bambino mio figlio ha già i miei infantilismi." (Il Ribelle dalla A alla Z)