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Mi scrive il lettore Maurizio Minghi: “chiedo cortesemente a Fini che spieghi cosa c'è di imbarazzante nelle lettere di Moro spedite dal carcere delle Br. Inoltre in che modo, secondo lui, queste avrebbero rovinato la sua, eccelsa secondo me, figura”.

Perché in quelle lettere Aldo Moro, pur di salvare la pelle, rinnega le leggi, le Istituzioni, il proprio partito (la Democrazia Cristiana) cui per anni aveva chiesto agli italiani di credere. Esiste un diritto alla paura, ma allora non si può pretendere di guidare un popolo di più di cinquanta milioni di abitanti. Alzando di molto il livello, è un discorso che vale anche per Benito Mussolini che incitò ed eccitò i ragazzi che andavano a morire per Salò e alla fine cerca di fuggire travestito da soldato tedesco. Più coerenti sono stati Hitler, Goebbels, Himmler e quasi tutta la classe dirigente nazista che si tolse la vita. Commisero efferatezze ripugnanti ma alla fine bisogna almeno essere all'altezza delle proprie cattive azioni. Ma quelli, si sa, nazisti o no, sono tedeschi, nel male e nel bene. Aggiungo che con quell’alleato non bisognava allearsi ma pugnalarlo alle spalle in una lotta per la vita e per la morte passando dalla parte dei vincitori mi è sempre sembrata una pagina disonorevole per il popolo italiano, scontando naturalmente la lotta partigiana che però fu alle origini dell’equivoco per il quale, secondo la retorica abituale, siamo stati noi italiani a rivendicarci in libertà con le nostre mani, mentre furono gli Alleati. C’è mancato poco che si volesse fare dell’8 settembre una Festa nazionale, come il 25 aprile giorno in cui l’insurrezione partigiana ebbe un ruolo decisivo. L’8 settembre fu, per il Re, per Badoglio e per l’Italia la giornata della vergogna. Quell’equivoco non fu innocente né privo di conseguenze, perché è a quell’equivoco che si richiamarono le Brigate Rosse che, almeno nella prima parte della loro storia, furono rispettabili anche se cavalcavano un’ideologia, il marxismo leninismo, che sarebbe morta definitivamente una ventina di anni dopo col collasso dell’Unione Sovietica.

Ma, ritornando al punto posto dal lettore Maurizio Minghi, se si vanno a leggere le lettere dei condannati a morte della Resistenza o anche dei giovani di Salò, ragazzi di poco più di vent'anni, vi si trova una dignità che certamente non c'è nelle lettere dal carcere delle Br del sessantaduenne Aldo Moro. Quelle lettere erano talmente imbarazzanti che l’integerrimo Ugo la Malfa disse: "se dovessi essere rapito attribuite le mie lettere alla tortura".

Il Fatto Quotidiano, 14 agosto 2023