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“Sono un italiano, un italiano vero. Lasciatemi cantare con la chitarra in mano perché ne sono fiero” (L’italiano, Totò Cutugno)

Nel 2002, poco prima di morire, Giorgio Gaber cantava “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”, il disco sarà poi pubblicato postumo. Credo che oggi Gaber, che era di origine polacca, di cognome fa Gaberščik, direbbe “Io mi vergogno di essere italiano, ma purtroppo lo sono”.

Non si tratta del fatto che attualmente l’Italia è governata da una destra-destra-destra (perché non c’è nessun ‘centro’, Berlusconi, al di là delle apparenze, con il suo turbocapitalismo è il più a destra di tutti). La destra ha pari legittimità di governare della sinistra, ammesso che ci sia ancora una sinistra in questo Paese. A questo avanzo di sinistra mi permetterei di consigliare di smetterla col suo insopportabile ‘superiority complex’ che aveva forse un senso quando i leader si chiamavano Amendola, Ingrao, Longo, Secchia. Lascio fuori da questa lista Palmiro Togliatti, “il migliore”. Perché oltre che cinico fu uomo vilissimo. Si oppose in tutti i modi, naturalmente trasversali così da non apparire, a uno scambio di prigionieri fra l’Italia e l’Urss, scambio che comprendeva Antonio Gramsci, prigioniero nelle carceri fasciste dal 1926. Perché? Perché se Gramsci fosse tornato in libertà avrebbe ripreso il suo posto di segretario del Partito che nel frattempo era stato assunto da Togliatti. In un’altra occasione Vincenzo Bianco chiese a Togliatti di intervenire presso Stalin per rendere un po’ più umane le condizioni dei prigionieri dell’ARMIR rinchiusi nei lager sovietici (La spedizione dell’ARMIR fu una delle più sciagurate operazioni di Mussolini, perché i nostri soldati erano male equipaggiati per l’inverno russo, per il congelamento gli cadevano le mani e i genitali). Togliatti non osò affrontare Stalin. Allora lo fece lo stesso Bianco senza subire alcuna conseguenza, tanto che lo ritroviamo qualche anno dopo sul fronte jugoslavo. Dai “migliori” c’è sempre da aspettarsi il peggio.

Torniamo all’oggi. Ciò di cui intendo occuparmi qui non è la politica politicante, ma il livello cui si è ridotto il popolo italiano e che dà ragione alle parole di Gaber. L’Italia è un gigantesco “mondo di mezzo” che da Roma si è esteso all’intero Paese, dove è molto difficile distinguere se chi ti sta davanti è un corruttore, un corrotto o una persona per bene. Sono saltati alcuni valori che io chiamo “prepolitici, preideologici, prereligiosi”. Cominciamo con un settore decisivo che è quello dell’educazione. Quella dei docenti universitari è  una corporazione che utilizza metodi tipicamente mafiosi: io metto il tuo protetto lì e tu metti il mio protetto là. C’è voluto un docente inglese, Philip Laroma Jezzi, per smascherare questo marciume. È significativo ciò che in una telefonata un docente corrotto dice a Laroma: “Non fare l’inglese”, cioè non comportarti da persona onesta. A Firenze 22 docenti furono abbottegati per questo, ma altrove tutto continua come prima. E sono questi soggetti che dovrebbero educare i nostri ragazzi? Al massimo, oltre a dare il loro apporto culturale, in cui possono essere anche bravissimi, insegnano l’omertà.

Ma usciamo dall’ambiente universitario e prendiamo l’onestà. Negli anni del dopoguerra quando, tranne una sottile striscia di ricchissimi che però avevano il buonsenso e la prudenza di non ostentare il proprio benessere, eravamo tutti più o meno poveri, molto più poveri di quanto lo si sia oggi, gli anni insomma della mia adolescenza e della mia giovinezza, l’onestà era un valore per tutti. Per la borghesia, se non altro perché dava credito (oggi è il contrario, una persona onesta, in qualsiasi ambiente, è un intralcio perché non è ricattabile, Meloni docet), per il mondo contadino per il quale violare la stretta di mano voleva dire essere emarginati dalla comunità, per il mondo proletario, in genere comunista o socialista, che aveva dei valori forti che rispettava.

In Italia abbiamo quattro mafie sempre più forti e presenti sul territorio: la Mafia propriamente detta, la ‘Ndrangheta in fortissima ascesa e che si è espansa dalla Calabria al Nord, la Camorra napoletana e la Sacra Corona Unita nelle Puglie. Ma questo sarebbe, paradossalmente, il male minore. Perché invece di essere ‘liquide’ come il “mondo di mezzo” sono strutture organizzate che volendo potrebbero essere combattute (ci provano i magistrati ma sono impigliati in una serie di leggi fintogarantiste che assicurano l’impunità al colpevole e penalizzano l’innocente). Purtroppo la democrazia trasformatasi in partitocrazia, cioè in un sistema che usa a sua volta metodi mafiosi, è troppo debole e compromessa per combattere le varie mafie. Solo un potere forte può farlo. L’unico a combattere seriamente la Mafia fu Benito Mussolini perché un potere forte non può accettare che nel suo territorio ci sia un potere altrettanto forte (è il caso di Saddam Hussein che cacciò dall’Iraq Bin Laden che si rifugiò nel Sud Sudan per poi essere chiamato in Afghanistan dal nobile Massud e dare inizio a una tragedia che il nostro lettore, credo, conosce piuttosto bene).

Nel 1943 la Mafia siciliana era strettamente legata a quella americana cui aveva dato origine, l’avevamo esportata negli States. Se notate quasi tutti i cognomi dei maggiori caporioni mafiosi americani sono italiani, da Al Capone a John Gotti a Lucky Luciano ai fratelli Angiulo. E fu questa mafia italo-americana ad aprire le porte della Sicilia agli Alleati (facendo così diventare ridicola, come tante sue frasi ad effetto, l’affermazione di Mussolini: “Fermeremo gli americani sul bagnasciuga”). Naturalmente l’Italia dovette pagare un prezzo e tutti i nostri politici, non solo il troppo bistrattato Giulio Andreotti ma anche l’integerrimo Ugo La Malfa, che aveva come suo uomo in Sicilia Aristide Gunnella, dovettero avere rapporti collusori con la Mafia. Non è stato un buon modo di cominciare.

Poi ci sono stati altri fattori, sociali e culturali, soprattutto nell’ambito della comunicazione. Non parlo qui della prima tv del democristiano Ettore Bernabei che fu un’ottima tv, dirigista certamente ma che forniva nell’ambito culturale e dell’intrattenimento degli ottimi programmi. Poi venne il pluralismo e la spartizione cencelliana dei posti in Rai. Infine il berlusconismo ha fatto piazza pulita della cultura, dei valori e soprattutto dell’etica. La gazzarra cui assistiamo oggi in Rai ne è un ultimo esempio. Ecco la Rai potrebbe essere presa a paradigma dell’Italia e dell’italiano di oggi, insieme ai social dove dominano gli haters e la stupidità più becera.

Mi vergogno di essere italiano.

Il Fatto Quotidiano, 6 novembre 2022