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Bisogna «lasciare all'uomo la sua morte naturale». Questa è stata, in estremo succo, l'obiezione dei cattolici alla decisione del governo olandese di introdurre l'eutanasia in quel Paese. Bisogna lasciare all'uomo la sua morte naturale, d'accordo, ma bisogna anche lasciargli la sua vita naturale. Invece oggi la medicina tecnologica tende, attraverso tutta una serie di macchinari e di congegni eccezionali, a prolungare la vita a tutti i costi. Ed è per questo che si è posto il problema dell'eutanasia che in passato era sconosciuto perché sconosciute erano le agonie artificiali. Io credo che, in molti casi, sia addirittura fuorviante parlare di eutanasia. Che cos'è infatti l'eutanasia? È un particolare tipo di omicidio, che fa parte della più vasta specie dell'omicidio del consenziente, e, come si dice oggi, del «suicidio assistito», che si ha quando taluno, su richiesta di un malato (esplicita, tacita o - ed è il caso più spinoso - presunta), lo uccide per evitargli sofferenza divenute intollerabili e senza senso. Ma allorché questa richiesta viene fatta quando a tenere in vita il paziente sono macchinari speciali, senza i quali morirebbe, siamo fuori del campo dell'«omicidio del consenziente» e dell'eutanasia. Cerco di spiegare perché. L'«omicidio del consenziente», come qualsiasi altro omicidio, può essere attuato con un'azione o, anche, con un'omissione. Ma quando si sia in presenza di speciali macchinari non c'è nessuna azione o omissione che sia causa di morte, se si stacca la spina. C'è solo il rifiuto di macchinari eccezionali che allungano artificialmente la vita. L'azione intrusiva, l'azione «attiva», se così possiamo esprimerci, è avvenuta prima, quando l'équipe ospedaliera ha messo in funzione i macchinari. Staccando la spina io non faccio che ripristinare la situazione naturale, che restituire al malato il suo diritto a una morte naturale, proprio ciò che è invocato dai cattolici. Non c'è alcuna omissione. Quello che fa il medico, staccando la spina, non è un atto di consenso, è un atto puramente tecnico perché solo lui è in grado di fare quell'operazione. Il medico prende atto semplicemente del rifiuto del malato di utilizzare certi macchinari, anche se sa che ciò lo porterà a morte, rifiuto che è nel suo pieno diritto come lo è il rifiuto delle terapie che lo deturpino, che lo amputino, che ne modifichino la personalità o anche semplicemente che non gli garbino. Se il governo olandese ha deciso l'impunità del medico per casi come questi non c'è che da essere d'accordo, né c'è nulla da modificare nell'ordinamento italiano perché il rifiuto di una terapia è già riconosciuto come diritto del cittadino malato. C'è caso mai, da ribadirlo nella testa delle équipe mediche che spesso fanno uso del corpo del malato senza informarlo, per fini scientifici o anche semplicemente perché ritengono che l'allungamento della vita, a tutti i costi, anche con sistemi eccezionali, sia un «bene in sé» che prevarica la volontà del malato. Diverso è il caso dell'eutanasia vera e propria. L'eutanasia è il cosiddetto diritto alla morte senza sofferenze, alla «bella morte» secondo l'etimologia della parola che fu coniata, pare, da Francesco Bacone. Facciamo un caso classico: io sono ammalato di cancro, non sopporto più le sofferenze che mi provoca e chiedo a chi mi assiste di farmi un'iniezione mortale. Chiedo cioè di fare qualcosa che accorcia artificialmente la mia vita. Questa è eutanasia, questo è «omicidio del consenziente» in cui il medico, o chi per lui, non è più un semplice strumento tecnico, oggettivo, della volontà del malato, ma un soggetto di cui è necessario il consenso. Se il governo olandese ha deciso l'impunità anche per questi casi allora è vero che ha legalizzato l'eutanasia. E per introdurre una possibilità del genere anche in Italia ci vorrebbe una legge apposita. È opportuna? Anche se siamo in territori limite, dove è difficilissimo esprimersi, io ritengo di no. E sono d'accordo con i cattolici. In parte. Sono d'accordo quando sostengono che nessun uomo ha diritto di decidere della vita di un altro, sopprimendola, nemmeno col suo consenso. Non sono d'accordo invece quando negano il diritto dell'individuo di decidere per se stesso in base alla convinzione che la vita dell'uomo non appartiene a lui ma solo a Dio. Per un laico la vita dell'uomo appartiene all'uomo e quindi ha il diritto, il doloroso diritto, di privarsene. Ma deve assumersene «in toto» la responsabilità senza coinvolgere altri con consensi che non è nella loro potestà dare.