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Il generale americano Austin Miller, comandante della missione in Afghanistan, ha affermato che prepara raid aerei se i Talebani non fermeranno la loro offensiva. Ma come? Gli americani non hanno appena firmato a Doha un accordo con i Talebani in cui si impegnano a por fine a una belligeranza che dura da più di vent’anni? Ma che fine della belligeranza è mai se una parte decide sì di abbandonare fisicamente, con i propri uomini, l’Afghanistan, ma poi continua a bombardare il nemico dalle sue basi in Pakistan o magari dal Nevada? Che valore possono avere, non solo per i Talebani che sono i diretti interessati, ma per chiunque, gli impegni, le parole, l’onore degli americani?

Intanto americani e turchi stanno discutendo fra di loro su chi debba gestire l’aeroporto di Kabul. E questo senza consultare non dico i Talebani ma quello che gli stessi americani ritengono il governo legittimo dell’Afghanistan, quello di Ashraf Ghani. Cioè non rispettano nemmeno quello che loro stessi hanno deciso. A questo punto non si riesce più nemmeno a trovare le parole per descrivere una situazione che viola non solo ogni norma di diritto internazionale, ma la correttezza più elementare, il rapporto di fiducia più elementare, la morale più elementare.

Sono almeno vent’anni che i governi americani, democratici o repubblicani che siano, violano costantemente quello che dovrebbe essere il diritto internazionale: l’aggressione alla Serbia del 1999, quella all’Iraq del 2003, quella alla Libia del 2011 sono state condotte non solo senza l’approvazione dell’Onu ma contro la sua volontà. A questo punto ci si chiede cosa conti l’Onu. Con tutta evidenza: niente.

In tutto questo aggiungiamo, per sola misura di contorno, che la stampa italiana riesce a essere più serva di qualsiasi servo. Sul Corriere della Sera la collega Marta Serafini ci fa un lacrimevole ritratto dell’Afghanistan in questi vent’anni di guerra: civili uccisi, bimbi uccisi, donne uccise. Si dimentica però di dire chi ha causato queste vittime. Non certo i Talebani. Per due motivi. Uno formale, l’altro sostanziale. Nel Libretto Azzurro, naturalmente irriso in Occidente, il Mullah Omar dettava precise indicazioni ai suoi comandanti militari: “Il sacrificio dei valorosi figli dell’Islam è lecito soltanto se il bersaglio è importante, vale a dire solo per obiettivi militari e politici cha abbiano una certa rilevanza, col massimo impegno per scongiurare vittime civili”. E il Mullah Omar aveva il prestigio sufficiente per imporsi, ammesso ce ne fosse stato bisogno, ai suoi combattenti che rispettarono puntualmente quelle consegne. Motivo sostanziale, come ho scritto e ripetuto alcune centinaia di volte, è che i Talebani non avevano alcun interesse a inimicarsi la popolazione civile sul cui sostegno hanno potuto condurre, in totale inferiorità per mezzi tecnici, una vittoriosa guerra di indipendenza ventennale. Per quanto possa sembrar strano ad orecchie occidentali, bombardate dagli articoli della Serafini e di tutte le Serafini, il Mullah Omar era un uomo etico, di principi, come dimostra, in modo inequivocabile e non contestabile, il trattamento che i Talebani han sempre riservato ai loro prigionieri, considerandoli correttamente prigionieri di guerra e non trattandoli alla Guantanamo. Lasciamo anche perdere, per carità di patria, la consueta confusione che si fa, volutamente o per ignoranza, fra Talebani e Isis.

Il destino del governo “regolare” di Ashraf Ghani è segnato. I soldati regolari accettarono a suo tempo l’ingaggio per avere, in una Kabul che aveva raggiunto la dimensione mostruosa di cinque milioni di abitanti e dove era stato distrutto anche l’artigianato locale, un salario purchessia, ma adesso disertano: o si uniscono ai Talebani o si rifugiano, cercando protezione, presso i rispettivi clan.

Il generale Miller si dice preoccupato che l’Afghanistan sia sconvolto da una guerra civile che veda contrapposti pashtun, tagichi, uzbechi. Questo è possibile. Peccato che nella loro travolgente avanzata fra il 1994 e il 1996 , i Talebani, in maggioranza pashtun, avessero sconfitto i leggendari “signori della guerra”, Dostum, Heckmatyar, Ismail Khan, che si erano messi a capo delle rispettive etnie per pure ragioni di potere personale, riportando per sei anni l’ordine, la pace e la legge in quel Paese (in Uzbekistan fu ricacciato Dostum, che attualmente è vicepresidente del governo afghano, un tale pendaglio da forca che gli stessi americani gli hanno negato il visto per gli Stati Uniti, Heckmatyar e Ismail Khan si rifugiarono nell’Iran sciita, in quanto a Massud, che aveva tradito il suo Paese chiedendo l’aiuto americano, s’è fatto fuori da solo perché i servizi segreti USA, ritenendolo troppo ingombrante, lo avevano a suo tempo eliminato).

Sì, è possibile che in Afghanistan ritorni la guerra civile che si era scatenata, fra il 1990 e il 1996,  dopo il ritiro degli invasori sovietici e a cui l’avvento dei Talebani aveva posto fine. In questo caso avremmo fatto tornare indietro l’orologio della storia afghana di trent’anni. Complimenti.

Il Fatto Quotidiano, 14 Luglio 2021

"I miei veri lettori non sono miei lettori" (m.f.)