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Cerchiamo di mettere un po' d'ordi ne, se ci riesce, nella intricata questione delle intercettazioni telefoniche. Intricata perché coinvolge interessi contrapposti: l'interesse all'efficacia delle indagini, l'interesse alla privacy delle persone coinvolte a qualsiasi titolo in un procedi mento penale, l'interesse dei medi a a pubblicare le notizie di cui vengono in possesso e dei cittadi ni a conoscerle.Nel Codi ce Rocco esisteva il segreto istruttorio. Non solo non potevano essere pubblicati i contenuti degli atti istruttori ma, fatta eccezione per le parti private e i testimoni, costituiva reato anche rivelarli, a voce.Si privilegiavano cioè l'interesse all'efficienza delle indagini e quello del rispetto dell'onorabilità delle persone coinvolte in un'istruttoria, a scapito dell'interesse alla conoscenza della pubblica opinione Ed era giusto così. Infatti nella delicata e incerta fase delle indagini preliminari possono essere coinvolti soggetti che risulteranno in seguito estranei all'inchiesta e altri soggetti collaterali che non sono inquisiti ma la cui attività, al momento, viene ritenuta interessante per costruire il quadro probatorio complessivo. Col rinvio a giudi zio la prospettiva si capovolge. L'interesse alla conoscenza degli atti del processo prevale su quello della privacy. Ma al di battimento pubblico arrivano solo quei soggetti in cui sono stati raccolti indi zi sufficienti per un rinvio a giudi zio e i materiali che hanno un qualche valore probatorio.Qui il sacrificio della privacy è indi spensabile, anche a tutela degli stessi imputati perché l'opinione pubblica deve poter controllare l'attività dei magistrati. Nelle democrazie l'istruttoria può essere segreta, il di battimento è sempre pubblico. Solo nelle di ttature anche il di battimento è segreto.La debolezza del Codice Rosso era anche prevedeva solo pene pecuniarie per chi violava il segreto. Per cui i giornali preferivano pagare la multa e pubblicare.Il nuovo Codice del 1988 ha praticamente abolito il segreto istruttorio. Gli atti devono essere depositati in cancelleria a di sposizione delle di fese, ma chiunque può attingervi legittimamente. Vengono quindi «sputtanati» dai medi a indagati che magari poi non verranno rinviati a giudi zio e personaggi collaterali la cui attività erano poi considerate ininfluenti ai fini del giudi zio e quindi stralciate dal processo. Il problema non riguarda solo, ovviamente, le intercettazioni telefoniche ma tutto il complesso degli atti istruttori.Bisogna ripristinare quindi il segreto istruttorio, prevedendo pene severe, reclusione compresa, per chi lo viola. Ma qui sorge un altro problema. Da noi le istruttorie possono durare anni. In questa situazione il di vieto di pubblicazione di venta una altrettanto inammissibile mordacchia alla stampa. E qui si ritorna al problema dei problemi della giustizia italiana, l'abnorme durata delle sue procedure che nessuna classe politica ha mai voluto affrontare.Si batte molto sulle intercettazioni telefoniche, che non sono che un aspetto del più generale problema del segreto istruttorio, perché in esse possono incappare, parlando con terzi, anche i parlamentari i cui telefoni non possono essere messi sotto controllo senza la preventiva autorizzazione della Camera cui appartengono. È una guarentigia per assicurare al parlamentare piena libertà, senza indebite intromissioni. Ma la norma è logicamente assurda e la guarentigia è di ventata un privilegio che non ha più ragion d'essere. La norma è assurda perché un parlamentare, sapendo che i suoi telefoni saranno messi sotto controllo, si guarderà bene dal di re alcunché di compromettente. La guarentigia poteva andar bene ai tempi in cui la classe politica era, nel suo complesso, integerrima e un ministro si suicidava, per la vergogna, perché accusato di aver portato via un po' di cancelleria dal suo ufficio. Oggi, come sappiamo, fra i parlamentari la corruzione e di ffusissima e non meritano più questo privilegio. In fase istruttoria deve essere vietata la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche li riguardi no come quelle che riguardano qualsiasi altro cittadi no. Ma, i loro telefoni devono poter essere controllati come quelli di qualsiasi altro cittadi no.

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La Gran Bretagna, che controllava l'area di Bassora con 4.500 uomini che entro la primavera saranno ridotti a 2.500, ha passato formalmente le insegne del comando della zona al governo iracheno di Al Maliki. Mai il termine 'formalmente' è stato più appropriato.A Bassora infatti il governo centrale non conta assolutamente nulla. A comandare sono ventotto milizie, tutte sciite, le più importanti e note delle quali sono l'Esercito del Mahadi, che risponde al leader Moqtada al-Sadr, le bande del Partito della Virtù (Fadila), le Brigate Badr che sono il braccio armato del Supremo Consiglio Islamico (Siic), che è il partito di maggioranza in Parlamento , ma i cui miliziani non hanno nulla a che fare nè con l'esercito governativo nè con la polizia.Queste milizie hanno imposto nell'area di Bassora la Shaharia. Ora, la Shaharia è una dura legge, che conculca diritti che per noi occidentali sono fondamentali, ma è pur sempre una legge la cui violazione comporta un accertamento, un processo, una sentenza. Le milizie sciite non solo interpretano la Shaharia a loro arbitrio ma la applicano a modo loro: ammazzando direttamente, senza nemmeno l'ombra di una procedura giuridica, i presunti colpevoli.Vittime sono soprattutto le donne. Quarantotto sono state assassinate negli ultimi sei mesi per i più svariati motivi: per essere andate in giro a capo scoperto o in compagnia di un uomo che non era loro parente oppure per aver lavorato con degli stranieri. I delitti d'onore, impuniti, sono aumentati in modo esponenziale (peraltro non solo a Bassora ma in tutto il Paese, persino nel quasi indipendente Kurdistan iracheno). Poi ci sono gli ammazzamenti quotidiani, sia fra le milizie che si contendono il potere, sia ai danni della popolazione.Gli inglesi lasciano quindi Bassora in condizioni ben peggiori di quando in Iraq regnava Saddam. E se questo è il risultato ottenuto dagli inglesi, che per la loro lunga esperienza coloniale e per la valentia del loro esercito sono i più adatti a fronteggiare simili situazioni, si può immaginare che cosa sia successo nelle aree controllate dai contingenti di altri paesi. I più hanno preferito filarsela o hanno annunciato il ritiro delle loro truppe entro la fine dell'anno. Via via si sono defilati gli spagnoli, gli italiani, la Corea del Sud (terzo contingente per numero), la fedelissima Polonia, la Danimarca, i Paesi Bassi.In pratica in Iraq restano solo i 160 mila soldati degli Stati Uniti i quali stanno pensando a loro volta a una 'exit strategy' che gli consenta di salvare la faccia.Il paradosso dell'aggressione americana all'Iraq, che in cinque anni ha provocato 700 mila vittime fra gli indigeni e 3.500 morti fra gli stessi soldati Usa, è che i suoi risultati sono un diametrale contrasto con la politica che Washington segue da più di venticinque anni. E' dal 1980, dalla rivoluzione khomeinista, che gli Stati Uniti cercano di stoppare l'Iran sciita. Per questo nella guerra che l'Iraq scatenò contro l'Iran (1981) fornirono a Saddam le famose 'armi di distruzione di massa', per questo fermarono l'esercito iraniano quando era davanti a Bassora e stava per prenderla (il che avrebbe provocato la caduta immediata di Saddam), per questo hanno fatto votare all'Onu, in estate, due risoluzioni contro il programma atomico degli ayatollah anche se poi la stessa Cia ha scoperto che questo programma, ammesso che sia mai esistito, era stato fermato dal governo di Teheran dal 2003. Adesso, con la pseudo democrazia imposta a Bagdad, ha consegnato tutto l'Iraq del sud agli sciiti, che sono la maggioranza (i due terzi) nel Paese, i quali finiranno fatalmente per ricongiungersi alla madrepatria iraniana.Non solo. Una parte della politica americana è stata dedicata a tagliare le unghie all'indipendentismo curdo in funzione della Turchia, che è il loro grande alleato nella regione, dove i curdi sono dieci milioni (un sesto della popolazione).Adesso il fatto che il Kurdistan iracheno è diventato in pratica indipendente ha risvegliato gli appetiti dell'irredentismo curdo in Turchia che è una grandissima minaccia per Ankara. Bisogna convenire che George W. Bush è proprio un grande stratega. Gli iraniani e i curdi, se potessero, lo farebbero rieleggere per la terza volta.

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Forse dovevo fare l'uomo politico. Quando fra la fine del 1992 e l'inizio del 1993 quasi tutti i leader politici e quasi tutti gli italiani smaniavano per il sistema elettorale maggioritario , che avrebbero votato di lì a poco a stragrande maggioranza, senza sapere bene cosa fosse, io sull' 'Indipendente' mi battevo per il proporzionale alla tedesca con sbarramento al 5\%, sostenendo che il maggioritario non solo era un passo troppo lungo per la nostra gamba ma non le era assolutamente adatto.Tanto per cominciare il referendum del '93 era frutto di un equivoco. Era stato proposto, giustamente, alla fine degli anni '80 da Mario Segni e da altri nel tentativo di scardinare una situazione politica bloccata dal consociativismo, cioè dal sostanziale accordo delle principali forze politiche, di maggioranza e di finta opposizione, nello spartirsi il potere. Ma, per il paradosso che sempre insegue le vicende umane, quando il referendum venne a maturazione il quadro politico era in pieno movimento - c'erano state le inchieste di Mani Pulite, erano nate forze nuove come la Lega e la Rete, la Prima Repubblica stava crollando - e il maggioritario non serviva più al fine di smuovere ciò che si era già mosso per conto suo. Ma gli italiani lo votarono lo stesso.I limiti e i rischi del maggioritario , che io denunciavo in quei lontani articoli, sono quelli che abbiamo poi amaramente sperimentato in questi tre lustri. La società italiana è molto diversa da quella anglosassone dove il maggioritario è nato, è molto più variegata politicamente (il che, entro certi limiti, è anche una ricchezza) e non può stare in un secco aut-aut, o di qua o di là. Succede così che, pur di vincere, anche per un solo voto, i due schieramenti mettono insieme le forze più eterogenee e spesso anche incompatibili fra di loro. Lo schieramento che vince è quindi condannato a una perenne turbolenza, che è esattamente il contrario di quella stabilità che il maggioritario dovrebbe assicurare sacrificando un principio fondamentale della democrazia che è quello della rappresentanza proporzionale. Oppure se la coalizione, pur di restare al governo, resiste in qualche modo, tenendo insieme i suoi vari pezzi con lo sputo, è condannata alla paralisi, come accadde al secondo governo Berlusconi e, ora, al secondo governo Prodi.Inoltre il maggioritario va in controtendenza storica. Tanto che è in crisi anche in Gran Bretagna che pur lo ha inventato. Se infatti è applicato rigorosamente tiene fuori dall'agone politico forze molto consistenti (in Inghilterra i liberali) ledendo in modo troppo grave il principio democratico della rappresentanza. Ma, soprattutto, in questi decenni sono nate forze politiche, come i movimenti localisti e ambientalisti, che non possono essere catalogati nelle classiche categorie della Destra e della Sinistra (un movimento localista, come per esempio la Lega di per sè non è nè di destra nè di sinistra, in Italia gli ambientalisti si collocano a sinistra, in altri Paesi a destra, il movimento No Global è a sinistra solo in Italia, nel resto del mondo è antitetico sia alla destra che alla sinistra). E la tendenza è destinata ad accentuarsi nei decenni a venire, perchè le categorie di Destra e Sinistra sono vecchie ormai di due secoli e, centrate principalmente sull'economia, non sono in grado di comprendere, nè tantomeno di gestire, le esigenze più profonde dell'uomo contemporaneo che non sono di tipo economico.Ma, per tornare all'Italia, Berlusconi e altri si sono finalmente resi conto che da noi il sistema maggioritario proprio non funziona. Si sono dovuti arrendere alla realtà. Si opterà quindi, presumibilmente, per un proporzionale alla tedesca dove è fondamentale che lo sbarramento sia sufficientemente alto per mettere fuori gioco i paralizzanti partittini con eterna forza di ricatto. Ma intanto si sono persi quasi quindici anni in cui il nostro Paese, invece di progredire, è rimasto fermo o è addirittura peggiorato.

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Lasciare l'Afghanistan perchè è morto un nostro soldato sarebbe grottesco, in una guerra dove i nostri alleati americani hanno già perso più di mille uomini, mentre quasi ogni giorno decine di guerriglieri talebani vengono uccisi e i civili muoiono come mosche. Ma una riflessione su che cosa ci stanno a fare le truppe occidentali in quel Paese va pur fatta. Non si può decentemente sostenere che stiamo facendo la guerra al terrorismo. Secondo il Senlis Council, un 'think tank' europeo, i talebani controllano il 54\% del territorio, il che non può avvenire senza l'appoggio della popolazione. Si tratta quindi di una guerra di indipendenza, come quella che gli afgani combatterono contro i sovietici, la cui sostanza non cambia per il fatto che da qualche tempo anche i talebani fanno uso di mezzi di tipo terroristico.Nell'attacco kamikaze al ponte di Pangham la stampa occidentale ha dato molto risalto al fatto che sono morti sei bambini. Ma quando gli americani, bombardando i villaggi afgani alla ricerca di guerriglieri, uccidono bambini, donne, vecchi in misura ben più rilevante, chiamandoli 'effetti collaterali', da noi queste notizie vengono relegate nelle pagine interne. Un ponte costruito da militari e protetto, ad armi spianate, da militari è un obiettivo militare e quindi legittimo della guerriglia, anche se poi ha avuto 'effetti collaterali' tragici.Ci sarebbe semmai da chiedersi come mai gli afgani, che non sono arabi, si siano indotti a utilizzare questi mezzi che sono estranei alla loro cultura guerriera. Nei dieci anni di conflitto contro i sovietici non avevano compiuto un solo atto terroristico, tantomeno kamikaze. Ma i russi stavano sul terreno, combattevano con truppe di terra e quindi i guerriglieri potevano combatterli, sia pur ad armi impari. La Nato usa bombardieri, missili, aerei fantasma, senza equipaggio, comandati dal Nevada. Di fronte al "nemico che non c'è", che armi restano alla guerriglia? Eppure nonostante ciò, a lungo il mullah Omar, sia per motivi religiosi (non si dimentichi che nella guerra Iraq-Iran Khomeini proibì ai suoi, in nome del Corano, l'uso di armi chimiche che furono invece il pezzo forte del nostro alleato, Saddam), sia per la concezione della guerra che hanno gli afgani, sia perchè è ovvio che la guerriglia non ha alcun interesse a inimicarsi i civili dal cui sostegno dipende, si è opposto ad attacchi di tipo terroristico. Ma alla fine ha dovuto arrendersi all'evidenza, pur limitandoli a obiettivi comunque militari. Neppure i talebani possono permettersi di perdere centinaia di uomini alla volta, combattendo in campo aperto, sotto i bombardieri senza alcuna possibilità di risposta.E allora che cosa ci facciamo in Afghanistan? Siamo lì, si dice, "per ricostruire quel martoriato Paese". Ma quel Paese lo hanno martoriato e distrutto le tonnellate di bombe all'uranio impoverito dei nostri alleati americani. Siamo lì, si dice ancora, per riportare l'ordine e la sicurezza. Ma con i talebani l'ordine e la sicurezza c'erano, sia pur sotto il pugno di ferro di una dura legge, la saharia, che a noi non piace ma che gli afgani avevano accettato. Chiunque sia stato in Afghanistan durante il regime talebano può confermare che vi si poteva viaggiare trenquillamente anche di notte. Purchè si rispettasse la legge.Ho l'impressione che gli afgani, o una buona parte di loro, non vogliano i nostri ponti, le nostre scuole, le nostre chiese (perchè proprio noi italiani abbiamo avuto l'impudenza di costruirvi anche delle chiese) la nostra carità pelosa, il nostro diritto, i nostri costumi. Vogliono continuare a vivere come hanno sempre vissuto, e con grande dignità, secondo le loro tradizioni, prima che le aggressioni dei due Occidenti trasformassero quella terra, felice a modo suo, nel teatro di una tragedia di cui noi soli siamo i responsabili.

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Panem et circenses erano gli strumenti con cui le oligarchie romane tenevano a bada la plebe. In Italia il pane comincia a scarseggiare e i "circenses" sono stati di strutti.Nel bel film di Soldi ni, "Giorni e nuvole", si contempla la crisi del ceto medi o simboleggiata da Michele, ultraquarantenne, sposato, unica figlia già in età di lavoro, di rigente e socio di un'azienda da cui viene estromesso dai consoci che vogliono picchiare più duro sul mercato del lavoro e lo ritengono troppo morbido. Comincia il calvario dei colloqui. Ma ha già un'età per cui è fuori mercato. Passano i mesi, Michele è costretto a liberarsi dei suoi pochi beni: la casa viene venduta sottocosto con la barchetta da pescatore ormeggiata a Genova, dove il film è ambientato. La moglie, elegante, e colta, deve rinunciare ai suoi sogni di carriera nel restauro e si impiega come segretaria. Lui cerca di adattarsi. Insieme a due suoi ex di pendenti, operai, si improvvisa "tuttofare": imbianchino, tapezziere, muratore. Ma mentre gli operai, che vengono da un ambiente dove resiste ancora un minimo di solidarietà sociale, finiranno per trovare un lavoro stabile, Michele che fa parte di un ceto dove vige la più spietata "struggle for life", rimane sul pavè. Entra in depressione e va in crisi il rapporto con la moglie che gli rimprovera la sua apatia e finirà a letto col suo capo che ha lucrosi traffici con l'Oriente.Nelle condi zioni di Michele e della sua famiglia, ceto medi o di seredato che negli anni delle fasulle "vacche grasse", anabolizzate da un di ssennato debito pubblico, ha fatto il passo più lungo della gamba, si trovano oggi in molti. Sono singole situazioni che si moltiplicano e fra poco di venteranno massa. Vedremo come andrà a finire: proprio dal di sagio del ceto medi o che nacque il fascismo.Il calcio era, per di rla con Gramsci, una grande festa nazional popolare; ineterclassista, con una importante funzione di coesione sociale. Sugli spalti si trovavano a fianco l'operaio e il piccolo imprendi tore. Se ne è voluto fare uno spettacolo televisivo, "show & businnes", deprivandolo di tutti i suoi valori identitari, spirituali, simbolici, mitici in favore dell'orgia economica. I ragazzotti, estromessi da Sky, estromessi dagli spalti dove vanno i ricchi abbonati, stipati tutti insieme di etro le porte, non trovano più la loro identità nei colori di una squadra (come si fa a tenere per una squadra con undi ci stranieri in campo?). Come scrive giustamente sul Corriere di mercoledì Giuseppe De Mita "La loro identità non è più sportiva, è l'appartenenza al segmento di sumano degli ultras". Cioè a una parte della comunità dei di seredati. La loro aggressività non è più sportiva, non si erano mai visti tifosi che, come a Bergamo, "non vogliono" che si giochi la partita, ma si rivolge contro lo Stato, simboleggiato dalla polizia. È certamente grave che costoro devastino e attacchino caserme, ma l'accusa iperbolica di terrorismo segnala solo l'impotenza dello Stato a fronteggiare fenomeni di ribellione sociale sempre più frequenti e multiformi. Ma quale rispetto delle leggi, delle istituzioni e dello Stato possono averne questi giovani quando proprio dalla classe di rigente arrivano di continuo segnali in senso opposto? Ancora l'altro giorno Berlusconi, parlando dei circoli di Dell'Utri, pluricondannato, dove era presente anche Previti che ha fatto un solo giorno di reclusione degli 8 anni che dovrebbe scontare, attaccava la Magistratura accusa ndola di una "ferocia giacobina, di chi usa impropriamente e in modo assolutamente contrario a ciò che si deve fare, il potere che la carica di magistrato conferisce".Non c'è da stupirsi se in un recente sondaggio Ipsos gli italiani, non sapendo più a che santo votarsi, hanno indi cato nell'Ue l'istituzione in cui hanno più fiducia (66\%) relegando i partiti all'ultimo posto (21\%).Scarseggia il pane, i "circenses" sono stati di strutti, la sfiducia nella classe di rigente è totale, sul ponte sventola bandi era bianca. L'Italia è seduta su una polveriera, ma i partiti continuano nei loro giochini, come se nulla fosse.