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La sentenza con cui la Corte d'appello di Firenze ha deciso di restituire definitivamente il piccolo Dario ai suoi veri genitori troncando l'esperimento che, con l'accompagnamento di un caravanserraglio di psicologi e assistenti sociali, doveva permettere il passaggio graduale del bambino dalla famiglia preadottiva (i Luman) a quella naturale (i Cristino), ha provocato i consueti piagnistei della intellighenzia di sinistra. Emblematico è un articolo di Guglielmo Pepe sulla Repubblica del 7 luglio. Scrive Pepe che la sentenza è una conferma «che l'amore non basta, che le ragioni del cuore sono insufficienti di fronte alle leggi, che l'affetto pur grande per un bambino è impotente al cospetto delle regole». Curioso modo di ragionare; come se le «ragioni del cuore» riguardassero solo i genitori adottivi di Dario e non anche quelli naturali che lo reclamavano inutilmente da quattro anni e mezzo. Pepe osserva inoltre che il Tribunale dei minori, che aveva stabilito il passaggio soft del bambino da una famiglia all'altra, lo aveva fatto «anche per rispetto nei confronti dei Luman». C'è da sperare che non sia così. Innanzi tutto perché la stella polare cui devono guardare i giudici, nei processi di adozione, è l'interesse del bambino. Lo scopo primario dell'adozione non è infatti quello di dare un figlio a chi non può averne (è il caso dei Luman), ma di dare una famiglia ad un bambino che non ce l'abbia (e non è affatto il caso di Dario). In secondo luogo perché i Luman non meritano alcun rispetto. Dalla ricostruzione fatta a suo tempo dalla Corte d'appello di Firenze risulta infatti che i Luman, quando venne dato loro in preaffidamento il piccolo Dario, sapevano benissimo che il padre naturale lo aveva già riconosciuto, così come sapevano (ed erano conniventi) della incredibile irregolarità commessa dal Tribunale dei minori (retrodatazione del preaffidamento) per cercare di vanificare quel riconoscimento. Cosa fa una persona di buon senso, cosa fa una persona di «buon cuore», cui il caso abbia messo in mano un fagottino umano, quando sa che il padre naturale lo ha riconosciuto e lo vuole? Lo restituisce. Se i Luman lo avessero fatto, a Dario, che aveva solo venti giorni, sarebbero stati risparmiati tutti i traumi che ha poi dovuto subire. Invece i Luman, disinteressandosi del bene del bambino, cominciano una lunghissima battaglia legale. Poi, quando la Corte di appello, nel gennaio del '90, riconosce in pieno gli indiscutibili diritti dei Cristino, passano all'illegalità. Anche allora la Corte aveva disposto che la consegna di Dario dalla famiglia preadottiva a quella naturale avvenisse in modo graduale, attraverso una serie di incontri tra le coppie, in modo da evitare shock al piccolo. Ma i Luman si presentano solo al primo incontro. Poi fuggono in Brasile con Dario. Dimostrando così, loro così attenti ai propri sentimenti, non solo una totale insensibilità per quelli degli altri, ma anche un sostanziale disprezzo per quel bambino che dicono di amare. I Luman infatti non possono non rendersi conto che quanto più trattengono indebitamente il bambino presso di sè tanto più grande sarà per lui il trauma il giorno in cui, fatalmente, lo dovranno restituire. In realtà i Luman cercano di mettere i Cristino e la magistratura davanti alla brutalità del fatto compiuto. Tornati in Italia dopo un anno e mezzo non dismettono la loro arroganza. Non contenti di aver schivato la galera per sequestro di persona (chè di questo si tratta), accettano di malagrazia il nuovo programma di reinserimento graduale che la magistratura ha pazientemente approntato e fanno capire in mille modi che per loro la partita non è affatto chiusa. Ed è proprio perché temono un nuovo colpo di testa dei Luman che, alla fine, i Cristino, esasperati, decidono a loro volta di non restituire più il bambino. Finché la Corte d'appello dà finalmente un taglio netto ad una vicenda che è durata anche troppo. Resta da capire perché l'intellighenzia di sinistra, in casi come questi, si schieri sempre dalla parte della famiglia adottiva contro quella naturale. Io credo che sia un retaggio dell'ideologia illuminista che, con la solita mania d'astrattezza, pretende che i legami di sangue non contino. Non siamo tutti, che diamine, cittadini del mondo? Ed invece il sangue conta. Eccome. Anche in un raggio più ampio di quello familiare. Come dimostrano i conflitti etnici che stan scoppiando dappertutto una volta saltato il feroce tappo repressivo dell'ideologia.