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Il ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, ha dichiarato in Senato: «Lavorando di più in Procura e senza le luci delle telecamere si arresta qualche latitante in più, e quindi con qualche convegno in meno e qualche latitante preso in più si fa il bene del Paese».

Sono d’accordo col ministro, ma per ragioni diverse dalle sue. Se la giustizia italiana in questi anni si è mostrata poco efficiente non è perchè giudici e pubblici ministeri hanno perso il loro tempo davanti alle telecamere o partecipando a dei convegni, ma per il bizantinismo (ereditato direttamente dalle pandette di Gaio e Giustiniano) e la farraginosità dei nostri Codici. Del resto, l’esasperante lunghezza dei nostri processi riguarda anche, e forse più, il civile i cui magistrati, per il minor appeal mediatico di questi processi, raramente fanno apparizioni in tv. E inoltre, da Mani Pulite in poi, tutti i ministri della Giustizia, compreso l’attuale, hanno mandato ripetute ispezioni alle Procure che hanno lavorato di più, come a Milano, a Palermo, a Napoli, trascurando invece quelle neghittose.

Il fatto è che i giudici e i pubblici ministeri devono evitare ogni personalizzazione della loro funzione che deve essere il più astratta possibile. Il motivo è che la persona del magistrato è sempre attaccabile (se non sarà lui, sarà sua moglie o i suoi figli o i suoi amici), la funzione no. Di questi attacchi alla persona del magistrato, per delegittimare le sue inchieste, si è fatto uso e abuso tanto che il nuovo Codice di procedura penale italiano, diciamo il Codice "materiale", è diventato questo: come un pubblico ministero apre un’indagine subito si fa un’inchiesta su di lui per scoprirne le eventuali magagne. È evidente che in tal modo non si può amministrare la giustizia. Ma è anche chiaro che a questo andazzo ha contribuito quel protagonismo dei magistrati cui si riferiva il ministro Alfano.

Inoltre, mettendoci la faccia, esponendosi, rilasciando dichiarazioni, il magistrato fa trasparire inevitabilmente le sue propensioni politiche e ideologiche e ora un buon magistrato, un magistrato vero, quando conduce un’inchiesta, se pubblico ministero, o entra in camera di consiglio, se giudice, si dimentica del suo retroterra ideologico e io credo che la maggioranza dei nostri magistrati si sia comportata così nonostante le reiterate accuse di Berlusconi e di parte del centrodestra ai magistrati "politicizzati" (sono di pochi giorni fa le inaudite dichiarazioni del premier che, in una sede europea, ha affermato che "in Italia i magistrati si sono sostituiti al Parlamento e che la Consulta è ormai un organo politico e non più di garanzia - e poi ci meravigliamo e ci indignamo se gli americani mettono in dubbio la validità del processo che ha condannato Amanda Knox). Ma il magistrato deve essere come la moglie di Cesare "che non solo deve essere onesta ma anche apparirlo", cioè non solo deve essere imparziale ma anche apparirlo, pena la perdita di quella credibilità che è essenziale alla sua funzione.

Proprio per questa necessità di spersonalizzazione in alcuni Paesi, come la Finlandia, i giornali, riferendo di un’inchiesta o di una sentenza, non possono fare i nomi dei magistrati che ne sono stati autori. Noi ci accontenteremmo che, come si diceva e faceva una volta, i magistrati si limitassero a parlare solo "per atti e documenti".