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In un solo anno Mario Draghi è riuscito a ingarbugliare la matassa dell’epidemia più di quanto avesse fatto Giuseppe Conte in due. Ma mentre Conte è stato il primo premier europeo a dover affrontare un fenomeno sconosciuto quale il Covid, Draghi aveva alle spalle due anni di esperienze e di ricerche di epidemiologi, di virologi, di immunologi, di Case farmaceutiche che, pur confuse e contraddittorie, qualche dato utile alla battaglia contro l’epidemia lo devono aver pur dato. Ugualmente non è riuscito a giovarsene.

Io credo che Mario Draghi non sia stato aiutato dall’ossequio, pressoché unanime, da cui è stato circondato dal momento in cui andò al Governo grazie a un irresponsabile colpo di mano di Matteo Renzi che fece cadere l’Esecutivo, per motivi rimasti ai più incomprensibili, in piena pandemia. Osannato da tutte le parti come “il salvatore della Patria” Draghi ha perso il senso della realtà e soprattutto dei propri limiti. Ha creduto di essere onnipotente e di avere sempre ragione. Non è la prima volta che capita in Italia, anche con personaggi ben più attrezzati di Draghi almeno politicamente (SuperMario non è un politico, è un banchiere che è mestiere del tutto diverso). Bettino Craxi a furia di circondarsi di yes man (“la corte dei nani e delle ballerine” come la chiamò Rino Formica) perse quell’intuito politico che era stata la sua forza ed è finito com’è finito chiudendo la sua carriera con personaggi come Giorgio Tradati e l’ex barista Maurizio Raggio, oltre che con una condanna alla reclusione di oltre 10 anni e la contumacia ad Hammamet. Per salire a piani ben più alti, Benito Mussolini, a furia di sentirsi dire che aveva sempre ragione, ha finito per crederci con i risultati che conosciamo. A Leandro Arpinati che gli faceva notare che un certo gerarca era un cretino, rispose: “Lo so, ma preferisco i cretini perché ubbidiscono”.

Mario Draghi non farà certo la fine né dell’uno né dell’altro. Ciò che intendo qui dire è che in politica, ma probabilmente anche in qualsiasi altra disciplina, l’ossequio, senza contraddittorio, è pericoloso per chi lo riceve oltre che per gli stessi cittadini quando vengono trattati da sudditi. E infatti adesso, dopo una serie di decreti che hanno il tono degli ordini perentori più che delle leggi, il mito di Mario Draghi comincia a scricchiolare. Sul Giornale, fino a ieri schierato con Draghi, Vittorio Macioce scrive: “E’ ormai chiaro che l’azione del suo governo è stata meno efficace per il gran ballo del Quirinale”. Ora noi non sappiamo se le ambizioni quirinalizie di Draghi c’entrino qualcosa, quel che conta è che lo stesso Giornale ammette che la sua azione di governo è stata poco efficiente. A Sky Tg24 Economia, fino a ieri totalmente appiattita su Draghi, alcuni ospiti, di varia estrazione politica, hanno cominciato a mettere in dubbio, sia pur timidamente, le azioni di Draghi anche dal punto di vista di quell’economia che dovrebbe essere il suo forte.

Ma ciò che più di tutto ha sconcertato i cittadini, sottoponendoli a uno stress non più sopportabile, sono i cinque decreti a seguire che il Governo, o per meglio dire la misteriosa “cabina di regia”, ha emanato fra dicembre e i primi di gennaio. Sono tutti contraddittori l’un con l’altro, ma soprattutto l’ultimo, quello del 5 gennaio, oltre a essere contraddittorio con i precedenti è così causidico, fatto di misure, di sottomisure, di sottosottomisure che, quand’anche avesse una sua logica, un cittadino di normale intelligenza non ci capisce più niente. È una sorta di delirio giuridico, totalmente scompaginato e in buona parte frutto di non dicibili compromessi fra le varie forze politiche che compongono questa squinternata maggioranza. Mario Draghi è finito in questo pantano,  la sua responsabilità maggiore non sta tanto e solo nel non essere stato in grado, alla lunga (ma in fondo è passato solo un anno) di fronteggiare l’emergenza ma di aver fatto credere, con grande sicumera, di poterlo fare. A furia di essersi sentito ripetere ossessivamente che era “l’uomo della Provvidenza” si è sentito tale. Ultimamente reagiva con dispetto e quasi con indignazione alle pur prudenti critiche che gli venivano avanzate da qualche ministro.

L’Italia non ha bisogno di nessun “uomo della Provvidenza”, tutte le esperienze in questo senso, se ci limitiamo alla contemporaneità, sono state fallimentari. Né vale rifarsi alla latinità con la figura del “dictator pro tempore” il cui più famoso esponente fu Quinto Fabio Massimo detto “il temporeggiatore”, che invece di affrontarle direttamente usurò con l’aiuto del tempo le truppe di Annibale. Perché oggi non è affatto il caso di “temporeggiare”, come  pare stia facendo il governo Draghi rimandando decisioni di mese in mese, ma di agire e subito. Altrimenti a logorarsi ulteriormente sarà solo la popolazione già usurata da due anni di stress, di stop and go, di indecisioni o, peggio, di decisioni immediatamente rimangiate.

Ciò di cui abbiamo bisogno è di tornare a un regime parlamentare democratico. E quindi ad elezioni il più presto possibile bypassando anche la snervante competizione per la Presidenza della Repubblica. Poi vinca il migliore o quantomeno colui che avrà il maggior consenso. E Draghi vada a fare il “nonno” a Città della Pieve, togliendoci d’attorno la sua ingombrante, inutile e, alla fine dannosa, presenza.

Il Fatto Quotidiano, 11 gennaio 2022