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L 'inchiesta sull'assassinio del giovane missino Sergio Ramelli ha rinfocolato le polemiche, mai sopite, sul '68 e sul suo significato. C'è chi, oggi, lo vede solo come un movimento di spranghe e di violenza e chi lo difende a spada tratta. Democrazia proletaria, che ha alcuni arrestati fra i suoi dirigenti (ma quand'essi militavano in Avanguardia operaia, Dp, infatti nasce in anni successivi a questi avvenimenti), ha organizzato, nelle scorse settimane, a Milano, un Convegno in cui si è cercato di rimettere a fuoco, da sinistra e quindi con tutte le parzialità del caso, quegli anni lontani. A Mario Capanna, segretario di Democrazia proletaria e, in quegli anni, leader carismatico del Movimento studentesco, abbiamo chiesto di accettare un dialogo, su quel movimento, che se non ha fatto la storia d'Italia ne ha però certamente riempito la cronaca. Caro Capanna, al Convegno di Milano, per collocare l'omicidio di Ramelli nel contesto in cui avvenne, hai fatto un quadro a tinte fosche di quegli anni, hai parlato delle stragi di Stato, della polizia che proteggeva i fascisti, di pericoli di svolta reazionaria. Secondo me è un quadro un po' carico ma, anche ammesso che fosse proprio così, la domanda è: in quel contesto, uccidere un fascista era reato o no?  «Che cavolo di domanda è questa? Non c'è dubbio che sì. Ma l'autocritica che nel Convegno del 12 ottobre si è fatta sull'agguato mortale del neofascista Ramelli è stata più radicale: abbiamo affermato non solo che quell'azione era sbagliata sul piano umano e politico, ma che era da considerarsi sbagliata anche se quel ragazzo non fosse morto. Mi pare che un'autocritica più radicale di questa non si possa fare». Ma quello che tu chiami un errore umano e politico è anche un delitto giudiziario: si deve perseguire oggi penalmente o no? «Innanzitutto, in base all'articolo 27 della Costituzione, ogni cittadino è da considerarsi innocente fino a dimostrazione definitiva di colpevolezza. Ciò è in contrasto con quello che ha fatto il giudice che, appena 24 ore dopo gli arresti, in una conferenza stampa, violando platealmente il segreto istruttorio, ha parlato di colpevolezza. In secondo luogo, l'episodio Ramelli va inquadrato appunto in quel contesto e quindi occorre che si arrivi a una sentenza giusta, che tenga conto cioè delle motivazioni sociali e politiche che derivavano dalle profonde tensioni esistenti in quel momento. Però la nostra critica non va tanto all'inchiesta, ma alla vergognosa strumentalizzazione che ne è stata fatta sul piano culturale, propagandistico e politico. Questa vicenda è stata utilizzata per dire che quello che va dal '68 fino alla fine degli anni '70 è stato un periodo non creativo, non positivo, non di grandi innovazioni, ma è stato solo un turbinio di spranghe, è stata una corrente di violenza che ha portato dritto al terrorismo. E questo è falso». Che il '68 non sia stato solo una questione di spranghe lo credo anch'io. Ma non ti pare, Capanna, che alle forti componenti libertarie e antiautoritarie con cui era nato si siano sostituiti molto presto un nuovo conformismo e autoritarismo? «No. Però dentro questo non c'è un elemento importante della tua domanda cui voglio rispondere. lo vedo le cose così. E' verissimo che il '68 nacque come grande movimento creativo, libertario, antiautoritario e ha mantenuto, secondo me, questa caratteristica per lungo tempo, nella battaglia dentro l'università e le scuole, proprio combattendo l'autoritarismo degli schemi meschini, obsoleti, risibili dei metodi d'insegnamento, la vuotezza dei contenuti eccetera. A un certo punto questo movimento, e non perché lo scelse lui, si trovò contro la ferocia del potere. Non scordiamoci: sboccia il '68 in Italia, con l'ampiezza, la profondità, la creatività che ha avuto, a esso segue la grande stagione della riscossa operaia, l' Autunno caldo del '69. La risposta del potere qual è? E' la bomba di piazza Fontana, cioè la risposta terroristico-sanguinaria dello Stato, perché quella fu una strage di Stato come poi si è riusciti incontrovertibilmente a dimostrare. Quindi da quel momento, da una parte comincia la politica della strage, dall'altra la politica dello stillicidio omicida perpetrato alternativamente dalle forze di polizia e dai fascisti (perché poi qui si dimentica che, in quel periodo, ci sono stati sette assassinii di lavoratori e studenti, solo a Milano, tutti rimasti impuniti). A quel punto, il Movimento studentesco si dovette porre un quesito molto semplice: come conteniamo quest' urto che mira, non solo a distruggerci, ma a ricacciare indietro tutto il Paese? Rispose con l'antifascismo militante che fu, anch'esso, un atto creativo, di massa». «Ricordo un articolo dell' Avanti! contro il ministro degli Interni» Benissimo. Ma che cosa c'entra l'antifascismo militante col fatto, per esempio, che sotto la Statale si gridasse « Viva Stalin, viva Beria, viva la Gpu» ? «Questo era l'aspetto, diciamo così, non creativo. Su questo, lo sai, siamo perfettamente d'accordo e lo fummo anche allora. Però consentimi una valutazione mia, personale: io penso che il bagaglio dei pesi negativi, degli errori, delle cose sbagliate del '68 non è assolutamente tale da offuscare il positivo del '68 che, secondo me, prevale largamente». Ma mi vuoi spiegare, Capanna, perché, proprio davanti alla Statale, dove tu eri il leader, furono sprangati un ragazzo di Lotta comunista, un sindacalista della Uil, Giuseppe Conti, uno studente israeliano? E cito i primi casi che mi vengono in mente. Era anche quello antifascismo militante? «Evidentemente non lo era». Tu eri d'accordo con quelle aggressioni? «No. Ma cerchiamo di vedere la foresta e non l'albero. Cosa voglio dire? Merito dei servizi d'ordine è stato quello, per esempio, di aver ripulito piazza San Babila a Milano». Non toccava a voi ripulire alcunché, caso mai alla polizia... «La polizia e i governi democristiani stavano a guardare o addirittura proteggevano attivamente i fascisti. Un secondo merito è stato quello di aver garantito il rispetto di basilari diritti costituzionali, per esempio la libertà di associazione e di manifestazione. Io ricordo un trafiletto dell' Avanti! , del '72, dove si prendevano in giro, giustamente, il questore e il ministero degli Interni, perché, regolarmente, proibivano i nostri cortei e i nostri cortei invece, regolarmente, si facevano. Perché? Non perché eravamo Rambo, ma perché gli studenti, i lavoratori, in qualche modo, fronteggiavano le forze dell'ordine e permettevano che il corteo si svolgesse rispettando, appunto, un basilare diritto costituzionale. I servizi d'ordine, l'antifascismo militante sono stati queste cose positive, dentro le quali, come sempre succede quando si è in presenza di grandi movimenti di massa, ci sono errori e degenerazioni e abbiamo visto quali». Ma tu che eri il leader riconosciuto e incontrastato perché non denunciasti queste degenerazioni, ma le avallasti? «Senti, di fronte a un avversario omicida ogni volta che poteva, e parlo della polizia e di chi la dirigeva, fedifrago, cioè abituato a garantirti il rispetto delle leggi per poi calpestarle sistematicamente un attimo dopo di fronte a ministri degli Interni che più di una volta, lo posso documentare, mentirono in Parlamento a proposito degli studenti assassinati dalla polizia e dai fascisti, il dovere di un dirigente politico di un movimento è questo: non dice nulla ad avversari così miserabili. Quali che fossero i dissensi che io o altri dirigenti avessimo potuto avere rispetto a certe cose, di fronte a quella disonestà, di fronte a quelle manovre non era possibile altra alternativa che il silenzio del disprezzo. lo fui arrestato per falsa testimonianza dal giudice Marini, quello del caso Agca, perché voleva sapere una serie di particolari, per lui decisivi, su avvenimenti di quel tipo. Bene, io sapevo esattamente le cose che lui voleva, ma non gliele dissi. E rivendico, con orgoglio, questo comportamento. Andai fiero in prigione». «Anche Berlinguer mandava i figli a studiare in America» Ritorniamo a Ramelli e alle molte aggressioni ai «fascisti» che ci furono in quegli anni, anche se non tutte, per fortuna, finirono così tragicamente. E parliamone da un punto di vista politico. Non ti pare che, a furia di dare la caccia agli «untorelli fascisti», voi abbiate finito per fornire un comodo «capro espiatorio» alla classe dirigente, alla borghesia, ai democristiani? E infatti in quel periodo, vedi un po', erano diventati tutti antifascisti. «C'è del vero. lo ricordo una dichiarazione dell'allora ministro degli Interni, Taviani, che nel '75 se ne uscì con una sortita apparentemente clamorosa, disse infatti: “Gli opposti estremismi non ci sono” quando invece per anni, a partire dal rapportone Mazza, si era fatta tutta la filosofia degli opposti estremismi. Perché fece questo? Perché, dopo la batosta democristiana del '74, con Fanfani e il divorzio, la Dc tentava di riprendere in mano la trasformazione moderata della società. Sì, da un certo punto in poi, noi colpimmo i fascisti quando ormai la battaglia antifascista era vinta e non capimmo che era necessario spostare la lotta sul terreno più complesso, più difficile, della nuova offensiva democristiana e delle forze moderate». C'è un'altra cosa. A me sembra che la classe dirigente di questo Paese, spaventata dal '68, non gli seppe dire né i no né i sì che gli andavano detti, ma si limitò a prender tempo, a lasciare che sbollisse da solo. Così anche quelle istanze positive che nel '68 erano contenute non hanno potuto realizzarsi. Prendiamo il diritto allo studio della cui conquista vi vantate. Che cosa diventa il diritto allo studio quando poi non c'è lo sbocco nel lavoro, quando la scuola non conta più niente e tutta la borghesia, compreso Berlinguer , manda i figli a studiare nelle scuole americane, creando una nuova discriminazione, peggiore della prima? «Non andare avanti. Sono pienamente  d'accordo. Quando la classe dirigente capisce che non può fermare il movimento cosa fa? Finge di andargli incontro. Dice, ma sì liberalizziamo l'accesso all'università, snelliamo i meccanismi di selezione interna e poi mette uno sbarramento dopo. Laureatevi in quanti volete, dopo di che, sono cavoli vostri. E esattamente quanto è avvenuto. Ma questo dice il coefficente altissimo di irresponsabilità del ceto dirigente di questo Paese». Torniamo al Convegno, tu hai proposto un'amnistia... «Democrazia proletaria propone non da oggi, ma da almeno tre anni, cioè molto prima che ci fosse l'inchiesta sul caso Ramelli, due cose: un'amnistia-indulto almeno per i reati minori commessi durante il periodo delle lotte studentesche e una nuova legge sulla dissociazione che abbia efficacia giuridica sulla posizione di chi si dissocia senza però che debba diventare delatore come invece chiede la legislazione d'emergenza, una legge che faccia cioè piazza pulita delle aberrazioni giuridiche introdotte dalle leggi di emergenza». Cosa significa almeno per i reati minori? Che poi ne chiederete una per quelli maggiori, di sangue? «Almeno significa: sicuramente per i reati minori, dopo di che, sul piano politico, vediamo fino a che livello questa amnistia può valere per i reati superiori. Anche perché, dico, sulle tensioni derivanti dalle lotte di massa del periodo '68-'76 il ceto politico non ha proprio nulla da rimproverarsi? Io non ho sentito nessuna autocritica da parte dei Rumor, dei Fanfani presidenti del Consiglio in quegli anni, nessuna autocritica abbiamo sentito sugli omissis con cui hanno coperto le responsabilità delle stragi di piazza Fontana, di Brescia e dell'ltalicus». Ma non si può rispondere a degli omissis, con degli altri omissis sugli assassinii. «Non sono omissis perché l'amnistia non toglie il reato, toglie la pena». Sai la soddisfazione. Ma anche per quello che riguarda la proposta sulla dissociazione io non credo che alle aberrazioni della legislazione d'emergenza, dovute alla violenta intrusione di realpolitik sui principi del nostro diritto, si possa ovviare con un altro atto politico che introduce categorie giuridiche altrettanto aberranti come quella dei dissociati. «Non sono d'accordo. A un errore politico si può rimediare solo con un atto politico. Ma facciamo un dialogo di natura quasi socratica. Concediamo, per ipotesi, che tu abbia ragione e io torto. Che si fa allora? La nostra è una proposta molto chiara e articolata. Se viene ritenuta insoddisfacente, non giusta, siamo apertissimi a discuterne un'altra, migliore. Ma sempre partendo dal punto cardine che ci vuole una soluzione, politica, per uscire dalla legislazione d'emergenza».