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Se Marco Travaglio in un articolo del 6 agosto non avesse sollevato il caso di Renato Farina, in arte Betulla, arruolato, con 18.000 euri l’anno,  come “consulente giuridico” nello staff del ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, la cosa sarebbe rimasta del tutto inosservata. Del resto anche quando si venne a sapere che il Farina, che allora lavorava al Giornale, faceva due lavori, uno come giornalista, si fa per dire, e l’altro come informatore del Sismi, prendendo soldi dagli uni e dagli altri, ci fu chi lo difese perché in questo paese di corrotti e corruttori c’è sempre qualcuno più corrotto degli altri. Giuliano Ferrara, che a suo tempo era stato informatore della Cia, non si sa se pagato con denari sonanti o altro tipo di favoritismi, scrisse: <<Prende due stipendi? E che male c’è, fa due lavori>>. E’ come se un poliziotto prendesse uno stipendio dallo Stato e un altro se lo intascasse come refurtiva.

Mi ricordo che all’epoca di quei fatti Valeria Braghieri, che lavorava e ancora lavora al Giornale mi raccontò di aver trovato il Farina affranto, appoggiato a uno stipite, che piagnucolava: <<Sì, è vero, ho preso dei soldi dal Sismi, ma li ho dati in beneficenza>>. E’ tipico di questo genere di cattolici salvarsi la coscienza con i nostri soldi.

Ora il Farina si è dimesso. Ma il problema di fondo resta perché non riguarda questo povero straccio, ma il ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta. Perché è stato lui che, con dispregio del pericolo, del ridicolo ma anche dei suoi concittadini, ha assunto un soggetto che era stato condannato a sei mesi (poi patteggiati) per  “favoreggiamento in sequestro di persona”. Quindi non è il Farina, che scappati ormai i buoi dalla stalla, doveva dimettersi,  ma semmai Renato Brunetta. E ci piacerebbe che su questa questione che non è affatto risolta con le dimissioni del Farina ci fosse almeno un’interpellanza dell’opposizione, in particolare di Giorgia Meloni a cui abbiamo sempre riconosciuto, nonostante noi la si pensi molto diversamente, un’autentica passione politica. Ma anche gli altri partiti, 5stelle, Pd, Leu, Lega e quei radicali che ai bei tempi di Marco Pannella erano molto attenti alla cosiddetta “questione morale”, non rimanessero indifferenti. Non ci possiamo appellare invece agli uomini di Forza Italia non solo perché Renato Brunetta è al centro della questione, ma perché a un partito che ha come leader un tale che ha avuto lo stomaco di truffare una minorenne orfana di entrambi i genitori non può interessare in alcun modo l’etica. Sia detto con buona pace del cattolico Renato Farina.

A sostegno del Farina è venuto in questi giorni Piero Sansonetti, uno che ha avuto un altro tipo di stomaco passando dall’Unità, quando i comunisti erano forti, al Riformista, oggi che a essere forti sono le cosiddette destre (chiedo scusa alla Destra). Ha scritto infatti il Sansonetti, paragonando i giornalisti del Fatto  alle squadracce fasciste: <<Gli squadristi facevano così. Andavano in sette otto, prendevano un avversario solo solo e lo bastonavano con ferocia>>. A parte che questo è un oltraggio agli autentici martiri dell’antifascismo, da Matteotti ai fratelli Rosselli, non mi pare che si possa definire “solo solo” un tale che è stato parlamentare per il Popolo della Libertà e che è ben incistato nel mondo berlusconiano che, fra le altre cose, gli ha permesso di fare un mestiere, quello del giornalista, per il quale non è per nulla tagliato.

Adesso il Farina, non sapendo dove altro appigliarsi, se la prende con me su Libero per un articolo che ho scritto sul Fatto a proposito degli “integralismi” Covid e MeToo. Lasciamo pur perdere che quel pezzo è in totale contrasto con la linea del Fatto, ma Marco Travaglio lo ha pubblicato ugualmente perché, a differenza del Farina, abituato a mettersi a bucopunzoni davanti a qualsivoglia potere purchessia, è un giornalista e un autentico “liberale montanelliano”, a Renato Farina non rispondo,  non perché la sua prosa sgangherata non possa essere confutata punto per punto, non per supercigliosità, ma perché col Farina ho avuto già a che fare. In un anno che non ricordo Vittorio Feltri, direttore allora di Libero, mi mandò a casa il Farina per una lunga intervista. Nelle intenzioni di Feltri era una gentilezza nei miei confronti. Purtroppo su due pagine solo le prime dieci righe, scritte peraltro in un italiano penoso, erano veritiere, per il resto erano domande inventate e risposte altrettanto inventate. Mi ricordo che, stupito, mandai un biglietto a Vittorio  che diceva pressappoco:  <<A tipi così, ai nostri tempi, si sarebbero affidati, e sarebbe stata ancora cara grazia, solo i “Taccuini”>>. E allora che credito posso mai dare al Farina che oltre tutto, molto cattolicamente, mi da già per defunto?

Il Fatto Quotidiano, 12 agosto 2021