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Finalmente. Finalmente una notizia. Io credo che l’omicidio di Prigožin e del suo secondo Dmitry Utkin sia stato organizzato, oltre che da Putin, dalla lobby degli inviati internazionali in Ucraina e dagli esperti al loro seguito o sparsi in varie parti del mondo. Perché stufi di dover parlare del nulla, di una conquista di quattro pollai come segno dell’inizio della strombazzatissima “controffensiva di primavera” (per la verità siamo già alla fine di agosto), come stufi dovevano essere gli stessi esperti o analisti o come voglia si chiamino, che pur sono allenatissimi a parlare del nulla, ma il nulla sia pur frullato in tutte le salse dà alla fine lo stesso risultato: nulla.

Adesso sull’assassinio di Prigožin questi analisti potranno finalmente esercitarsi offrendo le più varie e straordinarie ipotesi. Una cosa però a me sembra chiara. È la fine della leggenda che i mercenari della Wagner, certamente ancora molto forti in Russia e in Bielorussia, fossero la longa manus della Russia per mettere piede in Africa, in Niger, nella Repubblica del Congo, in Mali e altrove. I mercenari della Wagner, come consistenza e numero (parliamo sempre dell’Africa) sono poco più di un gruppo di guardie del corpo a difesa di questo o di quel dittatorello che in genere siamo stati noi occidentali a portare sulla scena.

Comunque che la Russia nella guerra all’Ucraina abbia avuto bisogno di mercenari non è un buon segno per l’Impero sognato da Putin. I mercenari emergono quando i soldati di un paese non hanno più nessuna voglia di rischiare la pelle. Non sono solo i russi a fare uso dei mercenari, lo fanno anche gli americani chiamandoli ‘contractors’. Ma gli americani sono stati abbastanza intelligenti a mettere delle barriere, cioè a non permettere a questi mercenari di avere una voce in capitolo sia negli States che in politica internazionale. Gli americani cercarono di usare i contractors anche nel 2001 quando invasero l’Afghanistan. C’è una famosa foto dove li si vede scendere da un aereo militare yankee, col cappello a tesa, la giacca e la cravatta. Mancava che avessero scritto in fronte ‘Cia’. I Talebani li sgamarono subito, non che ci volesse un intuito particolare, e la coalizione internazionale fu costretta a ricorrere ai soldati regolari.

Comunque non è un buon segno quando un popolo è costretto a rivolgersi a dei mercenari perché la sua gente non ha più alcuna voglia di combattere e rischiare la pelle. L’Impero romano, la più grande potenza del mondo di allora, almeno in occidente, collassò quando i suoi cittadini (allora non si chiamavano ancora così, citoyen è un termine entrato in uso con la Rivoluzione francese per distinguere i borghesi dal volgo, dai ‘villani’, cioè gli abitanti del villaggio) cominciarono a rifiutare il mestiere delle armi, affidando la loro difesa ai barbari, cioè ai mercenari di allora. Risultato: i barbari presero il potere, spostarono la capitale da Roma, ridotta a 13mila abitanti dai lanzichenecchi, a Pavia. Poi nel corso dei secoli, Roma e l’Italia, pur profondamente cambiate rispetto alle loro origini, ripresero il loro posto nel mondo. Quel posto che Mussolini cercò di ridargli, utilizzando tutta la mistica dell’antica Roma, i labari, il littorio eccetera, ma intanto altre potenze si erano affacciate all’onor del mondo: gli Stati Uniti, la Germania, il Giappone e naturalmente gli inglesi che non erano più quelli del vallo di Adriano.

Comunque, devo ammetterlo, ho avuto una certa simpatia per Prigožin. In questa guerra di droni, di sottodroni, i droni acquatici, i droni subacquei guidati a migliaia di chilometri di distanza, insomma in gran misura meccanizzata dove l’umano compare ma solo come vittima, Prigožin mi è sembrato almeno un uomo in carne ed ossa.

 Il Fatto Quotidiano, 25.08.2023