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Dopo aver riunito in via dell'Umiltà (mai nome è stato così poco appropriato) lo stato maggiore del Polo, Silvio Berlusconi ha detto l' ennesimo no a qualsiasi proposta di legge antitrust. «Bisogna andare al referendum e lasciare il giudizio al popolo» ha affermato. Ma il referendum, qualunque ne sia l' esito, non farà che peggiorare la situazione. È  vero infatti che se vincono i sì verrebbero tolte due Reti alla Fininvest ma la Rai rimarrebbe intoccata, si passerebbe quindi da una situazione di duopolio ad una di semimonopolio o di monopolio tout court perché in breve tempo la Tv pubblica, messa in una posizione di totale predominio, si mangerebbe anche l'unica Rete Fininvest rimasta. I dirigenti Fininvest hanno sempre sostenuto, non senza ragione, che la loro azIenda ha dovuto assumere le dimensioni che ha assunto perché altrimenti sarebbe stata strangolata dalla Rai. Ma se vincessero i no verrebbe definitivamente sancita l' attuale situazione di duopolio che, oltre ad essere anomala ed iniqua in se, impedisce, o rende estremamente difficile, la discesa nel mercato dell'informazione televisiva di altri soggetti competitivi e proprio per le ragioni addotte dai dirigenti Fininvest per giustificare le abnormi dimensioni della loro azienda. Quindi il referendum sarebbe, comunque, la peggiore delle soluzioni. E qui si dimostra ancora una volta che affidare ad un secco aut aut del “popolo” (parola divenuta taumaturgica di cui oggi si fa largo uso e abuso soprattutto da parte di personaggi che son vent'anni che non mettono piede in un bar o in un cinema) questioni così delicate, intricate e complesse è pura follia demagogica. È  successo anche col referendum sul maggioritario che, avendo introdotto un formidabile cambiamento nel nostro sistema senza il contemporaneo adeguamento di altre leggi anche costituzionali, non ha risolto nessuno dei problemi che era chiamato a risolvere, a cominciare da quello della stabilità dei governi, e in compenso ha aggravato tutti gli altri, Credo di essere stato uno dei primi a scrivere, un paio di anni fa sull' Europeo, e quindi ben prima che Berlusconi facesse la sua famosa “discesa in campo”, che l'anomala ed illiberale situazione nel settore delle telecomunicazioni si poteva risolvere solo con un «disarmo bilaterale, graduale, bilanciato e contestuale» di Rai e Fininvest. Ma allora eravamo in pochissimi a sostenere questa tesi. Perché ai partiti di regime (Dc, Psi, Pci-Pds) e ai loro intellettuali reggicoda la situazione esistente andava benissimo: avendo da anni occupato abusivamente la Tv pubblica non avevano nessun interesse a dare una qualsiasi regolamentazione al sistema. Ed è proprio questo che dà oggi a Berlusconi un formidabile argomento polemico. Ma a noi (e speriamo anche alla maggioranza dei cittadini) queste beghe fra bande contrapposte non interessano nulla. Abbiamo il diritto di pretendere un assetto democratico dell'informazione, televisiva e stampata. Perché sono in gioco questioni fondamentali e non solo politiche ma anche culturali. Se infatti Berlusconi ha vinto le elezioni del 27 marzo non è perché in quel momento possedeva tre Reti Tv (perfino Occhetto, in quel momento, ne controllava altrettante) ma perché erano dieci anni che l'intero palinsesto Fininvest, dall' intrattenimento alla fiction all' informazione allo sport, stava educando gli italiani alla sua cultura, cioè all'americanismo, cioè a lui stesso. Se si vuole salvaguardare non solo la democrazia di questo Paese ma anche la sua identità nazionale (cosa che dovrebbe premere anche a Gianfranco Fini e ai suoi, o no?) bisogna abbattere al più presto l'oligopolio televisivo e non c'è questione di elezioni, di pensioni, di disoccupazione che sia più importante di questa. Ma se Silvio Berlusconi vincerà le prossime elezioni politiche l'antitrust non si farà mai. Perché non lo vuole a nessun costo. Quale sia per Berlusconi la soluzione di questo nodo cruciale l'ha detto a chiare lettere in quella riunione in via dell'Umiltà: «creare due grandi poli, la Rai e la Fininvest, ad azionariato popolare». Come se non si sapesse che una società per azioni può essere controllata avendone il cinque per cento. Sempre nella riunione di via dell' Anima (nome ancor meno appropriato), pardon di via dell'Umiltà, Berlusconi ha rivelato di «aver regalato due spazi in Tv all'amico Buttiglione», naturalmente, come ha spiegato lui stesso, a fini di ricatto politico ( «in Parlamento devono votare come il Polo» ). Oh bella, il Cavaliere non si era sgolato a dire che lui con la gestione della Fininvest non c'entrava più nulla, che faceva tutto Confalonieri? Ma si sa, tutti quelli che conoscono bene Berlusconi, e quindi a principiare dai suoi amici, dicono che è un bugiardo matricolato e impunito. E, questo lo diciamo noi, un maestro della presa in giro. Quando la legge Mammì legittimò lo strapotere televisivo del Cavaliere dovette, per un residuo di pudore, stabilire che chi aveva tre network non poteva possedere anche dei giornali quotidiani. Berlusconi ne aveva uno: Il Giornale. E cosa fece? Lo cedette al fratello Paolo. A chi gioca in questo modo bisogna rispondere in modo adeguato. Berlusconi ha finora ricattato gli avversari politici gridando che qualsiasi governo non fosse di suo gradimento e sotto il suo pieno e totale controllo era il “governo del ribaltone”. E allora lo si faccia davvero il “governo del ribaltone” che poi non sarebbe altro che un governo e basta perché finche resta in vigore questa Costituzione le maggioranze si formano in Parlamento e sul Parlamento fondano la propria legittimità e non sui sondaggi del signor Pilo. Si faccia finalmente, se se ne hanno i numeri, un governo politico e si lasci Berlusconi a rosolare per quattro anni sulla graticola della sua prepotenza e della sua arroganza.