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Segue l'articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 22 dicembre 2011

I sei marittimi italiani e i diciassette indiani sequestrati quasi un anno fa (l'8 febbraio), insieme alla petroliera Savina Caylyn, dai pirati somali sono stati liberati. Sono contento per loro, naturalmente, ma soprattutto, devo pur confessarlo, per i pirati che hanno incassato 10 milioni di dollari per il riscatto, anche se la Farnesina, pro forma, nega.

Trovo stupefacente, e non privo di significato, che nell'era della modernizzazione,dell'ipertecnologia,dei computer,dei satelliti-spia che individuano anche uno spillo posato per terra, di Echelon, della globalizzazione, di un trend che porta inesorabilmente verso un unico modello planetario, uno stato mondiale con regole valide per tutti, rinasca la pirateria. Certo i pirati somali sono un po' diversi dalla 'fairy band' della Tortuga, la mitica isola delle Antille dove la filibusta ebbe la sua epopea, soprattutto nel XVII secolo. Anche loro si sono modernizzati, si servono di alcuni strumenti tecnologici, Internet per trattare lo smercio del bottino e i riscatti, radar per seguire le rotte oltre che degli informatori disseminati sulle coste del Corno d' Africa e del Golfo di Aden. Ma all'attacco si va con i vecchi metodi. I moderni bucanieri mascherano i loro navigli come insospettabili 'navi d'appoggio', poi, all'ultimo momento, quando sono vicinissimi alla preda, calano in mare dei veloci barchini, con non più di cinque uomini di equipaggio, e vanno all'arrembaggio arrampicandosi con dei rampini e regolarmentare bandana sulle fiancate delle navi abbordate. Dopo averle sequestrate, insieme agli uomini a bordo, si rifugiano nei porti sicuri di Harardhere, di Ely, di Bossaso. Trovo esaltante che riescano a tenere in scacco le più sofisticate marine militari del mondo. Un centinaio di navi da guerra, americane, russe, cinesi, australiane, italiane, incrociano al largo del Corno d'Africa e del Golfo di Aden ma non riescono ad avere ragione dei pirati somali. Perchè sono rapidissimi nell'arrembaggio e altrettanto veloci nello sganciarsi.

Questi pirati sono civilissimi. Rubano, ma non uccidono. I prigionieri li trattano con rispetto e nessuno, che io ricordi, ha avuto di che lamentarsi. Sono in maggior parte ex pescatori, rovinati proprio da quelle petroliere che con il loro passaggio e i loro sversamenti hanno devastato il mare e impoverito la sua fauna. Poiché per gli occidentali è inconcepibile qualsiasi cosa che esca dalle loro logiche, si è tentato di etichettarli come quaedisti, Shebab o altro. Invece sono totalmente non ideologici. E' gente che se ne frega degli Stati e vuol vivere a modo suo. Quando nel 2008 fu sequestrata la Sinus Star, una nave dell'Arabia Saudita, le Corti Islamiche somale (una sorta di talebani in salsa africana) chiesero di liberarla in nome della solidarietà musulmana e dell'Islam condanna la pirateria, minacciando, in caso contrario, di intervenire con la forza, il pirata rispose: “ Non ci provate neanche. Siamo pronti a respingere qualsiasi blitz. Non abbiamo nulla contro gli islamici, lo siamo anche noi, e abbiamo il massimo rispetto del sacro regno saudita. Ma questa è solo una questione di affari. Siamo pirati.”

Sono pirati e fanno i pirati. Sono bucanieri. Sono degli avventurieri, ma molto più simpatici di certi avventurieri del denaro che, senza nulla rischiare, tantomeno la pelle, stanno rovinando il nostro mondo. Sono la vecchia, cara, affascinante filibusta. E noi stiamo appassionatamente con loro. Del resto anche Il Fatto, in una situazione molto diversa, a modo suo, meno rischioso, meno romantico e senza grottesche bandane alla Berlusconi, batte bandiera corsara.

Massimo Fini