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Al vertice organizzato a Roma dalla FAO il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha affermato: <<La povertà, la disparità di reddito e l’alto costo del cibo continuano a tenere le diete sane fuori dalla portata di circa tre miliardi di persone>> . Di rincalzo è venuta l’assistente di Guterres, Agnes Kalibata, per i problemi alimentari nel mondo: << I sistemi alimentari sono locali, ogni Paese deve definire come cambiarli. Per questo ho insistito per coinvolgere i piccoli agricoltori e le comunità indigene che producono il 60/80 per cento di cibo nel mondo>>.

Anche se l’ONU non conta ormai più nulla, almeno qualcuno, a quel livello, ha capito che i problemi alimentari dei paesi dell’Africa subsahariana – perché di questi soprattutto si tratta – non si risolvono con un’ipocrita “aiutiamoli a casa loro” ma lasciando  come dice Agnes Kalibata che siano gli indigeni a decidere come risolvere i propri problemi alimentari seguendo le tradizioni delle colture autoctone.

Non è infatti che negli ultimi decenni i neri africani siano rimasti fermi. Secondo dati FAO, un po’ datati ma nella sostanza ancora validi, negli ultimi quarant’anni la produzione dei cereali base, riso, grano e mais, è aumentata rispettivamente del 30, 40 e 50 per cento. E a questa crescita hanno  contribuito in modo preponderante proprio le comunità indigene dei paesi cosiddetti sottosviluppati se è vero come dice Agnes Kalibata che costoro producono ”il 60/80 per cento del cibo nel mondo”. E allora perché queste comunità sono alla fame, come è drammaticamente documentato dalle migrazioni bibliche che ci vengono soprattutto dall’Africa centrale? Perché in un’economia mondiale integrata, di mercato e monetaria, il cibo non va dove ce n’è bisogno, va dove c’è il denaro per acquistarlo. Va ai maiali dei ricchi americani e, in generale, al bestiame dei paesi industrializzati (sempre secondo dati FAO il 66 per cento della produzione mondiale dei cereali è destinato alla alimentazione degli animali dei paesi industrializzati). Cioè i poveri del terzo mondo non producono cibo per sfamare se stessi , ma per nutrire i maiali occidentali, dove per “maiali” non si intendono solo le bestie in senso proprio, ma in modo più lato gli occidentali stessi, italiani ovviamente compresi.

La fame in Africa Nera, come ho documentato nel mio libro Il vizio oscuro dell’Occidente, è stata provocata dall’intrusione in quel mondo, con le buone o con le cattive, del nostro modello di sviluppo. Fino agli inizi degli anni Sessanta l’Africa Nera era alimentarmente autosufficiente ma era un mercato troppo povero perché potesse interessare i paesi industrializzati. Ma più o meno in quel periodo questi Paesi, poiché i loro mercati, alimentari e non, sono saturi, dovettero cercarne altri e l’Africa, allora animista e non ancora ideologizzata in senso islamico, non ebbe la capacità e la forza di difendersi da questa invasione economica. E qui inizia il patatrac.

Va posto innanzi tutto un problema teorico ma che ha effetti drammaticamente pratici. Le aziende dei paesi industrializzati possono o no andare a cercarsi il luogo del mondo dove il loro capitale è meglio remunerato? Sì, possono. E allora lo stesso diritto non dovrebbe spettare agli uomini che spesso sono ridotti alla fame proprio dall’introduzione nella loro vita del nostro modello? Cioè il denaro, ha più diritti degli uomini? E’ una tesi che farebbe arrossire anche il vecchio Adolf, ma è ciò che in realtà avviene.

Per salvarsi la coscienza si dice che, in fondo gli immigrati ci sono utili perché surrogano la nostra mancanza di vitalità (in Italia il tasso di fertilità per donna è 1,3, il più basso al mondo dopo il Giappone, in Medio Oriente è del 2,5, nell’Africa subsahariana è del 5) e fanno lavori a cui i nostri giovani non sono più disposti. A parte che paghiamo a questi immigrati cifre irrisorie per un lavoro durissimo (la Puglia del caporalato ne è uno sconcio esempio) questo discorso, indubbiamente pragmatico, io non l’accetto. Perché guarda al dramma delle immigrazioni, ormai migrazioni, sempre e solo dal nostro punto di vista, dal punto di vista dei vantaggi osceni che ne possiamo ricavare.

Matteo Salvini, credendosi ancora ministro degli Interni, mentre è solo uno dei parlamentari che sostiene questa caotica maggioranza, spara a zero sull’attuale ministro Luciana Lamorgese perché ha lasciato sbarcare 800 migranti a Lampedusa.  Ora, se Salvini e tutti gli imprenditori, le aziende,i bottegai che rappresenta sono disposti a ritirare le loro devastanti attività dall’Africa centrale allora ha anche il diritto di sparare sui migranti, altrimenti deve accettare (prendo ovviamente Salvini come il più miserabile degli esempi) che la bomba che lui stesso ha innescato gli scoppi fra i piedi.

Il Fatto Quotidiano, 6 agosto 2021

"Se il comunismo è vittima del suo insuccesso, il capitalismo lo è del suo successo" (Il Ribelle dalla A alla Z). In realtà le vittime del capitalismo non sono i capitalisti, ma, per dirla con Nietzsche, gli "schiavi salariati" che lavorano al loro servizio e soprattutto gli abitanti dei mondi "altri" (m.f.)