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Un bel manipolo di ex sessantottini (Paolo Liguori, Giampiero Mughini, Renato Farina, Giuliano Zincone, Giulio Savelli, Marco Boato ed altri) è sceso in campo a difesa di Adriano Sofri, condannato in primo e secondo grado, insieme a Pietrostefani, come mandante dell'omicidio Calabresi, il quale sta facendo un suo sciopero della fame contro lo spostamento del definitivo giudizio della Cassazione dalla prima sezione, quella presieduta dall' “ammazzasentenze” Corrado Carnevale, alla sesta. Credo che l' ltalia riuscirà a sbarazzarsi di molte cose, forse anche di una classe politica corrotta, ma non degli intellettuali ex sessantottini. Nonostante non abbiano fatto altro che passare di fallimento in fallimento, di corbelleria in corbelleria, son sempre lì, inossidabili al tempo e a se stessi, pronti a impartire lezioni con la sicumera e la iattanza di sempre. Per dieci anni gli allora sessantottini hanno gridato per le strade e le piazze d' ltalia le loro certezze nella rivoluzione prossima ventura. E guai a contraddirli: c'era la spranga. Dopo dieci anni di chiacchiere inconcludenti, sufficienti comunque a rovinare qualche loro coetaneo più serio o più sprovveduto o in buona fede, questi rivoluzionari con la benedizione di mamma e papà, l'assicurazione e la mutua, si sono sentiti delusi. E hanno preso a strillartelo nelle orecchie come se il colpevole fossi tu. Una delle loro caratteristiche è infatti che la colpa è sempre degli altri. In quanto alla pena -il caso Sofri docet -non hanno mai pensato seriamente che la cosa li potesse riguardare. Per troppo tempo sono stati abituati a far la rivoluzione col ritorno garantito a casina loro. Un'altra caratteristica è, appunto, lo strillo. Sono costituzionalmente incapaci di tacere. Anche i loro silenzi sono fragorosi. Non possono fare a meno di gridare che stanno zitti. Come minimo ci scrivono sopra un articolo sul Corriere della Sera («Orfani», Giuliano Zincone). Quando si scoprirono delusi cominciò l'era dei precoci amarcord, delle memorie, dei lamenti, dei suspiria, dei “miei vent'anni nei furibondi anni Sessanta” (Mughini). Credevano di aver fatto la guerra d'Africa, invece era solo il '68, una cosa -come disse Einaudi della massoneria- comica e camorristica. A ruota seguirono pluviali pentimenti che finivano quasi sempre in un libro dove l'autore veniva preso da brividi di piacere trasgressivo, che lo percorrevano dall'alluce all'ombelico, quando ricordava qualche fugace incontro che, durante i suoi anni di fannullone di sinistra, aveva avuto con un terrorista vero. A furia di delusioni, lamenti e pentimenti gli intellettuali ex sessantottini raggiunsero finalmente l'agognato obiettivo: ben incistarsi nella società borghese. Dove però non hanno preso una posizione qualunque. Non sarebbero sessantottini. Quasi tutti sono passati da un estremo all'altro, dalla rivoluzione alla reazione. Il caso emblematico è quello di Paolo Liguori partito da Lotta Continua per approdare, passando per Il Giornale di Montanelli, dalle parti di Sbardella. L 'altra sera s'è presentato al Costanzo Show e ha dichiarato una sua incrollabile certezza: l'innocenza di Sofri. Lui, infatti, Sofri lo conosce da una vita e non può pensare che,un ragazzo tanto intelligente e colto abbia potuto essere così stolido e poco elegante da dare un ordine come quello di ammazzare il commissario Calabresi. Quello dell'intelligenza, della cultura, dell'eleganza di Sofri come dirimenti nell'omicidio Calabresi è un leit motiv caro anche ad altri intellettuali ex sessantottini. Tesi razzista e classista. Come se l'intelligenza e la cultura avessero mai impedito a qualcuno di delinquere. In compenso tutti gli intellettuali ex sessantottini dimostrano un aperto disprezzo per Leonardo Marino, incolto, rozzo, inelegante, operaio. Un singolare contrappasso per chi era partito dicendo di voler sfasciare il mondo in nome della lotta di classe e della difesa degli “umiliati ed offesi”. Non vedo, oltretutto, con che autorità morale intellettuali che sul pentimento hanno costruito le loro carriere possano disprezzare chi col pentimento si è guadagnato la galera. Per l'innocenza di Sofri si sono schierati anche Mughini, Farina, Boato. Savelli invece non entra nel merito, ma giudica Sofri comunque meritevole di un'amnistia. La singolarità della tesi non sta tanto nel fatto che l'amnistia è un provvedimento generale e non “ad personam”, ma nella motivazione che la sostiene. Savelli infatti afferma che quand' anche Sofri fosse colpevole agì “senza tornaconto personale”. Questa è bella. Forse che se io scendo in strada e tiro due palle in corpo al primo che capita sono, per ciò, meritevole di particolare indulgenza? E non so se Savelli si rende conto che l'aver agito “senza tornaconto personale” è esattamente la tesi sostenuta da molti dei ladri di partito messi sotto inchiesta in questi mesi dalla magistratura. Confusi quando erano ragazzi, gli intellettuali ex sessantottini non lo sono meno ora che sono diventati vecchi. Per chi, come loro, sta dentro lo Stato democratico-borghese la vicenda di Sofri non ha niente a che fare con gli. “io lo conoscevo bene”, l'intelligenza, la cultura, il tornaconto: non si tratta, esattamente come per l'inchiesta sulle tangenti, di una questione morale, ma penale. Che ha due aspetti. Uno è quello per cui Sofri sta digiunando. Lasciamo perdere la penosa impressione, come ha scritto Edgardo Sogno, di un rivoluzionario che irrideva lo Stato democratico-borghese, le sue libertà e le sue garanzie, considerate vuote forme, sovrastrutture, truffe, e che poi si aggrappa al supergarantista Carnevale, come un mafioso qualsiasi. Queste sono cose che riguardano la coscienza di Sofri in cui non abbiamo davvero voglia di andare q guardare. Il fatto è che Sofri, dopo la prima sentenza di condanna, ha rinunciato ai successivi ricorsi ritenendo che la corrotta giustizia italiana non sia degna di giudicarlo. Ma se non crede alle garanzie della magistratura non può ora venirci a dire che crede alla prima sezione della Cassazione. In ogni caso l'affidamento, che è di ieri, dell'ultimo grado del giudizio alle sezioni unite della Cassazione dovrebbe tagliare la testa al toro e confermare che non c'è nessuna volontà persecutoria ai danni di Sofri. La seconda questione è quella dell'innocenza o della colpevolezza di Sofri. Due successive sentenze l' hanno condannato. Naturalmente anche la magistratura può sbagliare. Proprio per questo, per estrema prudenza e nel tentativo di limitare al minimo l'errore, il nostro ordinamento prevede tre gradi di giudizio. Di più non si può chiedere. Naturalmente si può anche pensare, come fa Sofri, che sia tutto un complotto; che la confessione di Marino non fu spontanea ma estorta dai carabinieri, che due pubblici ministeri erano in combutta con i Cc e con lo stesso Marino e che due magistrature giudicanti hanno consapevolmente e protervamente avallato il tutto. Ma questo ha diritto di pensarlo Sofri. Non Liguori e gli altri. O, meglio, se lo pensano debbono trarne le conseguenze. Non si può stare in uno Stato e pensare che sia marcio fino a questo punto. Se davvero Liguori e gli altri lo credono hanno il dovere di fare oggi quel lo che non ebbero il coraggio di fare nel '68: schizzare fuori dallo Stato democratico-borghese , dai posti che vi occupano e prendere, contro di esso, le armi. Oppure la smettano di prenderci in giro, come stan facendo da vent'anni, mantenendo eternamente il piede in due scarpe.