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Nei  giorni del golpe in Unione Sovietica io, contrariamente a tutti, non stavo dalla parte di Gorbaciov. Certo mi rendevo conto anch'io, come tutti, che i «putschisti» non erano che i pallidi epigoni di coloro che, nel '56, avevano soffocato nel sangue la rivolta ungherese, che, nel '68, avevano umiliato la «primavera di Praga» e capivo bene che la loro vittoria avrebbe, tra l'altro, costituito un ostacolo gravissimo, più di quello rappresentato dal versipelle Gorbaciov, sulla strada dell'indipendenza di quei popoli -baltici in testa- che da tempo la reclamano (e voglio vedere ora chi, e con quali argomenti, oserà negargliela). In questo senso ero anch'io, come tutti, contro i golpisti. Ma, nello stesso tempo, non riuscivo a non vedere le loro ragioni, le loro buone ragioni. Sei anni di perestrojka hanno distrutto anche quel pochissimo che, dal punto di vista sociale, settant'anni di comunismo avevano costruito in Urss: pieno impiego, sicurezza deI posto di lavoro, stabilità dei prezzi essenziali, costi minimi dei beni primari (casa, luce, trasporti, comunicazioni e cibo, se uno si accontentava) e una cultura per la quale non era infamante svolgere i lavori più umili né essere poveri. Il solo affacciarsi deI capitalismo ha prodotto: due milioni di disoccupati, che diventeranno otto nel 1992 e sedici o quaranta, a seconda delle stime, entro il duemila; il collasso del sistema distributivo centralizzato non sostituito, per ora, da nient'altro che la speculazione borsanerista; inflazione al 100%; calo dei redditi (meno 2,5%); aumento verticale della criminalità (al raddoppio ogni anno) e, infine, arrivo in massa di tutti i graziosi gadget che accompagnano il modello occidentale: corruzione, droga, mafia, spettacolari quanto dubbi arricchimenti individuali che frustrano particolarmente il cittadino sovietico abituato a vivere povero ma (nomenklatura a parte) uguale. I golpisti avranno pur agito per ragioni di potere personale, ma non v'è dubbio che il loro è stato anche l'estremo tentativo di fermare un disastro. Si è scritto fino alla nausea che è stato il popolo sovietico a dir loro di no. Ma non è vero. Cosa sono 100 mila persone in piazza in una città, come Mosca, che ha più di 10 milioni di abitanti o 300 mila in un paese di 290 milioni? In realtà quella del 22 agosto è la vittoria di un'elite.È stata la parte più colta, più avvertita, più occidentalizzata della società  russa (una minoranza assoluta) a sbarrare il passo ai golpisti che, al di là delle loro ambizioni personali, rappresentavano gli interessi reali dell' enorme massa amorfa e sofferente del popolo sovietico.La vittoria dei radicali progressisti - anche se è la vittoria della libertà contro la tirannide- è una catastrofe per una buona parte di questo popolo. I radicali infatti, forti del loro successo, imporranno un 'ulteriore accelerazione al processo di allineamento dell'Urss al capitalismo occidentale e ne provocheranno il definitivo collasso. Quando infatti un paese povero, arretrato, privo di cultura imprenditoriale (ad essa, anzi, per motivi storici e caratteriali, profondamente estraneo), com'è l'Urss, si apre al libero mercato internazionale e si inserisce nel micidiale gioco delle sue interdipendenze, accettando di entrare in concorrenza con americani, giapponesi, italiani, si vota alla rovina, diventa più miserabile di quanto già non fosse, ce lo racconta tutta la drammatica storia deI Terzo mondo, ultima l' Albania che fino a due anni fa era un paese semplicemente povero, ora è distrutta e alla fame e domani sarà nelle condizioni di un Burkina Faso. L 'errore dei radicali russi  -indotto, in parte, dall'ansia di rapina dell'Occidente mascherata dietro nobili parole di democrazia- è di confondere tour court la Libertà, per la quale si sono così coraggiosamente battuti, con la libertà di mercato. Ma si tratta di due cose diverse.  I radicali dovrebbero avere la sapienza, l'umiltà, il coraggio, mentre portano fino in fondo la loro sacrosanta battaglia per le libertà civili, di fare invece molti passi indietro, almeno per un lungo periodo, sul piano delle libertà economiche, Ma non lo faranno. Essi hanno la tragica pretesa di voler applicare in terra di Russia i principi del capitalismo con la stessa astrattezza ideologica con cui, sino a ieri, i marxisti-leninisti vi hanno imposto il loro modello.