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Gli americani manderanno altri 30mila soldati in Afghanistan. Agli alleati europei ne sono stati richiesti 5.000. L’Italia, "usa a servir tacendo", ha ha promessi 500. Già queste cifre, che vanno sommate agli 80mila uomini attualmente in Afghanistan, dicono che c’è qualcosa che non quadra. Che ci sia bisogno di un esercito di 120-130 mila soldati, armati con i mezzi più sofisticati, per battere quello che dovrebbe essere un manipolo di terroristi non è credibile. E infatti in Afghanistan noi non stiamo facendo la guerra alla mitica Al Quaeda (che secondo il pm Armando Spataro, che da anni si occupa di terrorismo internazionale, non esiste più come organizzazione), stiamo facendo la guerra agli afgani.

Nè vi stiamo portando la democrazia, obiettivo cui ormai abbiamo rinunciato da tempo, perché la struttura sociale di quel Paese organizzato in clan tribali secondo divisioni etniche, non permette l’esistenza di una democrazia come la si intende in Occidente. Che la lotta al terrorismo e il "sogno" di esportare la democrazia non siano più gli obiettivi della presenza occidentale in Afghanistan lo ammette anche uno dei commentatori più filo americano, Franco Venturini in un articolo del Corriere. Perché restiamo in Afghanistan lo spiega lo stesso Venturini: gli Stati Uniti, dopo aver commesso l’errore di entrare in quel Paese, non possono uscirne senza aver almeno dato, l’impressione di aver ottenuto qualche risultato, pena "perdere la faccia", i loro alleati non possono perdere il prestigio che riverbera su di loro dell’essere impegnati col Paese più potente del mondo.

E così per ragioni di "faccia" e di "prestigio" continuiamo ad ammazzare, a migliaia, e decine di migliaia, uomini, donne, vecchi e bambini, ogni giorno (le notizie sulle morti in Afghanistan vengono pubblicate dai nostri giornali solo quando è coinvolto qualche italiano). Gente che vive a 5000 chilometri di distanza, che non ci ha fatto nulla di male e che mai che ne farebbe se non pretendessimo di stargli sulla testa. Per la verità una ragione seria, anche se sottaciuta, per restare in Afghanistan almeno gli americani che l’hanno. Perché se la Nato perde in Afghanistan si sfalda.

Ma quello che è peggio per gli americani sarebbe sicuramente un grave danno, non è detto che non sia invece un vantaggio per europei. La Nato è stata, ed è infatti, lo strumento con cui gli americani tengono da più di mezzo secolo l’Europa in uno stato di sudditanza, militare, politica, economica e alla fine, anche culturale. Forse è venuta l’ora, per l’Europa, di liberarsi dell’ingombrante "amico americano". E l’Afghanistan potrebbe essere l’occasione buona.

Questa la questione afgana vista con i nostri occhi. Ma cerchiamo di vederla anche, per una volta, con quelli afgani. L’occupazione occidentale è stata molto più devastante di quella sovietica. Perché i russi si limitarono ad occupare quel Paese ma non pretesero di cambiarne le strutture sociali, istituzionali, di "conquistare i cuori e le menti" degli afgani. Noi invece, con la tremenda e sanguinaria presunzione delle "buone intenzioni", abbiamo preteso di portarvi la "civiltà". La nostra. Distruggendo quella altrui. Ha detto Ashraf Ghani, il più occidentalizzante dei candidati alle recenti elezioni: "Nel 2001 eravamo poveri, ma avevamo la nostra moralità. I miliardi di dollari che hanno inondato il Paese ci hanno tolto l’integrità, la fiducia l’uno nell’altro". In realtà la sola cosa che siamo riusciti a esportare in Afghanistan è il nostro marciume morale.