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La paura della Germania riunificata è tale da suscitare in Europa degli autentici deliri. Non c'è solo Nicholas Ridley, ministro inglese dell'industria (ora ex) che paragona Kohl a Hitler. Non c'è solo il rabbino capo di Londra che dichiara che «il demone antisemita è in agguato», non c'è solo Mitterand che ha ballato anche sui tavoli per indurre l'Unione Sovietica a frenare la riunificazione, c' è anche, più modestamente, Giorgio Bocca, al solito così lucido, che si abbandona a dichiarazioni di questo genere: «Ci sono rivelazioni collettive che lasciano stupefatti e intimoriti: questi tedeschi erano tutti d'accordo da tempo a riunificarsi, avevano preparato in segreto, premeditato, progettato nei particolari la riunificazione cogliendoci tutti di sorpresa, facendoci trovare di fronte al fatto compiuto, molto diverso dalla ricostituzione della Wehrmacht e della occupazione della Renania, ma di metodo simile» (Espresso 29/7/90). Ma come? Una nazione unita per etnia, lingua, cultura viene, cosa che non si era mai vista nella storia, spaccata in due secondo confini segnati dal punto in cui sono arrivate le truppe dei vari vincitori, la sua capitale divisa in quattro, il fratello separato dal fratello, il padre dal figlio, e c'è bisogno di pensare, come fa Bocca, a una sorta di complotto per capire la naturalissima voglia dei tedeschi di tornare insieme? Se Bocca fosse stato in Germania qualche anno fa vi avrebbe visto quello che ho visto io: oneste famiglie tedesche, di Hannover, di Gottingen, di Warzburg, che la domenica mattina prendevano la macchina, ci caricavano sopra i bambini e si recavano in certi luoghi di confine dove, mute, chiuse nell'auto, restavano tutta la giornata a osservare, di là, la patria perduta. Non c'è quindi bisogno di ricorrere a nessun «fuhrer-prinzip», alla disumana vocazione germanica a marciare all'unisono (è ancora un concetto di Bocca) per comprendere perché, una volta rotto l'argine sovietico, le due Germanie si sono saldate così rapidamente. La stessa cosa l'avrebbero fatta i francesi, gli inglesi e persino gli italiani se si fossero trovati in quella situazione. Questi sproloqui sulla riunificazione tedesca sono dettati dalla paura. Comprensibile, in parte, per quelle generazioni che ebbero a vivere l'epoca del nazismo trionfante. Ma è anche una paura giustificata? Forse sì, ma solo se ci si mette in un'ottica molto miope. È chiaro infatti che la Germania unita si appresta a riprendere in Europa quel ruolo dominante che, per posizione geografica, per storia, per cultura, le compete e che solo l'avventurismo di Hitler le aveva impedito di interpretare.Quello che non ha ottenuto con la forza militare la Germania lo conquista oggi con quella economica. Ed è probabile che assisteremo nel prossimo futuro a una sorta di colonizzazione tedesca dell'Europa. Ma non si vede perché mai dovremmo negare ai tedeschi quello che abbiamo concesso agli Stati Uniti che da quarantacinque anni colonizzano economicamente, quindi anche culturalmente, l'Europa occidentale. Se è destino che siano le leggi economiche a determinare I rapporti di forza fra le nazioni, queste leggi non possono essere ritenute valide per alcuni e non per altri. Non è colpa dei tedeschi se producono di più, se risparmiano di più, se lavorano meglio, se sono più ordinati e disciplinati. Ancor più inconsistente appare il timore che ci possa essere un risveglio delle ambizioni militari tedesche e dell'antisemitismo di marca Deutschland. La Germania è l'unica grande potenza a non avere la bomba atomica (mentre ce l'hanno, per esempio, Israele, il Sud Africa e perfino la Libia). In , quanto all'antisemitismo, sarebbe anche l'ora di finirla di ridurre strumentalmente l'intera storia tedesca ai tredici anni della follia hitleriana. La Germania, se permettete, è anche altro. Tedesco è l'intero pensiero filosofico europeo degli ultimi due secoli: da Kant ad Hegel, da Fichte a Schelling, da Feuerbach a Marx, da Nietzsche a Weber, da Husserl a Scheler, da Heidegger a Horkheimer, da Adorno a Marcuse. Anche una grande cultura come quella francese è stata, in questi due secoli, in qualche misura subalterna a quella tedesca sua tributaria. Tedesco è parte determinante del pensiero scientifico europeo del Novecento a cominciare da Einstein. Tedesca, anche se non solo tedesca, è la grande musica. Basterebbe da sola la Nona di Beethoven, di cui anche un anarchico come Bakunin ebbe a dire: «Tutto morirà, nulla sopravvivrà: una cosa sola rimarrà eterna, la Nona sinfonia». Ma, oltre all'immenso Beethoven, ci sono stati Bach, Handel, Haydn, Schubert, Mendelssohn, Schumann, Wagner, Strauss, Brahms, Mahler per finire con Hartmann e Stockausen. In una visione meno gretta, quindi, il ritorno a pieno titolo della Germania sulla scena europea e in posizione di leadership significa il ritorno dell'Europa sulla scena del mondo, finalmente affrancata da Yalta e libera dallo stritolante abbraccio del biimperialismo russo-americano. Perchè non è vero che, come scrive Claudio Magris, «è l'unità europea che, sola, può risolvere il problema tedesco», Ma il contrario: è l'unità tedesca che, sola, può risolvere il problema europeo.