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Ciò che colpisce nei socialisti milanesi arrestati o inquisiti per “Mani Pulite” è l'antropologia, la loro assoluta mediocrità umana ed esistenziale. Da Manzi a Parini a Carriera a Chiesa a Finetti a Tognoli è tutta gente che non ha alle spalle un mestiere, una professione, che non ha mai lavorato in vita sua. Se hanno raggiunto, nell' Amministrazione Pubblica, posti anche di rilievo non è certo per che si fossero illustrati in precedenza per qualche merito, ma solo ed esclusivamente in virtù della loro appartenenza politica. Il meglio è Finetti che aveva un posto in Rai, perché ce lo aveva messo il Psi, dove ha scaldato la sedia finché, chiamato a più alti incarichi partitocratici, non si è messo m aspettatIva. È  gente priva di ogni passione, anche politica, perché per loro la politica, come viene fuori in modo evidentissimo dagli interrogatori, era solo lo strumento per conquIstare posizioni sociali e ricchezze che altrimenti  non avrebbero mai raggiunto. Erano, in partenza, gli scarti della società, gente senz'arte né parte che ha trovato nella politica del malaffare la propria collocazione. Anche i loro piaceri sono mediocri. Hanno rubato per poter pranzare al Savini, per farsi la villetta in campagna o al mare, quasi sempre di gusto atroce, per trarre qualche puttana. Forse l'unico che ha la stazza dell'avventuriero è proprio Silvano Larini che perlomeno si è giocato la partita in grande stile. Ma gli altri si sono venduti davvero per poco. Probabilmente non potevano fare altrimenti. Li conosciamo questi signori, li conosciamo bene, li abbiamo avuti compagni di scuola. Non erano né i migliori né i peggiori della classe, stavano in una zona grigia, quella della mediocrità tanto neI bene che neI male. Privi di qualunque personalità non riuscivano a farsi una ragazza decente e le inseguivano tutte, specialmente se bruttine. E anche quando hanno avuto il potere non erano in grado di accostare una donna in modo normale, se è vero che a Milano il segretario personale di Craxi, Cornelio Brandini, un bel ragazzo, simpatico, aveva il compito di procurare le donne, oltre che al Capo, ai personaggi della nomenklatura promettendo qualche comparsata in tv e, a volte, la conduzione di un programma pomeridiano. Ho avuto in classe, al Parini, Maurizio Ricotti, un tipico rappresentante della nomenklatura socialista che è venuta su fra la fine degli anni '70 e gli '80. A scuola era così lento, tardo, privo di riflessi, già vecchio, che lo chiamavamo “nonno Bigio”. Ciò non gli ha impedito, infilandosi nel Psi, di diventare, mi pare, assessore regionale e di farsi una villa in Brianza. Non c'è in questi personaggi nessuna scintilla, nessun appeal, nessuna grandezza. Son dei topi di chiavica che, portati alla luce, si rivelano in tutta la loro miseria. Arroganti e gradassi fino al giorno prima, quando vengono arrestati abbassano subito la cresta, svengono, piangono, tirano in ballo la mamma, i figli, la zia focomelica, dicono che lo hanno fatto per garantirsi la pensione. E parlano, parlano, parlano, denunciano gli amici più cari, cercano di tirar tutti giù nella merda in cui hanno sguazzato per anni. Piangono e si disperano, adesso, comprendendo, forse per la prima volta, che si sono venduti per un piatto di lenticchie, per una cena al Savini, per brancicare una ragazza ricattata, per una poltrona alla Scala che li costringeva ad ascoltare opere che non capivano ma che faceva tanto status symbol. Piangono e si disperano, adesso, ma non piangevano quando, tronfi di un potere acquisito con comportamenti mafiosi, se non decisamente criminali, spezzavano le gambe a chi non ci stava, troncavano carriere, umiliavano chi lavorava. Eppure è da questa gente mediocre, priva della grandezza che anche il male può dare, lontanissima dalla dignità non dico di un Renato Curcio ma di Renato Vallanzasca, bandito che una sua morale l'ha sempre avuta, che ci siamo fatti amministrare negli ultimi dieci anni. Colpa anche nostra? Forse si. Ma probabilmente no. COstoro avevano messo in piedi un sistema così vischioso che l'alternativa era: o sporcarsi con loro o vivere ai margini, oscuri, senza nemmeno poter avere, contrariamente a quanto avvenne sotto il fascismo, l'onore delle armi, la patente di oppositori e di martiri, ma solo di fessi. E, nobilitando molto le cose, si potrebbe riprendere quel mirabile discorso che Lucio Sergio Catilina nel 62 a. C. pronunciò, davanti ai congiurati, contro le oligarchie che, dietro il paravento di una Repubblica e di una democrazia ridotte a parodia, opprimevano, come sempre, il popolo: «Ora che il governo della Repubblica è caduto nel pieno arbitrio di pochi prepotenti, re e tetrarchi sono divenuti vassalli loro, a loro popoli e nazioni pagano i tributi; noi altri tutti, valorosi, valenti, nobili e plebei, non siamo che volgo, senza considerazione, senza autorità, schiavi di coloro cui faremmo paura solo che la democrazia esistesse davvero». Ma adesso che la democrazia, grazie alle inchieste della magistratura e al comparire, perla prima volta dopo tanti anni, di una vera opposizione, è tornata ad avere diritto di cittadinanza nel nostro Paese, possiamo vedere bene che cosa fossero i prepotenti di ieri: dei cagasotto, senza qualità, senza morale, senza dignità, che si sono liquefatti nel loro stesso guano al primo apparire dei carabinieri.