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In un editoriale di prima pagina del Corriere della Sera di fine anno, Giovanni Sartori si chiede se l'uomo non sia in preda a una turpe follia. E indica una serie di disastri che stanno colpendo il pianeta Terra non per pura fatalità ma perché è l'uomo a causarli: l'effetto serra che da una parte provoca terrificanti inondazioni e dall'altra siccità e la mancanza di acqua potabile che già oggi uccide cinque milioni di persone e mette in pericolo la vita di un quinto della popolazione terrestre, la desertificazione, l'erosione della copertura vegetale, la deforestazione. «La causa di tutto», scrive Sartori, «è la sovrappopolazione». Eh no. La causa di tutto è la popolazione. La popolazione dei paesi industrializzati e quindi l'attuale modello di sviluppo basato sulle crescite esponenziali. Non sono i cinque miliardi di uomini dei Paesi del Terzo Mondo a provocare l'inquinamento e tutti i disastri indicati da Sartori, e altri ancora, ma il miliardo che vive nei Paesi industrializzati. Non sono i neri del Malì, per quanti possano essere, ma gli americani e gli europei. Basti pensare, per dare un dato: gli Stati Uniti, che hanno il 4% della popolazione mondiale, producono il 25% delle emissioni di gas serra. Un cittadino di New York produce otto chili di rifiuti al giorno, dieci volte un abitante di Milano che pur, rispetto a un poveraccio del Terzo Mondo, è un iperconsumatore. II poveraccio del Terzo Mondo non produce rifiuti per la semplice ragione che non consuma nulla o pochissimo. Si vada a Bombay e si vedrà che i camion della nettezza urbana, in quella città popolosissima, sono vuoti. Né si può sostenere che l' attuale modello di sviluppo industriale è necessario proprio per sfamare le popolazioni del Terzo Mondo. Perché è vero il contrario. Salvo poche eccezioni (Bangladesh, Egitto, Giava, alcune regioni dell'India) il Terzo Mondo non è sovrappopolato e sarebbe in grado di mantenersi alimentarmente basandosi sulle antiche economie di sussistenza. Ma è proprio l'attuale modello di sviluppo industriale che, globalizzandosi e devastando quelle economie e quelle società le conduce alla fame. Impedire alle popolazioni del terzo mondo di figliare non solo non risolverebbe i problemi ecologici ma toglierebbe ai poveri l'unica loro felicità.La soluzione del problema sta altrove, anche se nessuno, e tantomeno il giornale della FIAT, ha il coraggio di dirlo, salvo alcune correnti di pensiero minoritarie, americane e scandinave: non solo bisogna fermare il cosiddetto sviluppo, il cosiddetto benessere, la follia delle crescite esponenziali, ma è necessario ridurlo. Dobbiamo smetterla di produrre beni superflui, voluttuari, inutili che soddisfano bisogni di cui l'uomo non ha mai sentito il bisogno e redistribuire meglio, molto meglio, la ricchezza esistente. È un paradosso tragico che in un solo decennio, dal 1970 al 1980, le produzioni mondiali di riso, di grano e di mais siano aumentate, rispettivamente, del 30, del 40 e del 50% (dati FAO) e nel contempo un terzo della popolazione della Terra sia stata ridotta alla fame perché questi cereali di base vanno a nutrire i maiali degli americani i quali sono grassi da paura. Il cibo, oggi, non va dove c'è bisogno, va dove ci sono i quattrini per comprarlo. Dobbiamo smetterla di produrre ricchezze inutili, telefonini, computer,  linee di cosmesi per i cani, cibi per gatti, dal gettone di ogni tipo. Dobbiamo smetterla di produrre strumenti che aumentando vorticosamente la velocità della nostra vita ce la sottraggono.  Dobbiamo smetterla con questa fagia bulimica delle cose e degli oggetti e dobbiamo smetterla con questo modello demenziale che  a un mondo naturale ne ha sostituito uno artificiale e che prima ancora del nostro habitat devasta le nostre coscienze, frantumano il nucleo interno dell'uomo, lo rende schizofrenico e infelice, e tanto più infelice quanto più affoga nella grascia del benessere e delle crescite annuali del PIL. San Francesco sarebbe oggi un santo davvero rivoluzionario, molto più dei residuati del marxismo che non è che una variante, per di più inefficiente, dell'industrialismo. "Siamo impazziti?" Si chiede Sartori. Sì, siamo impazziti ma se non è in malafede, se non ha scritto quello che ha scritto perché deve difendere gli interessi della grande industria, il primo pazzo è lui che vede la pagliuzza della sovrappopolazione e non la trave di un modello che mentre già gronda sangue da tutte le parti rende miserabili coloro che erano solo poveri ed è riuscito nell'impresa di far star male anche chi sta bene, cioè i ricchi, ci sta portando, a velocità vertiginosa, verso la catastrofe.