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Io sono persuaso da tempo — e lo vado scrivendo da vent'anni — che nei decenni e, probabilmente, nei secoli a venire lo scontro non sarà più fra destra e sinistra, com'è stato nell'Ottocento e nel Novecento, ma fra modernisti e antimodernisti, fra fautori del progresso e i loro avversari.Noi siamo su un treno che va a mille all'ora e aumenta a ogni istante la velocità, i suoi costruttori sono morti da tempo, chi ne è attualmente l'erede, anche se si illude di guidarlo, ne ha perso da tempo il controllo, perché il meccanismo, che si autoraffina in progressi, va ormai per conto suo ed è diventato scopo a se stesso. A condurre il treno non c'è, in realtà, nessuno. Sul treno, è vero, c'è chi siede su comode poltrone di prima classe, anche se è pur esso sballottato e frastornato dalla velocità, chi in seconda e in terza, chi sugli strapuntini, chi sta nei cessi, chi mezzo fuori dal finestrino, chi appeso alle predelle, mentre molti, forse la maggioranza, rotolano più per la scarpata. Per cui ha un certo interesse trovare una sistemazione più equa per i viaggiatori.Ma la questione di fondo è un'altra: dove diavolo sta andando il treno? Ed è vero, come sostengono alcuni, che a questa velocità, volendo e dovendo anzi aumentarla, prima o poi si disintegrerà o finirà contro una montagna o esaurirà la rotaia?Queste sono le domande poste dal movimento che abbiamo convenuto chiamare «di Seattle», che riguardano tanto il Nord che il Sud del mondo, tanto i ricchi che i poveri, anzi, a rigore questi ultimi un po' meno dei primi perché molti di essi, rotolando giù dal treno, possono forse sperare di salvarsi, anche se feriti e laceri, se il viaggio finirà davvero in un disastro.Ecco perché è grottesco che le questioni che si affollano attorno al vertice del G8 di Genova vengano presentate, e in qualche caso si autopresentino, come uno scontro fra destra e sinistra, dove la prima sarebbe global e la seconda anti. Destra e sinistra sono nemiche a pari merito del movimento di Seattle, perché si dividono solo sulla sistemazione dei viaggiatori e se si debba dare o meno qualche panino a quelli che non viaggiano in prima classe e non si servono della carrozza ristorante, ma entrambe sono d'accordo sul fatto che il treno sia la miglior macchina mai costruita, sulla sua direzione, sulla velocità stratosferica e pensano anzi che aumentandola ancora verranno risolti, chissà perché, i problemi degli occupanti invece di ingigantirli com'è avvenuto finora sia per quelli benestanti che per gli altri. Sono entrambe, fuori di metafora, convinte delle «sorti meravigliose e progressive».Le correnti di pensiero più vere e profonde del movimento di Seattle ritengono, all'opposto, che le sorti non siano né progressive né, tantomeno meravigliose, che il treno, per quanto luccicante, sia diventato una macchina infernale, che non solo vada rallentato ma fermato addirittura debba fare retromarcia per riguadagnare la stazione precedente e da qui prendere una via diversa. E che tutto ciò vada fatto al più presto, perché come mi ha detto una volta Carlo Rubbia, che non è un oscurantista, che non è un millenarista, ma uno scienziato e un positivista, «potremmo anche aver già superato il punto di non ritorno».Questo destra e sinistra, che discendono ambedue dai filoni di pensiero di coloro che hanno costruito il treno, non lo potranno mai accettare. Quando le sinistre, sia nella versione tardo marxiste-leninista dei ragazzotti inconsapevoli dei centri sociali sia in quella adulta riformista e dalemiana, cercano di mettere le mani sul movimento di Seattle, o più realisticamente di lucrarne qualche briciola, compiono quindi un'appropriazione indebita.Maggiormente legittimati, semmai, a sentirsi affini a Seattle sono i cattolici. Sia perché, storicamente, sono stati a lungo antimodernisti e antiprogressisti, e molti, in cuori loro, lo rimangono, sia perché si deve anche alla Chiesa (si pensi solo alla speculazione di Tommaso D'Aquino e di Alberto Magno) se il Medioevo mantenne al centro della propria visione l'uomo e non l'economia e, per quanto ci possa apparire incredibile, fu un tentativo generoso, e in parte riuscito, di far vivere una comunità d'uomini in modo socialmente più equilibrato ed esistenzialmente meglio compensato.