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La voce. E’ una delle caratteristiche fondamentali non solo dell’essere umano ma anche di quello animale. Eppure pur consultando tutte le Treccani possibili e immaginabili  non sono riuscito a cavar altro che la voce non è un organo dei sensi (come l’udito, la vista, l’olfatto, il tatto, il gusto) ma ne è una funzione. Li utilizza, i sensi, a suo uso e consumo. Nella voce è essenziale il timbro. Facciamo un esempio semplice semplice: le canzoni di Adriano Celentano o di Gino Paoli possono essere più o meno gradevoli ma si caratterizzano per il timbro dei due cantanti, un politico con la voce stridula, per quanto abile e competente, è spacciato. Già, il timbro. E’ il timbro, con quella sua erre moscia alla francese, che dà due linee di superiorità sulle sue colleghe a Chiara Martinoli, telegiornalista di Sky, che legge benissimo, come le altre e forse meglio delle altre, la difficile prima pagina, ma uno è talmente attratto dalla sua voce che dà poca importanza a quel che dice anche se lo dice benissimo. Forse è anche per questo che viene utilizzata pochissimo, per lo più in programmi su temi tecnologici che farebbero cadere la mascella, per la noia, anche a un fanatico di algoritmi.

Nel modo di comunicare attuale noi possiamo parlare con persone lontanissime, avere interlocuzioni intellettuali interessanti  ma non abbiamo il tono di chi ci risponde che può cambiare il senso di tutta l’interlocuzione.

La voce, attraverso marchingegni tecnici, può essere trasportata, mentre non puoi trasportare un ginocchio. Tu puoi ascoltare brani di cantanti morti da tempo, ma la loro voce è lì, viva. E’ in un certo senso immortale. Noi moriamo, muore la nostra vista, muore il nostro udito, muore il nostro gusto, muore il nostro olfatto, muoiono le nostre fragili ossa sepolte in qualche cimitero dove perdono qualsiasi senso, ma la nostra voce è ancora lì, viva, viva come ai tempi in cui la utilizzammo. Se ascoltiamo poniamo una canzone di Elvis Presley, fame and fortune per fare un esempio, Elvis è morto e stramorto da tempo ma la sua voce è la stessa di sempre. Per questo Platone preferiva il dialogo socratico allo scritto. Lo scritto è per definizione immobile. Ma nemmeno il dialogo può restituire la voce di Socrate mentre catechizzava i suoi adepti. Lo scritto dialogante o no, resta immobile.

E’ inquietante la voce. Perché riporta nel mondo dei vivi la voce dei morti.

Il Fatto Quotidiano, 22 agosto 2023