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Secondo i media occidentali (che quando parlano dei Talebani non gli par vero di metterli in cattiva luce, mentre le cose positive vengono regolarmente ignorate: divieto, preso tra il 2000 e il 2001, della coltivazione del papavero da cui si ricava l’oppio, divieto dei combattimenti fra animali, divieto dell’uso delle mine antiuomo, argomento molto attuale) il ministro dell’istruzione del governo talebano avrebbe inibito alle donne l’ingresso nelle università, in più avrebbe sospeso le attività di alcune Ong straniere che lavorano anche con donne, Save the Children, Norwegian Refugee Council, Care Internazionale.
Questi recenti interventi del governo talebano mi lasciano perplesso. Anche quando governavano l’Afghanistan, dal 1996 al 2001, sotto la guida del Mullah Omar, l’istruzione, almeno in linea di principio, non era vietata alle donne. Si legge in un editto dell’epoca: “Nel caso che sia necessario che le donne escano di casa per scopi di istruzione, esigenze sociali o servizi sociali”. Dovevano però essere accompagnate da un familiare. Nella loro indubbia sessuofobia i Talebani pretendevano non solo che non ci fossero classi miste (come peraltro era quando a scuola andavo io) ma che studiassero in edifici separati e lontani. Questi edifici però non ebbero il tempo di costruirli perché impegnati in una logorante guerra da Massoud, uno dei “signori della guerra”, che non accettava di essere stato sconfitto dai giovanissimi “studenti di Dio” (talebano, in Dari, significa appunto “studente”). Avevano altre priorità, e li si può anche capire.
Mi sembra strano che i nuovi Talebani, che hanno frequentato gli occidentali durante l’occupazione, siano più integralisti del Mullah Omar. Bisognerebbe capire le ragioni e la durata di questi provvedimenti, ma ci vorrebbe un bravo inviato sul posto, i migliori sono attualmente impegnati in Ucraina.
I rapporti dei Talebani con le Ong non sono mai stati idilliaci. Molte Ong, non certamente Save the Children o Emergency o Medici senza frontiere che sono collaudate da tempo, hanno sfruttato il denaro che veniva dagli Stati Uniti o dall’Europa per fatti loro. Troppe Ong hanno fatto in Afghanistan “turismo estremo”.
Peraltro, per tornare alle donne, tutte quelle che sono state catturate in Afghanistan perché giornaliste o appunto membri di Ong sono sempre state trattate, per loro stessa ammissione, con correttezza e con particolare attenzione alle loro esigenze femminili. È la storica ospitalità afghana nei confronti dello straniero che, anche se prigioniero, diventa un “ospite”. Come sa il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo che fu prigioniero dei Talebani per una quindicina di giorni finché il Mullah Omar ordinò la sua liberazione in cambio di cinque talebani.
Del tutto grottesca è la notizia, data da SkyTG24, che le Ong sostengano in gran parte l’economia afghana. È ovvio che dopo vent’anni di guerra l’economia dell’Afghanistan sia a terra, ma a sostenerla non sono certo le Ong. Piuttosto, invece di piagnucolare sulla situazione afghana, le banche americane e inglesi dovrebbero restituire al governo afghano i 9 miliardi di dollari della Banca Nazionale afghana che hanno illegittimamente sequestrato e che, all’epoca di Ashraf Ghani, furono depositati nelle loro casse. È come se la nostra Banca Nazionale avesse, come si usa, parte dei suoi depositi all’estero e le banche che li detengono rifiutassero di restituirli all’Italia perché è cambiato il governo.
In vent’anni di guerra gli americani hanno speso 8000 miliardi di dollari per sostenere, a dir loro, l’Afghanistan. Dove sono finiti questi dollari? Per due terzi ad addestrare e rinforzare il governo ‘regolare’ prima guidato da Karzai, e in seguito, quando costui era diventato impresentabile, da Ghani. Quanto valesse questo addestramento lo abbiamo visto alla fine quando l’esercito regolare, davanti all’attacco talebano si è squagliato in pochi giorni. Era prevedibile. In una Kabul che in vent’anni era passata da un milione e 200.000 abitanti a cinque milioni e mezzo, l’unica possibilità di un ragazzo per avere un salario era arruolarsi. Il che è confermato dal fatto che tanti ne entravano e altrettanti ne uscivano appena trovavano un’occasione migliore. Insomma erano totalmente demotivati.
Dove è finito l’altro terzo? Non è andato alla popolazione afghana, ma ai rappresentanti delle istituzioni che se li sono intascati. Sono in gran parte costoro o i loro familiari che oggi fuggono dall’Afghanistan temendo rappresaglie, nonostante il governo talebano abbia immediatamente proclamato un’amnistia generale, esattamente come fece a suo tempo il Mullah Omar quando, sconfitti i “signori della guerra”, prese il potere nel 1996.
L’Italia ha speso in Afghanistan 7 miliardi di euro. Ho chiesto più volte, dalle colonne di questo giornale, al ministro della difesa Guerini, di dare un rendiconto preciso delle nostre spese, ma naturalmente non ho avuto risposte. Faccio la stessa domanda all’attuale ministro Crosetto. Comunque, a mia memoria, la prima cosa che abbiamo fatto in Afghanistan è stata costruire una chiesa, che non mi sembra una scelta particolarmente azzeccata in quel Paese.
Gli americani hanno minacciato rappresaglie per i recenti provvedimenti del governo afghano. Che cosa vogliono fare, invadere l’Afghanistan una seconda volta? Non sono bastati vent’anni di una occupazione materialmente e moralmente devastante, dove i morti civili, quasi tutti vittime dei bombardieri USA, sono stati, a seconda delle stime, dai 340 ai 500.000.
Quello che ci si rifiuta di capire in Occidente è che se i Talebani hanno vinto la partita nonostante avessero  contro il più numeroso e potente esercito del mondo, dotato di armamenti sofisticatissimi, mentre i talebani avevano solo kalashnikov e mitra (nemmeno i missili terra-aria Stinger che, forniti dagli Usa, erano stati decisivi per rimandare a casa l’Unione Sovietica) è perché avevano dalla loro parte la stragrande maggioranza della popolazione, donne comprese. Non si fa una resistenza di vent’anni se non c’è questa condizione.
Questo dovrebbe servire di memento anche a Zelensky che chiede “armi, armi e ancora armi” mentre i russi sono stati battuti dagli afghani quasi a mani nude. L’Afghanistan è chiamato “la tomba degli Imperi”. Nell’Ottocento ci misero trent’anni per cacciare gli inglesi, nella seconda metà del Novecento dieci anni (1979-1989) per cacciare i sovietici e, infine, ci hanno messo vent’anni per costringere l’esercito più numeroso mai schierato in tempi recenti a una fuga vergognosa.
Infine si vuol capire o no che esiste un diritto, sottoscritto nel 1975 ad Helsinki da quasi tutti gli Stati del mondo, “all’autodeterminazione dei popoli” che possono evoluire, o anche non evoluire, secondo la loro storia, le loro tradizioni, i loro costumi. Non ci piacciono? Facciamocene una ragione. Invece di voler piegare a noi stessi l’universo mondo.

Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2022

"Il solo senso è la sua mancanza" (m.f.)