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Secondo dati Onu i morti civili ucraini in un anno e mezzo di guerra, pardon “operazione militare speciale”, sono stati 7710. Naturalmente per Putin non si tratta di guerra ma di una “operazione militare speciale” seguendo con ciò il consumato e scostumato leitmotiv dell’Occidente che si rifiuta di chiamare guerre le nostre aggressioni, ma le camuffa come “operazione di peacekeeping” (cioè noi facciamo la guerra e la chiamiamo pace) o “operazioni di polizia internazionale” o altro ancora.

Nell’aggressione militare americana alla Serbia, ma circoscritta di fatto a Belgrado, i morti sono stati cinquemila cinquecento (fra cui cinquecento erano quegli albanesi che noi pretendevamo di salvare) in soli 72 giorni di bombardamenti. Nella guerra all’Iraq, iniziata nel 2003, una folta coalizione occidentale provocò, secondo un’autorevole rivista medica britannica, e quindi insospettabile, dai 650 ai 750 mila vittime civili, spalmate, mi si perdoni il termine, su tre anni.

Nella prima fase della Seconda guerra mondiale i bombardieri inglesi, Lancaster, presero di mira Milano sganciando bombe e micidiali “spezzoni incendiari”. Nel documentatissimo libro I giorni della libertà, Alessandro Milan, che certamente non può essere considerato un filofascista, scrive: “Gli inglesi non vogliono colpire le fabbriche e le caserme, vogliono annientare la popolazione, per questo mirano alle case, alle strade, alle persone”. Il 14 febbraio del 1943 i bombardieri inglesi lasciano sul terreno duecento case completamente distrutte, cinquemila edifici lesionati e centottantasette morti, ma è solo uno dei tanti episodi analoghi. Il 19 luglio del 1943 gli americani scaricano su Roma oltre quattromila ordigni provocando quattromila morti e undicimila feriti. Ma si sa che in queste faccende gli americani riescono ad essere ancora più efferati degli inglesi. Negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale bombardarono Dresda, Lipsia, Stoccarda  senza avere ormai più obiettivi militari ma, per ammissione dei loro stessi comandi politici militari, “per fiaccare la resistenza del popolo tedesco”.

Non pensi il lettore che io non ho rispetto per gli ucraini, combattenti e no, per il loro coraggio, per le loro sofferenze e ovviamente per le loro vittime. Facendo questi raffronti il mio obiettivo è un altro: non credo che si possa accusare Putin, come fa ogni giorno lo scalmanato Zelensky, di avere come obiettivi gli ospedali, gli edifici, i civili. Altrimenti in questa macabra conta, come ci dicono i nostri raffronti, i civili morti sarebbero stati infinitamente di più. I russi mirano alle infrastrutture come è lecito in guerra.

Intanto Vladimir Zelensky, dopo l’appoggio unanime che ha avuto agli inizi della “operazione militare speciale”, sta perdendo consensi a causa della sua ostinazione a non voler trattare in alcun modo con i russi, una cocciutaggine che lo ha portato ad emanare un decreto che vieta qualsiasi trattativa, un narcisismo che ricade sulla testa della sua stessa popolazione ma gli permette di essere costantemente al centro della scena. Secondo un’analisi del Pew Research, in Italia il 61% dei cittadini non ha fiducia in Zelensky. In Francia siamo a match pari: la metà si fida di Zelensky, l’altra no. Ma dubbi vengono sollevati anche dagli Stati Uniti soprattutto da parte dei conservatori. Se Donald Trump dovesse vincere le prossime presidenziali si può giocare che la guerra finirà in pochi mesi. The Donald nasce come imprenditore e ragiona anche da imprenditore, perciò come ha ritirato i contingenti americani dall’Afghanistan ritenendo inutile aver speso più di mille miliardi per “una guerra che non si poteva vincere” come era opinione dello stesso Pentagono, così seguirebbe il saggio consiglio che Silvio Berlusconi diede a Biden, e che Biden non ha seguito: promettere a Zelensky una sorta di piano Marshall per la ricostruzione dell’Ucraina ma imporgli di trattare, pena la perdita dell'aiuto militare ed economico per un’altra guerra che come ha affermato ripetutamente il Capo di Stato Maggiore Mark Milley, non si può vincere (“nessuno può vincere la guerra”).

Si dice da più parti che la vicenda ucraina ci impressiona particolarmente perché è la prima guerra che coinvolge gli stati europei dopo l’ultimo conflitto mondiale. È una verità parziale o per meglio dire una mezza menzogna. È la prima guerra che si combatte fra due stati europei ma non è la prima guerra in Europa, nel 1999 gli americani aggredirono la Serbia che, se non mi sbaglio, sta in Europa. La differenza sta che in quel caso gli aggressori non erano europei.

L’altra notte Sky Tg24 ha dato per intero la conferenza stampa di Giorgia Meloni dopo l’incontro con Biden. Un’ora di trasmissione. A memoria d’uomo, o quantomeno a mia memoria, nessun premier italiano ha avuto dai network una eguale esposizione. Lasciamo perdere le domande dei cronisti, italiani e non, che erano puro leccaculismo, ma restiamo a Meloni. La Giorgia nazionale ha il pallino del rispetto del diritto internazionale. Ma possibile che nessuno le abbia fatto notare, e le faccia notare, che il cosiddetto Occidente, e quindi non solo la Russia, ha violato il diritto internazionale nel 1999 con l’aggressione alla Serbia, nel 2003 con quella all’Iraq, nel 2006/2007 con l’aggressione alla Somalia per interposta Etiopia, nel 2011 con l’aggressione alla Libia. Tutte operazioni cui l’Onu, che dovrebbe essere il custode di questo supposto diritto internazionale, era contraria. Aggressione, quella alla Libia, condotta dai francesi, dagli americani e purtroppo anche dagli italiani (premier era Berlusconi) oltretutto contro i nostri stessi interessi, cara italianissima Meloni, perché con la Libia di Muammar Gheddafi noi avevamo ottimi rapporti. Adesso i francesi ci hanno soffiato il posto, anche se in una Libia ridotta com’è ridotta nessuno può essere sicuro di nulla.

E’ la solita storia dei “due pesi e due misure”. Quando gli aggressori sono gli altri vengono bollati come “terroristi” e, nel caso della Russia, il loro leader è deferito al fantomatico Tribunale internazionale dell’Aja per “crimini di guerra”, noi occidentali siamo sempre e solo “anime belle” che fanno la guerra chiamandola pace. Non ci si può sorprendere, anche se la cosa forse non la percepiamo, che tutto il mondo non occidentale ci odi o, quantomeno, sia in una posizione (oggi si dice “postura”) di indifferenza.

Il Fatto Quotidiano, 1 agosto 2023